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23/09/2015

Cizre, l’assedio, il sequestro, la morte

Il “pericolo di attentati” allontana il voto da Cizre, nel distretto di Sirnak, la città uscita con morti e feriti, da uno stato d’assedio durato dal 4 al 12 settembre. Per cui il Consiglio del distretto elettorale decide di non collocare urne nelle aree di Cudi, Nur e Sur che raccolgono 48.000 dei 66.000 elettori di Cizre, dove il voto plebiscitario per la formazione filo kurda dell’Hdp (98% alle elezioni di giugno) può sicuramente punire l’Akp. I quartieri in questione, come la città tutta che la stampa filo governativa definisce “irrequieti”, sono accusati di fiancheggiamento alle posizioni del Pkk e dunque continuano a essere al centro di palesi discriminazioni. Un recente rapporto di giuristi democratici aderenti all’European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights fra cui l’italiana Barbara Spinelli ha raccolto dati sul terribile assedio subìto. Dati ingombranti per violenza, sopraffazione, impostura. Dalle 6 del mattino del 4 settembre 130.000 abitanti, in maggioranza kurdi ma anche armeni e assiri, sono stati obbligati con la forza a restare in casa. Chi non ha rispettato l’obbligo è stato colpito con armi da fuoco, restando ferito o ucciso.

Perché contestualmente è stato impedito, egualmente con la forza, al personale medico e di associazioni umanitarie di soccorrere i feriti. I cittadini sono rimasti per giorni senz’acqua ed energia elettrica, fortemente isolati per l’interruzione del funzionamento delle reti mobili, GSM e internet. Esercizi commerciali e abitazioni sono stati bersagliati da militari e agenti di polizia accorsi in forze. Dopo quattro giorni di assedio diventava difficile recuperare anche generi alimentari. Il copresidente dell’Hdp Demirtaș, in compagnìa dei ministri dell’attuale governo turco per gli Affari Europei Konca e dello Sviluppo Dogan, hanno chiesto al ministro dell’Interno Altinok di visitare la città, ma gli è stato impedito. Una marcia a piedi che s’era avvicinata alla cittadina di Midyat, a 80 km da Cizre, è stata bloccata sempre dalla polizia. Egualmente una corposa delegazione formata da 300 avvocati kurdi e turchi che volevano osservare quanto stava accadendo non ha avuto possibilità di proseguire il tragitto verso Cizre. La città restava isolata dal mondo. Solo alle 6 del mattino del 12 settembre si diffondeva la notizia della cessazione dello stato d’assedio. Da quel momento un gruppo di avvocati è potuto accedere per le vie e,  dopo aver dovuto superare parecchi posti di blocco iniziava a osservare, fotografare, discorrere con la gente, tutta indistintamente provata.

Nel narrare quanto appariva ai loro occhi gli avvocati hanno scritto “Davanti ai nostri occhi si è presentato uno scenario di guerra, lungo le vie principali (Nusaybin e Idil Caddesi) si potevano raccogliere centinaia di bossoli esplosi contro case e centraline elettriche”. In quei giorni le temperature erano comunque elevate, sfiorando i 40 gradi, e l’interruzione dell’energia elettrica ha prodotto il deterioramento dei cibi nelle abitazioni e nei magazzini della città. Il danneggiamento con esplosivo di condutture d’acqua e dello stesso sistema fognario produce problemi igienico-sanitari non indifferenti, producendo tuttora una situazione in emergenza assoluta e di pericolo per la comunità. “Nelle strade - prosegue il rapporto -  l’odore è insopportabile per fuoruscita di gas da tubi divelti, cibo avariato, animali morti, immondizia non ritirata”. Dai familiari delle vittime la delegazione ha raccolto le testimonianze di alcuni uccisi. Abdul, cardiopatico, è morto per un attacco di cuore durante il bombardamento della sua abitazione, due donne di 35 e 17 anni Mașallah e Zeynep sono morte insieme a un bambino di 11 mesi, colpite dai cecchini mentre rincasavano sono morte dissanguate.

Anche un’altra donna, la cinquantaduenne Meryem, è deceduta per le ferite: colpita da schegge d’una bomba lanciata dai soldati non ha avuto soccorso poiché è stato impedito l’arrivo dell’ambulanza. Medesima disgrazia che ha colpito Sait, studente di 16 anni, il cui corpo, attraversato dal proiettile sparato da un cecchino, sanguinava per sei ore prima di giacere esanime. Alla famiglia veniva vietata la sepoltura, pena altre sparatorie indiscriminate e omicide. Se i comunicati dell’esercito parlano di 32 miliziani del Pkk uccisi, i dati raccolti dalla delegazione degli avvocati dell’Eldh parlano anche di uccisioni di donne, giovani e alcuni anziani. Ne sono stati contati 26 e oltre duecento feriti, tutti costoro erano disarmati tanto che l’équipe di avvocati lancia l’accusa di vere esecuzioni sommarie. Gli assalti sono stati condotti via terra con l’uso dei Panzer Kobra e via aria tramite elicotteri Leopard. Utilizzate anche armi pesanti ad ampia gittata con cui, dall’alto di alcune abitazioni “conquistate” dai corpi speciali, si sparava ad ampio spettro sui tre quartieri citati. Il rapporto lancia un monito alla politica interna affinché sia aperta un’inchiesta che individui dirette responsabilità esecutive e decisionali, alla Comunità Internazionale che deve esaminare prove e testimonianze raccolte e, secondo la Carta dell’Onu, proteggere le popolazioni locali da crimini di tale natura.

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