Venticinque anni di lotte No Tav
“Siamo un popolo che crede in quello che fa,
che crede nella resistenza, che crede in un mondo migliore,
e crede che cambiare questo porco modo di fare la politica
sia ancora possibile”
Alberto Perino
L'ultimo lavoro di Wu Ming 1 “Un viaggio che non promettiamo breve” (Einaudi), già nel titolo, racchiude tutta la prospettiva del libro. La lotta di resistenza delle popolazioni della Val Susa contro il progetto del Tav, si dilata nel tempo: è il tempo dei montanari che vivono secondo i ritmi della montagna, è un tempo che si intreccia con le lotte dei partigiani, degli operai e con i movimenti pacifisti assumendo un respiro internazionale.
La bibliografia sul Tav e il movimento No Tav è varia e approfondita, eppure c'era bisogno di questo libro. Un “oggetto letterario non identificato”, un romanzo che romanzo non è, un testo che ha il respiro del saggio ma che ha la capacità di portare il lettore in montagna accanto ai valsusini.
La Val Susa diviene paradigma del nostro tempo, nodo socio-politico in cui si ri-scopre il peggio della nostra Italia: le rocce, gli alberi, la storia e il paesaggio sono preda della famelica Entità che tutto vuole divorare e che non si arresta dinanzi a nessuno. Un mostro fatto d'acciaio e cemento, di soldi e interessi economici, di amianto e riciclaggio di rifiuti, di verità taciute e menzogne propagandate dai media nazionali.
Il Tav o meglio Tac (treno ad alta capacità) dovrebbe servire a trasportare milioni di merci su rotaia e farebbe parte di un più ampio progetto di asse ferroviario Est-Ovest, da Lisbona a Kiev, passando per l'Italia. Il condizionale in realtà è totalmente fuori luogo: i progetti transeuropei sono stati abbandonati quasi ovunque perché inutili e dispendiosi. Per quanto riguarda le merci, si sa ormai da anni che non è stimabile nessun aumento del traffico, semmai c'è stata una significativa contrazione (-66% dal 1997 al 2012 nella tratta interessata). In Italia come in quasi tutta Europa, i treni ad Alta Velocità sono in perdita: linee costruite per drenare denaro pubblico e favorire il business immobiliare, non sono convenienti per i passeggeri che preferiscono i convogli a basso costo anche perché si spostano, nella maggior parte dei casi, su brevissimi percorsi.
Eppure in Italia i giornali di regime fanno da gran cassa alle opinioni pro Tav, che sono solo opinioni, appunto. Mancano totalmente di rimandi a dati economici reali e si appellano ad un generico interesse nazionale. Interesse di chi, verrebbe da chiedersi.
Sicuramente di alcuni personaggi legati agli affari mafiosi, di cui i No Tav avevano denunciato ben prima dei processi, la pericolosità.
Interessati al Tav sono di certo le grandi ditte cementificatrici che hanno ricoperto il 7% del suolo nazionale di bitume e continuano a fare soldi grazie agli investimenti di denaro pubblico, nostro.
Il rischio ambientale invece, non fa parte dell'interesse nazionale: la Val Clarea, la zona direttamente interessata dall'ultimo progetto, ha un territorio fragilissimo e a rischio geologico; è inoltre attraversata dall'antica Via Francigena, dichiarata patrimonio culturale d'Europa.
Wu Ming ci narra la resistenza costante, unita e democratica della Valle.
“Resistere con dignità per esistere con gioia”: queste le parole scritte sullo striscione che, nel 2011, ventimila No Tav portarono in corteo nella valle militarizzata.
La Val Susa intera dice No al progetto. Non è mai riuscita qui, la separazione fittizia, propagandata dai media, tra “buoni” e “cattivi”. Tutti, sindaci, studenti, contadini, pacifisti, scienziati sono uniti nelle ragioni della lotta e conoscono a fondo il problema. Il mondo pro-Tav fatica a confrontarsi con queste persone che hanno dalla loro una conoscenza capillare e razionale della questione.
I valsusini parlano e agiscono con la forza della ragione e contemporaneamente con metodi creativi. Wu Ming ha il grande merito di raccontare tutti gli aspetti che convivono in queste lotte: le baite di legno dove si vive insieme e si sperimentano nuove forme di socialità; i corsi di cucina naturale che le signore della Valle tengono nei presidi, le marce pacifiche nei boschi, i festival di musica, le preghiere recitate dinanzi ai recinti del cantiere mentre altri compagni tagliano le reti.
I No tav hanno avuto la forza di creare una collettività senza uguali in Italia; una piccola società coesa che è stata capace di comprare terreni collettivamente per evitare gli espropri e che apre le porte delle case ai manganellati dei numerosi cortei.
