Manca ormai poco più di una settimana all’appuntamento elettorale catalano che, lungi dall’avere solo un valore amministrativo, potrebbe avere importanti conseguenze sugli equilibri politici dell’intero Stato Spagnolo – il voto generale è atteso per dicembre – ed anche europeo. Tutti i sondaggi prevedono infatti un boom del voto esplicitamente indipendentista, il che potrebbe portare all’avvio di un iter diretto alla separazione della Catalogna da Madrid e alla conseguenti contromisure da parte di uno stato che è tutt’altro che rassegnato a perdere Barcellona.
L’ultimo sondaggio, realizzato dall’istituto Sigma Dos per Mediaset, prevede che le liste indipendentiste ottengano il 27 settembre la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento della Comunità Autonoma. Da sola “Junts pel Si” – i liberalnazionalisti di CDC, i socialdemocratici indipendentisti di Erc e i socialisti sovranisti più vari rappresentanti di associazioni e coordinamenti catalanisti – otterrebbe il 40,3% dei voti e 66 seggi, appena due in meno della maggioranza assoluta. Che, teoricamente, potrebbe essere agevolmente conquistata con il 7% e i 10 eletti che la rilevazione assegna alla sinistra indipendentista e anticapitalista della Cup (Unità Popolare) che triplicherebbe così i seggi conquistati nel 2012.
Il nuovo e più recente sondaggio ricalca sostanzialmente quello pubblicato quasi due settimane fa da JM&A per il quotidiano Publico che assegnava il 49% dei voti agli indipendentisti, anche se in questo caso la quota scende al 47.3%. Al di sotto quindi della maggioranza assoluta dei voti, il che dal punto di vista simbolico e politico potrebbe rendere meno legittima la scelta di utilizzare la vittoria elettorale come un plebiscito a favore dell’indipendenza, vista l’impossibilità di realizzare un referendum popolare proibito dalle autorità centrali spagnole. Ma certo la bilancia tra forze indipendentiste e forze unioniste pende decisamente dalla parte delle prime.
Il sondaggio di Sigma Dos prevede che in seconda posizione si piazzino i liberali e nazionalisti spagnoli di Ciutadans (C’s); il partito fondato da Albert Rivera dieci anni fa e che utilizza temi e slogan ‘anticasta’ per recuperare a destra i voti in fuga da socialisti e popolari dovrebbe ottenere addirittura il 15% dei voti e ben 20 seggi, scavalcando nettamente Catalunya Sí que es Pot, la coalizione di centrosinistra-sinistra formata da Podem, Iniciativa per Catalunya Verds (ICV), Esquerra Unida i Alternativa (EUiA) ed Equo. Gli ecosocialisti alleati con Podemos e nonostante la copertura di Barcelona En Comù uscita vittoriosa pochi mesi fa dalle elezioni comunali nella capitale catalana, dovrebbero fermarsi al 12.3% e a 15-17 seggi.
Comunque più dei socialisti del PSC e dei popolari, dati entrambi attorno al 9% e a 11-12 seggi. Un vero e proprio tracollo rispetto alle elezioni regionali del 2012, recuperato però dall’irruzione sulla scena di C’s.
Gli indipendentisti vincerebbero in tre delle quattro province catalane salvo che a Barcellona, dove invece Ciutadans da una parte e la Cup dall’altra otterrebbero percentuali ben al di sopra della media a spese di Junts pel Si che si affermerebbe soprattutto a Girona (58.7%) e a Lleida (55.4%).
Ammesso che i sondaggi non prendano lucciole per lanterne (capita spesso), la sera del 27 settembre il quadro sarebbe questo: 76 seggi agli indipendentisti, 42-43 ai nazionalisti spagnoli e 15-17 ai “federalisti”, favorevoli a una dose ulteriore di autogoverno ma non all’indipendenza, anche se all’interno della variegata coalizione di Catalunya Sí que es Pot convivono posizioni molto variegate.
Si tratta però di schieramenti del tutto teorici.
Sicuramente la sinistra federalista e in particolare Podemos negano la possibilità di un accordo di governo con il capofila di Junts pel Si, il governatore uscente Artur Mas, attaccato per la sua foga indipendentista ma anche per le politiche rigoriste e di austerity, oltre che per i numerosi scandali per corruzione che hanno investito il suo partito negli ultimi anni.
