di Mario Lombardo
Con una presa
di posizione straordinaria e fortemente rivelatrice, qualche giorno fa
un anonimo generale britannico in servizio ha prospettato in
un’intervista al Sunday Times di Londra una possibile rivolta
delle forze armate nell’eventualità di un futuro governo guidato dal
neo-leader laburista, Jeremy Corbyn. Se il Partito Laburista dovesse
vincere le elezioni del 2020 e Corbyn, la cui agenda politica teorica è
considerata di “estrema sinistra”, diventare primo ministro, secondo il
generale si verificherebbero “dimissioni di massa ad ogni livello” nelle
forze armate e, ancora peggio, ci si troverebbe di fronte alla “reale
prospettiva di un evento che risulterebbe di fatto un ammutinamento”.
La
descrizione di quanto potrebbe accadere il giorno dopo l’insediamento
di un governo Corbyn continua con scenari da colpo di stato. “Si
assisterebbe”, prosegue l’alto ufficiale britannico, “a una
significativa rottura delle convenzioni, con i generali che sfiderebbero
Corbyn pubblicamente e in maniera diretta su questioni di importanza
vitale”.
Lo stesso generale elenca poi alcune di tali questioni,
come la liquidazione del programma “Trident”, relativo al mantenimento e
allo sviluppo dell’arsenale nucleare britannico, “l’uscita dalla NATO” e
i progetti per “indebolire e ridurre il numero delle forze armate”.
Se
Corbyn dovesse prendere iniziative in questo senso, “l’Esercito
semplicemente non lo accetterebbe”. Lo Stato Maggiore, cioè, “non
permetterebbe a un primo ministro di mettere a rischio la sicurezza di
questo paese” e si ricorrerebbe a “qualsiasi mezzo per impedirlo, con le
buone o con le cattive”. In definitiva, conclude il generale, “non è
possibile mettere nelle mani di un ribelle la sicurezza di un paese”.
L’identità del generale, come già ricordato, non è stata fornita ma il Sunday Times
ha fatto sapere che si tratta di un ufficiale che ha svolto servizio in
Irlanda del Nord negli anni Ottanta e Novanta. Il Ministero della
Difesa ha da parte sua diffuso una blanda dichiarazione di condanna
delle parole del generale, descrivendo “inaccettabile” il fatto che un
ufficiale rilasci commenti di natura politica su un potenziale governo
futuro.
Il Ministero ha però deciso di non aprire un’inchiesta per identificare il responsabile delle dichiarazioni al Sunday Times,
in quanto ciò sarebbe impossibile visto l’elevato numero di generali. In
realtà, la scelta sostanzialmente di ignorare l’intervista e le minacce
di golpe appare deliberata, allo scopo di non irritare i militari.
Dopo
i tagli di questi anni alla Difesa, in effetti, oggi in Gran Bretagna
restano appena un centinaio di generali in servizio e ancora meno sono
quelli che hanno servito in Irlanda del Nord negli anni Ottanta e
Novanta.
A queste già gravissime dichiarazioni, il Sunday Times
ha aggiunto le rivelazioni dei vertici dei servizi di intelligence,
anch’essi protetti dall’anonimato. Questi ultimi “si rifiuterebbero di
sottoporre a Corbyn le informazioni relative a operazioni in corso”,
viste le sue “simpatie per i terroristi”. Il riferimento, in questo
caso, è a dichiarazioni rilasciate tempo fa da Corbyn, il quale in un
particolare contesto si era riferito ad Hamas e ad Hezbollah come “amici”.
Il
giornale londinese prosegue poi sostenendo che nessun membro nella
“comunità dell’intelligence consegnerebbe a Corbyn, o a chiunque nel suo
gabinetto, informazioni che preferirebbe non dare”, mentre “qualsiasi
informazione decidesse di fornirgli sarebbe di carattere generale” e
dipendente “dalla sua avversione per i servizi di sicurezza britannici”.
L’articolo
pubblicato dal giornale di Rupert Murdoch rientra nell’ambito di una
campagna di discredito diretta contro la leadership di Jeremy Corbyn,
eletto a grandissima maggioranza dai membri e da simpatizzanti del
Partito Laburista un paio di settimane fa. Presentatosi con un’agenda
marcatamente progressista, Corbyn è stato subito preso di mira dagli
ambienti di destra britannici, ma anche dalla maggioranza “centrista” e
fedele a Tony Blair del suo stesso partito.
A questo scenario va ascritta anche la notizia, riportata sempre dal Sunday Times
e rimbalzata sul resto della stampa, che almeno la metà dei membri del
governo-ombra appena nominato da Corbyn intende votare, contro le
indicazioni di quest’ultimo, a favore di una risoluzione che il governo
Cameron si appresta a presentare al parlamento per l’autorizzazione ai
bombardamenti contro lo Stato Islamico (ISIS) in territorio siriano.
L’attitudine
di Corbyn e della fazione a lui fedele all’interno del “Labour” è
apparsa comunque evidente dalle reazioni decisamente sottotono alle
dichiarazioni minacciose dell’anonimo generale. Inoltre, sotto
pressione, Corbyn ha più volte assicurato che, in quanto leader del
Partito Laburista ed eventualmente primo ministro, non intende
perseguire a tutti i costi i progetti di riforma dell’apparato della
sicurezza nazionale britannica promessi.
Per il bene e l’unità
del partito, insomma, il neo-leader laburista appare più che disposto al
compromesso, sia pure di fronte a un nettissimo spostamento a sinistra
dell’elettorato che gravita attorno al suo partito e della popolazione
in generale. A conferma di ciò vi è anche la nomina a ministri-ombra di
numerose personalità della destra del partito.
L’articolo del Sunday Times
è ad ogni modo un chiarissimo avvertimento e rivela la disposizione
della classe dirigente britannica nei confronti di chiunque,
dall’interno o dall’esterno, minacci la propria posizione e i propri
interessi. I militari, in questo caso, sembrano pronti a rompere con le
regole democratiche per evitare deviazioni dalle politiche atlantiste e
pro-business sposate dalle élite del Regno, nonostante la crescente
opposizione a esse tra la popolazione.
Questo scivolamento verso
forme di governo sempre più autoritarie era stato preannunciato, tra
l’altro, solo qualche settimana fa con la diffusione della notizia che,
nel mese di agosto, le forze armate di Londra avevano portato a termine
l’assassinio extra-giudiziario di due cittadini britannici in Siria,
presumibilmente membri dell’ISIS, con un missile lanciato da un drone.
L’eccezionale
rivelazione non aveva praticamente suscitato alcuna reazione di sdegno
tra la stampa e la classe politica, nonostante non solo l’esecuzione
fosse stata decisa dall’esecutivo in gran segreto e senza il
coinvolgimento di un tribunale, ma le stesse forze armate non
disponevano nemmeno dell’autorizzazione del Parlamento a condurre
operazioni belliche in territorio siriano.
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