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23/09/2015

L'ingenuità al potere è imperdonabile

Pubblichiamo questa intervista a Marica Frangakis, firmata da Sara Farolfi per Sbilanciamoci, per diversi motivi.

In primo luogo è una buona intervista e fornisce alcune buone informazioni, per nulla illuminate dall'informazione mainstream e anche da quella antagonista, come il fatto che la Grecia è ancora oggi in regime di capital control. Ovvero con forti limiti al prelievo per i titolari di un conto corrente, esattamente come quando i cittadini greci andarono alle urne per il referendum di luglio, con con cui rifiutavano il memorandum poi accettato da Tsipras due giorni dopo.

Significa che anche queste elezioni si sono svolte sotto il ricatto esplicito della Bce e della Troika. L'economia ellenica, ricorda la Frangakis, è fondata sul denaro contante, ancor più di quanto non avvenga in Italia; quindi ridurre la liquidità a disposizione delle banche – come deciso dalla Bce alla viglia del referendum – significa automaticamente bloccare l'economia, per lo meno quella “di strada”, e far sentire il peso del bastone del comando. Il risultato delle elezioni dice, neanche tanto tra le righe, che questo peso è stato sentito anche dagli elettori, che hanno preferito disertare o confermare il voto di gennaio, piuttosto che innescare subito una dinamica assai più conflittuale con l'Unione Europea ma naturalmente molto difficile e rischiosa.

In secondo luogo, dalla testimonianza della Frangakis – tra i consiglieri economici di Syriza – emerge “il vero ruolo” della Bce nella costruzione europea: non banca centrale indipendente, votata per statuto al solo controllo dell'inflazione e della liquidità, ma attore politico mirante alla disciplina dei singoli stati, “dirazzanti” e non.

In terzo luogo, quello per noi più rilevante sul piano politico, questa intervista testimonia la sconcertante ingenuità, quasi naïf, del gruppo dirigente di Syriza entrato nei palazzi del potere convinto probabilmente di trovarvi delle “stanze dei bottoni”. Che invece non esistevano. Al contrario, hanno dovuto fare i conti con un personale dirigente dell'apparato statale che era stato formato dai governi precedenti, che aveva confidenza e complicità con i funzionari europei più che con questi “selvaggi comunisti” che avevano vinto le elezioni. Tutto normale, prevedibile. Accade così ad ogni vero cambio di regime...

L'assurdo, e incomprensibile, è che i dirigenti non lo sapessero già prima di arrivare al governo del paese. Come se non avessero mai riflettuto sul serio sulla tragica differenza tra “governo” e “potere”, per cui tu puoi benissimo vincere le elezioni e formare il governo, ma le decisioni vere vengono prese in altri luoghi, a te inaccessibili, da cui invece si accede davvero alle “leve del sistema”, specie economico. Ospiti indesiderati, insomma, in un Palazzo che li considerava estranei.

In questo ha probabilmente influito il carattere di “contenitore” politico che ha avuto fin dall'inizio Syriza. Un contenitore senza ideologia, certo, ma anche privo di una visione scientifica e condivisa del mondo su cui andava ad agire. Quindi anche privo di strategia e tattica su come affrontare i molti nemici che indubbiamente aveva, e che si sono mossi all'unisono per accerchiare e infine incaprettare gli intrusi. I partiti riformisti dotati di un'ideologia e di una visione, insomma, avrebbero conosciuto meglio l'avversario e quindi avrebbero programmaticamente prevista anche la “resa”, senza promettere al proprio blocco sociale improbabili cambiamenti “radicali”.

Altrettanto avrebbe fatto un movimento davvero radicale, dotato di visione scientifica, che avrebbe fin dall'inizio agito in vista di una rottura – certo molto complicata e difficile, dai costi inizialmente altissimi – fornendo una prospettiva e un orizzonte alternativo alla permanenza nell'Unione Europea.

Il grosso di Syriza, invece, anche a livello dei dirigenti nazionali, sembra essere stato sollevato alla testa di un movimento unicamente in forza dell'empiria, dai movimenti di lotta contro l'austerità, conciliando solo nella propria testa due obiettivi assolutamente incompatibili come “metter fine all'austerità” e “restare nell'Unione Europea”. Immaginiamo debbano esser rimasti molto sorpresi quando gente come Schaeuble ha ringhiato loro in faccia “o l'una o l'altra”. Riformisti di necessità, li avevamo chiamati alcuni mesi fa, per sottolinearne sia l'autenticità degli intenti che la contraddittorietà di obiettivi, in assenza di una visione generale.

