di Michele Giorgio il Manifesto
Si consolida la testa di ponte
delle forze governative alla periferia di Mosul. Quella che in primo
tempo appariva come una incursione per testare la forza e le reazioni
dell’Isis, si è trasformata in un primo avamposto all’interno della
città. Unità speciali dell’esercito ieri hanno bonificato le strade
dalle bombe e condotto rastrellamenti casa per casa uccidendo, in
circostanze non chiare, sei (presunti) miliziani dell’Isis in un tunnel e
altri due nelle abitazioni perquisite a Gogjali e in aree alla
periferia orientale di Mosul. Se a Gogjali le armi ieri hanno taciuto, i
combattimenti sono andati avanti in altre zone della cintura esterna di
Mosul.
Le truppe governative hanno fatto qualche progresso a sud
dove hanno preso il controllo di quattro villaggi, il più grande è Min
Gar, a circa 10 km dalla città. Le autorità irachene hanno
anche permesso a un primo gruppo di reporter di entrare nelle aree
liberate. Tra questi l’inviata della Rai Lucia Goracci. «Sono stata
accolta da civili in festa che sventolavano bandiere bianche di
fortuna», ha raccontato la giornalista «(gli abitanti) gridavano ‘Dio vi
benedica’ e ‘Daesh (Isis) vada all’inferno’ ... c’erano donne con indosso
vesti colorate, uomini che si erano già rasati la barba». Goracci ha
anche riferito di aver visto i cadaveri di uomini dell’Isis morti nei
combattimenti.
Intanto fonti curde sostengono che il Califfo Abu Bakr
al-Baghdadi si troverebbe ancora a Mosul, al contrario di voci circolate
in passato che lo davano in salvo in un rifugio lontano dalla città
dove due anni fa proclamò la rinascita del Califfato. Cresce la
preoccupazione per i civili. E non solo quelli intrappolati
(circa un milione) all’interno di Mosul, non pochi dei quali sarebbero
ostaggio dei jihadisti decisi a non arrendersi. Il rischio di
rappresaglie e vendette è alto. Amnesty International ha denunciato che
miliziani sunniti della tribù Sabaawi, alleata del governo, hanno
detenuto nei villaggi di Makuk, Tal al Shaeir e Douizat al Sufla,
numerosi abitanti, accusandoli di essere sostenitori dell’Isis e
sottoponendoli a torture, pestaggi e abusi.
I Sabaawi, spiega Amnesty, intendono vendicarsi delle uccisioni a
sangue freddo di membri della loro tribù compiuti dall’Isis. L’accaduto
conferma che il rischio di vendette contro i civili giunge anche
dalle formazioni paramilitari sunnite e non solo dalle milizie sciite
delle Unità di mobilitazione popolare (Hashd Shaabi) come sostiene il
leader turco Erdogan per giustificare un intervento del suo esercito in
territorio iracheno e a Mosul. Proprio le milizie sciite si
dimostrano, al pari dei peshmerga curdi, fondamentali per il successo
dell’offensiva in corso. Ieri sono avanzate in altri 115 kmq di
territorio, portando a 705 chilometri quadrati l’area liberata a ovest
di Mosul. Hanno anche preso il controllo dell’oleodotto a sud di Mosul
uccidendo, dicono, 47 uomini dell’Isis.
Il compito delle Hashd Shaabi è tagliare le vie di
comunicazione tra Mosul e il territorio siriano attraverso le quali i
miliziani dell’Isis in fuga e i loro parenti tenteranno di raggiungere
la Siria. Puntano anche su Tal Afar, città turcomanna e antico avamposto
ottomano, che Ankara sostiene di voler proteggere da possibili
aggressioni degli sciiti. Il ministro degli esteri turco Mevlut
Cavusoglu è stato categorico quando ha avvertito che la Turchia, che ha
truppe già dispiegate a Bashiqa, in territorio iracheno, è pronta ad
agire con forza per difendere i turcomanni. Ankara in realtà intende
contrastare, con la sua presenza militare nel nord dell’Iraq,
l’influenza dell’Iran che controlla e finanzia le Hashd Shaabi (che
ufficialmente sono agli ordini dell’esercito regolare iracheno).
Di pari passo con l’evolversi del quadro militare intorno e
dentro Mosul, aumenta l’emergenza degli sfollati. L’Unicef avverte che
sono già 18mila, la metà dei quali sotto i 18 anni. Al campo di
Khazir gli sfollati che vivono lì da due anni raccolgono cibo e altri
generi di prima necessità per i parenti e gli altri iracheni che
scappano da Mosul per sottrarsi ai combattimenti e ai bombardamenti
feroci che si prevedono nei prossimi giorni. Anche gli altri campi
profughi si riempiono di nuovi arrivi. Occorrono ulteriori aiuti
internazionali per accogliere una massa di civili, in fuga dalla guerra,
che è destinata a crescere con il passare dei giorni, ha avvertito ieri
Jennifer Sparks dell’Organizzazione internazionale per la migrazione.
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