Nei giorni scorsi i due ministri del partito Hdp – che unisce la sinistra curda ad alcune organizzazioni della sinistra turca – hanno presentato le dimissioni dal governo ad interim turco nato alla fine di agosto per traghettare il paese alle elezioni anticipate del 1° Novembre. La decisione di Ali Haydar Konca, incaricato degli Affari europei, e del collega Muslum Dogan, alla guida del dicastero dello Sviluppo, è stata annunciata dal loro partito all’interno del quale numerosi erano i malumori generati dalla presenza dei due deputati in un esecutivo privo di ogni potere e strumentalizzato dall’Akp per legittimare la guerra scatenata a fine luglio contro la guerriglia del Pkk ma anche contro intere comunità curde prese di mira nelle ultime settimane con bombardamenti, uccisioni indiscriminate e arresti di massa. Il successo dell’Hdp alle ultime elezioni ha moltiplicato le dichiarazione di “autonomia democratica” da parte delle municipalità curde e il governo di Ankara ha reagito con coprifuoco, posti di blocco, arresti di militanti, giornalisti e sindaci.
Era la prima volta che rappresentanti del Partito Democratico dei Popoli – e di un partito espressione del movimento di liberazione curdo – entravano a far parte del governo statale.
“Abbiamo ricevuto un trattamento inaccettabile come ministri. Abbiamo provato a portare avanti i nostri compiti, ma le circostanze ci hanno impedito di svolgerli in pieno” hanno affermato i due esponenti dell’Hdp annunciando le dimissioni, aggiungendo che “Un’atmosfera di guerra sta travolgendo il Paese e non riusciamo a fermarla. Erdogan e l’Akp l’hanno provocata per i risultati elettorali del 7 giugno“ nelle quali il partito islamista ha perso la maggioranza assoluta a causa del netto calo di consensi ma anche a causa dell’irruzione in parlamento dei curdi col loro inaspettato 13%.
I due ministri avevano cercato di far valere il proprio status recandosi di persona, insieme a decine di deputati e a migliaia di attivisti, a Cizre, la città del sud-est del paese tenuta sotto assedio per oltre una settimana e presa di mira dagli attacchi indiscriminati delle forze armate che hanno provocato più di 20 vittime civili. Ma la loro condizione di ministri non è bastata a convincere le autorità militari – su ordine del governo di cui erano membri – a lasciarli entrare nella città alla quale era stato imposto il coprifuoco. Nel frattempo dalle roccaforti a maggioranza curda piovevano critiche per la partecipazione dell’Hdp ad un governo ritenuto responsabile di un massacro senza precedenti.
Il premier del governo di transizione Ahmet Davutoglu non ci ha messo molto a rimpiazzare i due esponenti della sinistra, annunciando la nomina di due nuovi ministri: gli Affari europei sono stati affidati ad uno “specialista delle questioni internazionali”, Beril Dedeoglu, professore all’università Galatasaray di Istanbul, mentre il portafoglio per lo Sviluppo è passato all’attuale sottosegretario Cüneyt Duzyol.
Come appariva ovvio all’avvio delle operazioni militari in grande stile nel sud-est del paese, il governo cerca ora di pilotare e snaturare a proprio vantaggio il risultato elettorale; nei giorni scorsi l’ufficio elettorale ha già stabilito che 3 distretti e 23 villaggi della zona a maggioranza curda non potranno ospitare le urne per motivi di sicurezza, di fatto privando del diritto di voto decine di migliaia di elettori dell’Hdp.
Intanto i combattimenti e i bombardamenti proseguono senza sosta. Ieri un gendarme turco (membro della Polizia militare) è stato ucciso nella provincia di Diyarbakir, in un nuovo attacco dei combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). La vittima, un sergente di 25 anni, è stato abbattuto con un colpo d'arma da fuoco mentre si recava in borghese sul luogo di lavoro alla gendarmeria di Silvan. Sempre ieri alcuni militari sono rimasti feriti a causa di esplosioni che hanno colpito le loro vetture in due diverse zone del Kurdistan turco. Nei giorni scorsi un membro delle "Guardia dei Villaggi", una milizia filo-governativa formata per lo più da curdi collaborazionisti, è stato ucciso nel quartiere Silopi della provincia sud-orientale di Sirnak.
Se i morti tra le forze di sicurezza superano ormai il centinaio, le vittime curde – civili e guerriglieri – superano ampiamente il migliaio. All’inizio della settimana 5 presunti militanti del Pkk sono rimasti uccisi durante un raid compiuto dai caccia di Ankara contro alcune postazioni dei ribelli curdi nel sud-est della Turchia. Secondo i comandi militari gli F-16 avrebbero distrutto depositi di carburante e munizioni nella provincia di Hakkari, al confine con l'Iraq. Alcuni giorni prima un bombardamento ancora più massiccio aveva preso di mira le basi della guerriglia sui monti del Kurdistan iracheno, uccidendo – sempre secondo Ankara – circa 55 guerriglieri.
Infine, i servizi segreti tedeschi hanno affermato nei giorni scorsi di temere che il Pkk possa compiere attentati sul suolo tedesco contro obiettivi turchi. Secondo le indiscrezioni fatte filtrare dall’intelligence di Berlino il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (da tempo inserito nella lista nera delle organizzazioni considerate terroristiche dell’Unione Europea) potrebbe tentare "attacchi contro istituzioni come consolati, ambasciate, istituti culturali e anche negozi turchi" in Germania e "attirare l'attenzione dei media con atti di vandalismo, incendi e occupazioni". Bersagli, sempre a detta dei servizi tedeschi, potrebbero essere anche le compagnie aeree e le banche, così come le redazioni di radio e giornali. Nel paese, così come in Francia, Svizzera, Austria e Olanda, in queste ultime settimane si sono verificati numerosi attacchi da parte di ultranazionalisti e fascisti turchi contro le comunità curde che hanno iniziato a scendere in piazza per denunciare il massacro in atto nelle loro città di provenienza.
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