Ma il punto decisivo viene illustrato in modo fulminante dalla stessa Frangakis, senza che però la stessa appaia in grado di trarne le conclusioni di quanto “scoperto” nei mesi di trattativa.
Non credo che la sinistra abbia realizzato davvero quanto forti e intransigenti e inflessibili i creditori siano. Tu sei convinto di avere a che fare con persone ragionevoli quindi ti aspetti di riuscire a negoziare qualcosa. Quello che scopri invece è che loro sono disposti a tutto, persino a tollerare un danno economico, piuttosto che concedere qualcosa. Quindi la prima lezione è che se la sinistra vuole combattere l’austerità deve essere consapevole che gli avversari non sono persone ragionevoli ma persone disposte a tutto.
Lo scarto irrimediabile tra un gruppo di volenterosi dilettanti e gli arcigni cerberi del potere economico multinazionale non potrebbe esser colta meglio. Peccato che ne venga evidenziato solo l'aspetto “etico” (persone disposte a tutto, ovviamente soprattutto a far del male), invece che quello strutturale (i guardiani del potere economico vengono selezionati in quella tipologia umana, non in altre). Una economista di livello dovrebbe saperlo meglio di noi, crediamo. Soprattutto per quanto riguarda la “seconda lezione”, ossia l'assoluta mancanza di trasparenza delle “istituzioni” europee (lo stesso Eurogruppo, che riunisce i ministri delle finanze dell'eurozona, non è previsto né regolato da alcun trattato, ma prende decisioni tecniche vincolanti per i singoli paesi).

In questo modo, però, la “lezione” che viene tratta dalla sconfitta è solo una coazione a ripetere lo stesso errore, salvo la parte riguardante lo spirito infame che connota i funzionari della Troika e dintorni.

E infatti il problema dei problemi – come influenzare il processo decisionale – resta nelle sue parole assolutamente indeterminato, una petizione morale, nulla più. Ma se non sai come cambiare la situazione, sarà la situazione a cambiare te. Come si è visto con l'accettazione del terzo memorandum.

Chi in queste ore si spellica le mani applaudendo la vittoria di Syriza 2.0 dovrebbe fare almeno lo sforzo di rifletterci su, prima di gridare "forza Tsipras"...

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Frangakis: «Battuti sul memorandum ma la lotta non è finita»

Sara Farolfi

«La firma del memorandum è stata una sconfitta, chi sostiene il contrario mente, ma la guerra non è finita e ora bisogna guardare avanti, alla prossima battaglia”. Come andrà è difficile da prevedere, molto dipende dal risultato che uscirà dalle urne greche domenica.

Economista molto vicina a Syriza, membro del direttivo dell’Istituto Nicos Poulantzas e del coordinamento dell’EuroMemorandum Group, Marika Frangakis ha vissuto l’esperienza dei 5 mesi di governo sulla prima linea, membro del team di consiglieri economici del vicepresidente Dragasakis. La incontriamo a Roma, dove è arrivata per partecipare a una giornata di approfondimento sulla Grecia organizzata alla Camera da “Le Belle Bandiere”.

La Grecia va al voto di nuovo sotto il capital control, può spiegarci che cosa significa?

Il capital control è stato introdotto il 28 giugno scorso e si è reso necessario quando la Bce ha deciso di interrompere i prestiti alle banche greche. Per una economia come quella greca, basata sostanzialmente sul cash – basti pensare che prima del capital control appena il 5 per cento del denaro circolava tramite carte di credito o strumenti simili – questo ha creato un enorme problema di liquidità. Gli unici soldi in circolazione erano quelli della Banca nazionale greca e, senza misure di controllo dei capitali appunto, non sarebbero bastati nemmeno per due settimane. Perciò il capital control è stato lo strumento utilizzato per fare accettare l’accordo a Tsipras: se non avesse firmato avrebbe dovuto trovare liquidità altrimenti. Non è stata solo una forma di pressione ma un vero e proprio strangolamento. Le banche sono rimaste chiuse 3 settimane, hanno riaperto subito dopo la firma del memorandum ma il ritorno alla normalità è stato lento e ancora oggi c’è un limite ai prelievi che si possono effettuare dal proprio conto corrente: 60 euro al giorno, con la possibilità di prelevare una volta sola alla settimana. In più non bisogna dimenticare che il capital control era stato introdotto anche a Cipro e, a due anni dall’esplosione della crisi, è ancora in vigore. Temo che in Grecia ci aspetti qualcosa di simile.