Da dove nasce tutto questo? E perché è stato possibile qui e non in altri territori dove anche se incisive, le lotte si sono esaurite o sono restate marginali rispetto all'intera comunità? Questa la domanda di fondo del libro e sicuramente la parte più interessante.
Wu Ming 1 ci riporta indietro nel tempo, un tempo vivo, dilatato che connatura le esistenze dei valsusini. Una memoria che è viva nelle lotte di oggi, nei gesti dei figli e dei nipoti dei vecchi partigiani che qui dovettero misurarsi spesso con gli occupanti non essendoci per conformazione geografica una reale distanza fisica tra le parti.
Ma ancora più indietro nel tempo, la Valle è stata protagonista già alla fine dell'Ottocento con i primi scioperi nelle fabbriche tessili e poi con i blocchi e le rivendicazioni dei ferrovieri che erano stati partigiani e avevano organizzato attentati e sabotaggi lungo la linea ferroviaria.
In Val Susa nel dopoguerra, preti e cattolici resistenti assunsero posizioni scomode e laiche rispetto al Vaticano. Non a caso in valle trovò ampia risonanza la dottrina della Teologia della Liberazione e la lotta del Movimento Sandinista.
Altro filone di rottura dell'ordine borghese fu il GVAM (Gruppo valsusino di Azione Non-violenta) che vide fra i suoi protagonisti Alberto Perino, oggi in prima linea nel Movimento No Tav.
I lavoratori delle Officine Moncenisio nel 1970, profondamente antimilitaristi, si rifiutano di costruire armi e attraverso blocchi e scioperi vinsero la battaglia.
Tutto questo è la Val Susa e molto altro ancora. Le lotte di oggi affondano in quelle del passato e si raccontano in un filo rosso di resistenze creative e spiazzanti per i tutori dell'ordine che sono massicciamente coinvolti nella pratica repressiva in valle. Mentre i giornali dipingono i No tav come giovani aggressivi e pericolosi, gruppi di ottantenni incappucciati lanciano petardi e fuochi artificiali dentro i cantieri. Il lettore non può fare a meno di sorridere al pensiero delle facce dei poliziotti dinanzi agli arzilli difensori della valle.
Lo stato attraverso la Procura di Torino e gli articoli pilotati sui più noti giornali nazionali, ha tentato e sta tentando in tutti i modi di fermare la lotta. I maxi processi eseguiti a tempo di record sono il termometro della paura dell'apparato politico. Perché nonostante le misure cautelari, le accuse di terrorismo, il tentativo di dividere i valligiani attraverso subdole strategie da prima repubblica, i montanari sono ancora là. Percorrono anche loro vie legali e denunciano quotidianamente soprusi e pestaggi, danneggiamenti e incendi ai presidi No Tav, atti illeciti e ossessione giudiziaria. Non a caso, il Tribunale Permanente dei Popoli nel novembre 2015 riconosce la violazione da parte dello stato italiano, dei diritti fondamentali degli abitanti, e non è un particolare da poco.
Ma la giustizia non interessa né Telt (subentrata ad LTF nel 2015) che deve costruire il tunnel geo-gnostico più inutile della storia, né il procuratore Caselli che non ha affatto gradito il libro di Wu Ming, ben consapevole della risonanza nazionale e internazionale dei lavori del Collettivo di scrittori.
I politici dei principali partiti al potere odiano i No Tav e ciò che rappresentano. Negli anni hanno provato in ogni modo a “corrompere” il Movimento, a imbrogliarlo con la promessa della co-partecipazione alle decisioni che mai c'è stata. Hanno messo su il fantoccio dell'Osservatorio tecnico a cui hanno invitato i sindaci della Valle. La trappola non è scattata e i valsusini hanno più volte denunciato l'inutilità e la complicità dell'organismo creato ad hoc. E' notizia recente che il Comune di Torino, a guida 5 Stelle ha finalmente deliberato l'uscita da tale Osservatorio, svelandone pubblicamente la complicità con i fautori del Tav, a dispetto della sbandierata imparzialità.
La Val Susa fa paura al potere che vorrebbe le popolazioni remissive e disinformate. La Val Susa fa paura perché mostra non solo e non semplicemente momenti e modalità di lotta, ma soprattutto un modello di società altra, totalmente alternativa a quello degli stati occidentali e al loro sistema politico. In Val Susa le persone non delegano agli altri ma vivono da protagonisti la ricerca di una nuova qualità di vita. La Val Susa vive ogni giorno all'insegna dell'“Alta Felicità” e la vuole per tutti, abitanti della montagna, folletti dei boschi e alberi secolari.
La Val Susa non può piacere a chi ogni giorno tenta di ridurci a sudditi. Per questo Wu Ming 1 ce la racconta: ci indica un percorso e un modello non solo possibile, ma vincente.
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