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29/09/2015

La foto del bambino siriano affogato era un falso? Forse, ma non ha nessuna importanza

La foto del piccolo Aylan privo di vita, come è noto, ha provocato una ondata di indignazione che ha contribuito alla scelta della Merkel di aprire le porte ai profughi.

Ora, c’è chi dice che si tratti di un falso inventato dal padre, ma, per la verità, non sembra discutibile che quel bambino sia morto (ci sono anche le foto del funerale svoltosi alcuni giorni dopo), quanto che alcune dichiarazioni del padre sulle circostanze in cui sarebbe avvenuta la morte dei suoi congiunti (è morta anche la madre del bambino) non corrispondano al vero o siano molto imprecise.

Insomma, non di falso si tratta, ma dell’immagine di un fatto dai contorni molto sfuocati in cui la cosa più sicura è che quel bambino sia effettivamente perito durante la fuga dal suo paese.

Poi che il bambino fosse rimasto staccato dalla famiglia per poco o per molto, che sia davvero scivolato dalle mani del padre durante il naufragio, che ci siano stati altri bambini periti nel disastro o meno, sono tutti particolari abbastanza secondari. Ma arrivo a dire che avrebbe potuto essere un falso integrale e magari riferirsi ad altro episodio accaduto in altra epoca in altra parte del mondo, o forse che si tratti solo di un montaggio fotografico: avrebbe senso stare ad indagare su questo? E se pure si appurasse il falso, cosa ci cambierebbe nella visione di quel che sta accadendo? Per caso non ci sono bambini che muoiono in circostanze del tutto analoghe in questo esodo? Quella foto non ha un valore documentario in sé, lo avrebbe, ad esempio, se dovessimo stabilire, in un processo penale, che il morto è quel preciso bambino per poter stabilire di chi è la responsabilità personale della sua morte. Ma non è questo il caso e quella foto non ha valore documentario quanto simbolico. E cito un precedente storico preciso: quella del miliziano spagnolo morente ritratto da Robert Capa. All’inizio nessuno la mise in dubbio, poi invece si sostenne che Capa si era messo d’accordo con un miliziano repubblicano che faceva solo finta di cadere colpito. Poi ci fu una cotroinchiesta e si ritenne che il miliziano fosse realmente caduto, avendo ritrovato la sua tomba dove c’era una data di morte coincidente con quella dichiarata da Capa. Ma alcuni contestarono quel riconoscimento e dissero che era un altro miliziano o quel miliziano era lo stesso ma la foto era precedente di qualche tempo alla data di morte effettiva, alcuni testimoniarono invece di aver assistito alla scena e di poterne garantire la veridicità. E la cosa forse avrà ancora altre puntate, ma a che serve? Quella foto divenne il simbolo della guerra civile spagnola e tale resterebbe comunque, anche perché, che il miliziano sia quello o un altro, o che esso sia effettivamente morto quello o un altro giorno, non cambia assolutamente nulla sul piano della conoscenza storica, perché ritrae una cosa banalissima (purtroppo) in una guerra: che ci sono caduti in combattimento. La funzione è quella di rendere “visibile” un fenomeno che per i più è solo un dato astratto. E così la foto di quel bambino rende evidenti gli orrori di quella guerra di cui saremmo perfettamente consapevoli anche senza.

Hanno ragione quelli che dicono che quella foto non ha parlato al cervello ma al cuore (o se preferite, alla pancia) della gente “svegliandola”. Benissimo: era ora che qualcuno lo facesse, perché occorre fare qualcosa per contrastare questa tragedia. Un noto giovane filosofo un po’ controcorrente ha contestato la cosa dicendo che questa reazione è il prodotto della cattiva coscienza di chi si indigna per il fatto ma non si chiede quale sia la causa dell’esodo (le brutalità dell’Isis) ed ha recuperato una citazione di Nietzsche che dice che nessuno mente come l’uomo indignato. Certo l’ipocrisia si veste spesso di indignazione, ma questo non significa che non ci si debba mai indignare per qualsiasi cosa. Ed io aggiungerei un rigo a quella affermazione del celebre filosofo tedesco: non c’è nessun uomo più miserabile di quello che non è capace di indignazione morale. E questo io lo penso anche sulla base di alcuni commenti che ho letto qui.

Per quanto riguarda le cause della tragedia in atto, mi pare di aver scritto chiaramente che occorre spegnere l’incendio, se occorre anche con la forza, magari facendo osservazioni politiche sulle modalità di un eventuale intervento di terra.

Tornando al caso di cui ci occupiamo, ammettiamo pure che la foto sia un falso dietro cui ci sia la mano di un servizio segreto che sta lavorando sul caso per ottenere suoi obiettivi politici (ad esempio i turchi che vogliono svuotare il serbatoio di disperati al loro confine o che vogliono spingere gli europei ad intervenire militarmente o altro ancora), forse per questo cesserebbe l’obbligo morale (e la convenienza politica, aggiungo io) di accogliere i profughi? E’ certo che in una situazione di caos del genere ci sono molti terzi interessati che ci bagnano il pane: c’è qualcuno così ingenuo da non averlo pensato dall’inizio? E’ ovvio che sia così. E allora? Quello che resta giusto fare resta giusto in ogni caso. Naturalmente non basta solo il buon cuore ed occorre studiare il modo di poter fare concretamente tendendo conto dei non pochi problemi economici, sociali, di integrazione ecc. che questo pone. Il guaio è che in questa storia ci sono due partiti dominanti: quello dei buonisti cretini e quello dei cretini amorali. I secondi sono più spregevoli, d’accordo, ma i primi sono i loro naturali alleati.

Insomma senso della fraternità umana e cervello non sono affatto cose inconciliabili, anzi l’unico modo di affrontare razionalmente le cose e guardare lontano e prevenire ulteriori disastri peggiori di questo.

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