Ma anche gli indipendentisti di sinistra della Cup affermano che non potranno entrare a far parte di un governo formato dai socialdemocratici di Oriol Junquera e dai liberalnazionalisti di Mas. A parte il comune obiettivo dell’indipendenza, il programma dell’Unità Popolare è diametralmente diverso da quello del listone. “La Cup rifiuta di far parte dell’Unione Europea, dell’Euro, della Nato e dell’Esercito Europeo” recita il programma della sinistra anticapitalista catalana. “Non riconosciamo questa Unione Europea, che serve solo a garantire i privilegi del capitale e non gli interessi delle classi popolari europee. Lavoreremo per questo nel contesto di relazioni euromediterranee con i popoli liberi” afferma ancora il programma della lista, “vincolando la lotta contro l’Accordo Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti tra Usa e Ue (il TTIP) alla lotta contro il sistema”.
Domenica scorsa Mireia Vehi, la numero otto della lista della Cup, ha affermato che l’Unione Europea “rappresenta una minaccia per le classi popolari” e si è schierata a favore della rottura con l’Ue e con l’Euro. “L’Ue sta imponendo ai popoli, e soprattutto a quelli del sud del continente, delle condizioni economiche, politiche e sociali durissime e inaccettabili”. “Se la soluzione è uscire dall’Unione Europea per costruire l’Europa dei popoli e unirci agli italiani e al resto dell’Europa meridionale, la Cup è d’accordo” ha detto la candidata anticapitalista nel corso di un comizio a Sant Boi de LLobregat, in provincia di Barcellona. "L’indipendenza passa per la rottura con lo Stato Spagnolo e per la disobbedienza alla legislazione spagnola, ma anche per una rottura con l’Europa del capitale e della Troika” ha chiarito Mireia Vehi.
Anche il numero tre della lista della Cup al Parlament, Josep Manel Busqueta, ha spiegato che la sua formazione non vuole che la Catalogna rimanga all’interno di una Unione Europea che sfrutta la classe lavoratrice. “Non ci porremmo il problema di uscire dall’Ue se si potesse arrivare a uno scenario negoziale all’interno del quale le politiche decise siano sostenibili e permettano di risolvere l’emergenza sociale attuale” ha spiegato Busqueta, “ci piacerebbe molto, ma sappiamo che ciò è impossibile visto quanto accaduto in Grecia”. Secondo Busqueta l’Unione Europea sta creando “un’Europa duale con una periferia interna che ha molte difficoltà a competere e a generare ricchezza mentre il centro, guidato dalla Germania, impone il proprio modello”. Ovviamente, ha spiegato l’economista, “per competere con la Germania si finisce per diminuire le garanzie e le protezioni per i lavoratori”. La Cup propone un forte “aumento della spesa pubblica e il sostegno alla domanda interna che permettano di far crescere l’economia” ma ciò, nel contesto attuale, è impossibile”. “Vogliamo sviluppare politiche sociali ed economiche che rispondano alle necessità della società catalana” ha affermato Busqueta secondo il quale occorre rifiutare il pagamento del debito che sottrae risorse agli investimenti sociali.
Si tratta, come è evidente, di priorità diverse e in molti casi opposte rispetto a quelle propugnate dai liberali di Convergenza Democratica e dai socialdemocratici di ERC, formazioni entrambe intimamente europeiste.
Ma anche sul fronte della road map diretta alla separazione da Madrid ci sono differenze notevoli tra i due schieramenti indipendentisti.
Infatti la Cup punta a una dichiarazione unilaterale di indipendenza dopo le elezioni attraverso una “disconnessione dalle leggi e dalla Costituzione Spagnola” e non un processo costituente lungo 18 mesi come invece previsto dal governatore uscente. L’Unità Popolare chiede che, dopo una dichiarazione simbolica di indipendenza da parte del Parlament, le istituzioni locali si impegnino immediatamente a dar vita ad un processo di disobbedienza legislativa, a partire dalla Legge Wert (la controriforma dell’istruzione), la “Legge bavaglio” (che prevede una dura repressione contro le proteste di piazza) o la controriforma restrittiva dell’aborto.
Il candidato a governatore della Cup, Antonio Baños (un indipendente scelto nel corso di primarie realizzate tra militanti e attivisti) ha assicurato però che la formazione potrebbe sostenere dall’esterno un eventuale esecutivo formato da Cdc ed Erc e appoggiato dalla Assemblea Nazionale Catalana e dagli altri coordinamenti indipendentisti trasversali protagonisti della crescente mobilitazione popolare degli ultimi anni a favore dell’indipendenza. A patto però Mas e Junquera tengano fede alle loro promesse e a determinate condizioni. “Se è per fare quello che c’è da fare ci saremo (…) Se invece è per non fare niente non solo non vi sosterremo ma vi combatteremo” ha avvertito Baños rivolgendosi a Junts pel Si.
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