di Roberto Prinzi
“Questi omicidi
riceveranno una risposta. Abbiamo già aumentato le nostre forze [armate]
sul terreno. Troveremo questi assassini e li consegneremo alla
giustizia. Combatteremo questi terroristi”. Parola del premier
israeliano Benjamin Netanyahu. Ieri il primo ministro – ancora a New
York dopo il discorso tenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
giovedì – ha incontrato il Segretario Usa John Kerry e lo ha ringraziato
per aver condannato le uccisioni dei coloni Eitam e Naama Henkin, assassinati due giorni fa nei pressi di Nablus da un gruppo armato vicino a Fatah.
Oggetto delle parole di Netanyahu, però, è stato soprattutto Mahmoud Abbas. Il
presidente palestinese, infatti, è stato duramente criticato per il suo
“assordante silenzio” cioè per non aver denunciato l’attacco e quindi,
ha lasciato intendere Bibi, per la sua complicità con i “terroristi”.
Un atteggiamento, ha tenuto a sottolineare il premier israeliano, molto
differente da quello che ha avuto il suo governo lo scorso luglio
quando un gruppo di coloni ha arso viva la famiglia palestinese Dawabshe
uccidendo 3 dei suoi 4 componenti. Allora il suo esecutivo, ha
ricordato ieri il primo ministro, denunciò senza mezzi termini l'”atto
brutale di alcuni estremisti”. Quel che non ha però menzionato Netanyahu
è che, a distanza di due mesi da quel terribile rogo, la “caccia
all’uomo” che lui aveva promesso non ha prodotto grandi risultati. “Se i palestinesi non combattono il terrorismo, sarà Israele a farlo” ha dichiarato ieri il leader israeliano
di fronte al condiscendente alleato americano. Secondo Bibi, non solo
Abbas non ha mostrato solidarietà ad Israele per quanto accaduto, ma
“peggio, ho sentito addirittura alti ufficiali di Fatah [il partito del
presidente palestinese, ndr] lodare questa azione. Dicono che così
bisogna agire. No, non si fa in questo modo”.
Kerry, da parte sua, ha espresso allo stato ebraico le condoglianze dell’amministrazione Obama.
“Condividiamo con voi il dolore che Israele sente oggi. Spero che
riusciremo a condividere anche gli sforzi per ridurre e, alla fine,
evitare che alcune famiglie vadano incontro a questo genere di perdite”.
Ma Abbas è stato ieri al centro dell’attenzione di molti politici israeliani. Il ministro dell’istruzione Naftali Bennet nonché leader di Casa Ebraica,
il partito megafono delle istanze dei coloni, ha scritto su Facebook
che l’attacco di venerdì è la prima conseguenza del discorso di
mercoledì del presidente dell’Autorità palestinese (Ap) all’Onu. “La
chiamata alle armi di Abu Mazen [Abbas, ndr] è stata sentita in Israele.
Un popolo i cui leader istigano all’omicidio non avrà mai uno stato.
Questo dovrebbe essere detto in modo chiaro e ad voce alta. Ora che il
tempo del dialogo è finito, è arrivato il momento di agire”. Sulla
stessa lunghezza d’onda la ministra della Giustizia Ayelet Shaked
che, al canale 2 della televisione israeliana, ha suggerito
l’imposizione ai palestinesi di “disposizioni dolorose”. Shaked ha poi
lanciato una bordata verso Netanyahu accusandolo di non aver compiuto i
passi necessari per combattere il terrorismo. “L’esercito ci prova – ha
detto la giovane ministra – ma non sta facendo abbastanza”.
Attacchi all’Autorità palestinese vengono anche dal “centro” dello spettro politico israeliano.
Il capo di Yesh Atid, Yair Lapid, ha collegato il discorso pronunciato
all’Onu da Abbas al “brutale assassinio” dei due coloni. Secondo Lapid,
infatti, quanto avvenuto giovedì sera è una diretta conseguenza della
“politica di istigazione e di bugie” portata avanti dall’anziano leader
palestinese.
Anche il presidente israeliano Rivlin – in Occidente considerato un “moderato” – ha commentato con toni molto duri quanto accaduto ai coniugi Henkin.
Partecipando nella mattinata di ieri ai loro funerali ha dichiarato che
“tutta la terra appartiene a Israele” aggiungendo che la costruzione di
insediamenti nei Territori occupati cisgiordani continuerà. Parole che
avranno di sicuro calmato un po’ la rabbia dei coloni da tempo delusi
per la politica “debole” di Netanyahu. Ieri uno di loro, il capo
del Consiglio regionale della Samaria, ha iniziato uno sciopero fuori
la residenza del primo ministro israeliano a Gerusalemme. Yossi
Dagan ha dichiarato che la sua protesta durerà finché Bibi “non
riconoscerà i diritti” degli israeliani che vivono in Cisgiordania. “Non
ritornerò a casa dopo questo omicidio – ha detto Dagan – ieri, per quel
che ci riguarda, anzi per quel che riguarda l’intero popolo di Israele,
è stata superata una linea rossa. Non ritorneremo alla nostra routine quotidiana, non rimarremo in silenzio“.
E così è stato. Gli attacchi di rappresaglia dei coloni contro case e macchine palestinesi – iniziati subito dopo che si era diffusa la notizia dell’omicidio degli Henkin – sono continuati anche durante l’intera giornata di ieri.
I settler hanno attaccato le autoambulanze, scritto frasi razziste sui
muri e bruciato le terre dei palestinesi. Le violenze dei coloni hanno
avuto luogo principalmente nell’area di Nablus (nel nord della
Cisgiordania), ma attacchi si sono registrati anche a Betlemme e
Ramallah. Nel distretto di Nablus l’esercito israeliano ha imposto
severe restrizioni al movimento dei palestinesi nel tentativo, ha così
motivato, di catturare gli assassini. A partecipare alla “caccia
all’uomo” saranno quattro unità da combattimento già dispiegate nella
zona.
Colpi di armi da fuoco sono stati sparati in varie parti della Cisgiordania.
Le forze armate di Tel Aviv hanno utilizzato proiettili veri per
disperdere la marcia settimanale a Kafr Qaddum in Cisgiordania. Il
bilancio finale è stato di due palestinesi feriti. Uno di questi, Ahmad
Talaat, è un reporter indipendente che stava documentando la protesta.
L’agenzia palestinese Wafa riferisce, inoltre, che un uomo di 35anni è
stato sparato alle gambe dai settler nei pressi di Betlemme.
Situazione tesissima anche a Gerusalemme. Secondo la
stampa israeliana, a Shufaat un palestinese avrebbe gettato una pietra
contro un treno leggero dopo la preghiera del venerdì senza causare né
danni né feriti. Duri scontri tra palestinesi e forze di polizia
israeliane si sono registrati anche a Isawiyya sempre nella parte araba
della città. Nessuna conseguenza ha causato il lancio da parte di ignoti
di alcune molotov verso l’ospedale cittadino Hadassa. Nella colonia di
Psagot le Brigate dei Martiri di al-Aqsa (Fatah) avrebbero sparato
alcuni colpi di arma da fuoco, mentre in quella di Kochav Ya’acov il
portale israeliano Walla riferisce di una adolescente colpita alla gamba
da un proiettile vagante.
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