Thomas Wenski, arcivescovo cattolico di Miami, ha qualificato Cuba come "geopolíticamente" importante. Questa netta affermazione è ridondante di fronte alla cruciale storia del paese che è ancora l'unico nell'emisfero occidentale diretto da un regime marxista-leninista. Ma questa definizione diventa irrilevante in vista della visita di Papa Francesco a Cuba, dal 19 al 22 di settembre e dei cinque giorni negli Stati Uniti.
Questa settimana papale in America, per usare i termini di Wenski, rivela alcune intenzioni geopolitiche.
A questo punto dell'evoluzione del papato dell'arcivescovo argentino Jorge Mario Bergoglio, di filiazione gesuita, poche carte sono ancora da scoprire.
Da una parte, Francesco segue fedele gli obblighi della sacra impresa e del "regno che non è di questo mondo". Ma risulta ovvio che sta dando priorità ai temi "di questo mondo" che apparentemente sono più urgenti e gravi di quelli dell'altra vita.
Francesco segna, con le sue recenti decisioni, la persistenza di uno dei "peccati mortali" (che generano la condanna) in questa valle di lacrime, imponendo un'esistenza insopportabile a milioni di fedeli, agnostici e credenti di altre religioni.
Prima di calarsi nelle città cubane e statunitensi, Francesco ha sorpreso e scandalizzato, piacendo allo stesso modo a cattolici e pagani con una serie di misure di alta portata mediatica. Ha ammorbidito il procedimento di annullamento del matrimonio, ha proposto il perdono per le donne che hanno deciso per l'aborto e ha rinunciato a giudicare la condotta degli omosessuali.
Si è scagliato contro il capitalismo per diverse marachelle, accusandolo del vergognoso stato di povertà e della inaccettabile disuguaglianza, oltre a segnalare lo sviluppo sfrenato come la radice dell'incombente cambiamento climatico le cui conseguenze colpiscono con più accanimento "quelli di sotto".
È perfettamente congruente che sia stato identificato (erroneamente) come parte della Teologia della Liberazione. D'altra parte, ha lasciato senza lavoro autisti, sarti, donne delle pulizie e calzolai, rinnegando di vivere come un papa e optando per un comportamento da normale cittadino.
Ma si è comportato anche con un'allarmante facilità come politico mondano, disprezzando l'aura celestiale e spogliandosi del peso della porpora, un carico molto fastidioso essendo equipaggiato di un solo polmone funzionale.
Nella sua spossante settimana, Francesco si dedicherà ad un'operazione politica imponente in due paesi americani di impatto universale. L'esito che si otterrà dipende in una certa misura non solo dal fatto che la storia lo assolverà (come temerariamente a suo tempo predisse Fidel Castro), ma dal riconoscimento dei suoi risultati.
Però Francesco non va solamente a Cuba e negli Stati Uniti con un'agenda concorde col peso degli obblighi "dell'altro mondo", ma accorre per consolidare la presenza cattolica nel continente americano, dove le sfide per mantenere l'appartenenza sono imponenti.
A Cuba, Francesco sa che paradossalmente la Chiesa Cattolica aumenterà la sua influenza nel castrismo, a paragone con la modesta importanza nell'epoca repubblicana. Allora già soffrì la concorrenza dei riti africani e lo sdegno della liturgia repubblicana, oltre all'introduzione delle denominazioni protestanti.
Durante il castrismo, la gerarchia cattolica, consapevole delle sue limitazioni si limitò a compiere i suoi lavori di comodità e speranza, ricevendo silenziosamente lo scherno dei settori radicali dell'esilio.
I recenti risultati nella liberazione di detenuti e nella mediazione per la normalizzazione delle relazioni tra gli Stati Uniti ed il regime cubano riceveranno solamente il giudizio della storia. Il cardinale cubano Jaime Ortega sarebbe molto deluso se un giorno dovesse confessare pietosamente che "contro Castro vivevamo meglio."
Negli Stati Uniti, Francesco affronterà un'altra enorme sfida. Dovrà aumentare o per lo meno conservare non solamente la parrocchia dei cattolici conservatori, ma anche dei liberali e dei non praticanti.
Inoltre, dovrà raccogliere il necessario sostegno ai più bisognosi dell'immigrazione latinoamericana, numericamente di radice cattolica. Un'assordante maggioranza che ha saturato gli Stati Uniti e che più che fuggire dai regimi politici autoritari, scappa dalla povertà e dalla disuguaglianza, dalla discriminazione di genere e razziale a livelli di ignominia.
La prospettiva di ricevere una ricompensa in un "regno oltre questo mondo" non è un canto che li convince. Ne consegue che Francesco dovrà esercitare la pressione necessaria affinché il sistema per cui coloro appena arrivati ("i poveri della terra" di José Martí) hanno optato, sia giusto e generoso.
E' pertanto in America, dove la Chiesa Cattolica, con o senza Francesco, si gioca il suo futuro. Le promesse di ricompensa in un altro mondo, non basteranno ad ottenere l'appoggio di quell'immensa maggioranza. Stanno aspettando un'offerta che, per dirlo in terminologia angloamericana, non possano respingere.
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