Quindi il capital control continua ad essere uno strumento di pressione sulla politica greca?

Certo, la liquidità è un problema. Le banche hanno una liquidità limitata quindi la quantità di denaro in generale che serve all’economia è limitata e questo è un po’ paradossale perché la Grecia non ha un problema di solvibilità, ci sono molti asset di valore nel paese.

Come giudica il ruolo della Bce in questa crisi?

La Banca centrale europea ha mostrato la sua vera faccia. E a dirlo non sono analisti di sinistra ma commentatori autorevoli come il professore belga Paul De Grauwe. Il compito della Bce dovrebbe essere quello di salvaguardare la stabilità del sistema monetario e non quello di fare pressione sul governo greco. Non dobbiamo dimenticare che il programma di Quantitative easing varato da Mario Draghi era appena iniziato quando Syriza è arrivata al governo. La tendenza generale era quella di immettere liquidità nel sistema – 60 miliardi circa in prestiti agli istituti di credito – ma quando è stato il turno della Grecia hanno semplicemente detto di no.

Parliamo dell’ipotesi di Grexit: conosceva il piano B di Varoufakis?

Certo, il programma elettorale di Syriza faceva menzione della possibilità di lasciare l’euro come strumento di pressione sui negoziati. Ma molto presto è diventato chiaro che anche i creditori avevano un piano per spingere la Grecia fuori dall’euro. A quel punto è stato chiaro che uscire dall’euro non era una valida alternativa. Aggiungo che una delle difficoltà, in genere poco considerate, è lo scarso appoggio che questo governo ha trovato all’interno dell’apparato dello Stato. Il settore pubblico, a cui il governo in genere si appoggia, in Grecia è, soprattutto ai suoi vertici, strettamente connesso ai partiti mainstream. Quindi apparentemente tutti erano estremamente gentili, ma quando si trattava di richiedere un dossier, dei dati aggiuntivi o altro i tempi si dilatavano inesorabilmente, tutto diventava impossibile, e alla fine eri costretto a lasciare perdere.

La crisi, anche quella greca, non è stata uguale per tutti. Che conseguenze ha avuto sulla società?

I dati ci dicono che la disoccupazione è cresciuta, come anche la povertà, le disuguaglianze, la distribuzione del reddito e della ricchezza. Questo perché le misure prese per il consolidamento fiscale fin dal 2010 hanno colpito la classe media e la parte più povera della popolazione. Le tasse sono aumentate e i tagli hanno colpito la sanità, l’istruzione, le pensioni, il salario minimo. Quindi tutto è andato nella direzione di un approfondimento delle disuguaglianze. Ai livelli alti gli effetti della crisi sono stati limitati perché quei salari che si aggirano sui 200 mila euro all’anno non sono stati colpiti. Il governo di Tsipras, anche se alla fine è capitolato, ha provato ad alzare le tasse sui redditi più alti, ma la troika era contraria. Era parte del gioco anche questo, un modo per i creditori di chiarire che le èlite come loro non sarebbero state colpite dalle misure, perché le èlite lavorano insieme.

Quale è dunque la lezione della Grecia?

Non credo che la sinistra abbia realizzato davvero quanto forti e intransigenti e inflessibili i creditori siano. Tu sei convinto di avere a che fare con persone ragionevoli quindi ti aspetti di riuscire a negoziare qualcosa. Quello che scopri invece è che loro sono disposti a tutto, persino a tollerare un danno economico, piuttosto che concedere qualcosa. Quindi la prima lezione è che se la sinistra vuole combattere l’austerità deve essere consapevole che gli avversari non sono persone ragionevoli ma persone disposte a tutto. La lezione numero due è che le persone in generale devono essere a conoscenza del modo decisamente poco trasparente in cui le istituzioni operano. Infine: bisogna porsi il problema di come influenzare il processo decisionale in un modo o nell’altro. In questo senso anche stare all’opposizione è importante.

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