Continua l’opera di disinnesco della mina Corbyn da parte dell’establishment britannico. Mentre per il momento gli viene lasciato campo relativamente libero sui temi di politica interna (le prossime elezioni sono nel 2020, c’è tutto il tempo), è sui temi di politica estera e, in particolare, sulla questione siriana che si esercita grande pressione. Si è fatto, molto, infatti, per convincere l’opinione pubblica della necessità che i bombardieri di sua maestà si mettano in azione “contro la minaccia dell’Isis” (ma, in effetti, si lascia sempre trapelare che l’obiettivo numero uno è rovesciare il governo di Bashar Al-Assad) e avere il leader del principale partito di opposizione che utilizza la propria influenza per opporsi a questa decisione mette in crisi i piani del governo e dello Stato Maggiore e rischia di vanificare la grancassa mediatica creata intorno all’argomento.
Intanto, Jeremy Corbyn, subito dopo il voto ha immediatamente dimostrato di tenere in conto le esigenze di real politik nel primo atto che tradizionalmente tocca ai nuovi leader dei partiti di opposizione britannici, ossia la formazione del “governo ombra”, in cui i vari “incarichi ministeriali” sono stati distribuiti utilizzando il manuale Cencelli: fra gli altri, l’economia è andata a McDonnel, esponente molto radicale della sua corrente, gli interni invece all’ex-sfidante moderato Burnham, e gli esteri al blairiano Hilary Benn.
Come dicevamo, a scuotere la tranquillità del leader socialista e a far risvegliare i suoi sostenitori dalla sbornia del trionfo elettorale ci sono le pesanti pressioni interne ed esterne esercitate in maniera trasversale per cambiare la posizione del Labour sul tema dei bombardamenti in Siria.
Lord Falconer, un ex-ministro di Tony Blair e “ministro ombra” della giustizia ha affermato di essere pronto a votare a favore dell’avventura militare nel martoriato paese mediorientale nonostante l’opposizione del proprio leader, adducendo, ovviamente, una questione di sicurezza nazionale. Il nobile esponente blairista del Labour, dopo aver elencato in Parlamento una serie di questioni sulla quali dissente con Corbyn, fra cui la sua linea sulla NATO, sull’UE, sul Tridente, sulla necessità di nazionalizzare le compagnie energetiche e ferroviarie (cioè, praticamente tutto), ha affermato alla BBC: “La mia visione in relazione agli attacchi in Siria è che se vi è una base militare e legale, dobbiamo farli”. Egli ha inoltre fatto capire che vi è metà del governo ombra che condivide la sua linea. In effetti, la pensa così anche Hilary Benn, il quale, dopo aver affermato di non credere affatto che la linea del Labour sarà quella di smantellare gli armamenti nucleari e ritirarsi dalle alleanze militari a partire dalla Nato, ha precisato: “In relazione ai bombardamenti, dobbiamo guardare agli obiettivi. Al momento non conosciamo quale sia la proposta (che il Governo Cameron porterà in Parlamento)... Giudicheremo in base all’obiettivo, la base legale…”.
La patata bollente, a questo punto, passa nelle mani di Corbyn, il quale deve decidere se tenere duro sulla sua linea di assoluta contrarietà all’impegno militare britannico in Siria ponendo ai parlamentari laburisti (in maggioranza contro di lui) il vincolo di disciplina di partito, oppure lasciare libertà di coscienza per non sfasciare immediatamente il Labour. Intanto, ha fatto sapere di aver abbandonato la “Stop the war coalition”, movimento contro la guerra esplicitamente di sinistra radicale che per anni ha contribuito ad animare, ufficialmente per i troppi impegni; in realtà, si tratta anche in questo caso, ovviamente, di una mossa di real politik.
Sul fronte degli attacchi esterni, dopo l’uscita del Premier Cameron, che subito dopo la sua elezione a leader del Labour lo aveva definito sui social network “un pericolo per la sicurezza nazionale”, minacce esplicite arrivano da fonti anonime interne all’esercito. Un generale in pensione ha affermato che se Corbyn diventerà Primo Ministro e danneggerà il prestigio delle forze armate mettendo in discussione la presenza del paese nella NATO, il Tridente, gli armamenti nucleari, allora vi sarà una diserzione di massa nell’esercito a tutti i livelli tale da configurare un vero e proprio ammutinamento. “Non si può mettere un anticonformista come responsabile della sicurezza nazionale”, ha rimarcato sprezzante il militare. Ricordando, poi, la militanza passata di Corbyn nei movimenti di solidarietà con la causa del popolo irlandese il generale in pensione, che combatté proprio in Irlanda del Nord nella trentennale guerra coloniale a bassa intensità contro gli indipendentisti irlandesi, ha affermato: “Molti soldati sono disgustati dai commenti di Corbyn e McDonnell sull’IRA, uomini che non solo hanno ucciso soldati britannici, ma anche molti membri della loro comunità”.
In effetti, nei giorni scorsi il ministro ombra McDonnel è stato costretto a scusarsi pubblicamente per una dichiarazione risalente al 2003 in cui affermava che ai combattenti dell’Esercito Repubblicano Irlandese e di altri gruppi, incluso Bobby Sands (divenuto simbolo della lotta indipendentista irlandese essendo morto in carcere nel 1981 a seguito di uno sciopero della fame a oltranza) il governo britannico dovrebbe rendere onore; McDonnel, inoltre, nella stessa dichiarazione scherzava ironizzando sulla possibile uccisione di Margaret Thatcher, allora ancora viva e vegeta.
Come si vede siamo solo all’inizio, ma l’opera di logoramento nei confronti di Corbyn, il quale si barcamena nel tentativo di tenere assieme l’inconciliabile, procede a spron battuto, sia all’interno che all’esterno del Partito Laburista; il primo, vero, scoglio sarà il voto parlamentare sui bombardamenti in Siria, che potrà già porre in difficoltà o la tenuta del partito o la tenuta della sua linea.
Resta, inoltre, da vedere che fine ha fatto la marea umana che ha supportato la sua campagna per la leadeship del Labour appena trascorsa e se essa potrà avere un ruolo nelle prossime vicende politiche.
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