So che buona parte dei lettori di questo blog storce il naso quando scrivo di Pd e di Forza Italia o simili:
per la maggior parte sono argomenti di cui non mette conto parlare,
perché ormai irrimediabilmente avviati sulla via del tramonto, anzi:
sono “partiti morti” e questo in particolare dopo il 4 dicembre che ha
“steso” Renzi ed il Pd. Ma le cose non stanno proprio così.
Certo: sono stato fra i primissimi a scrivere che quella del referendum sarebbe stata una botta mortale per il Pd e non lo rinnego affatto. Questo però non significa che domani mattina facciamo il funerale e dopodomani la sepoltura.
Il Pd ha ancora un reticolo fortissimo di amministratori locali, ha
dietro di sé la Lega delle Cooperative, ha voce in capitolo nella Cgil
ed ha nella Cisl una amica, ha rapporti internazionali, ha un’area di
influenza in calo ma sempre numericamente cospicua. Soprattutto ha
ancora in mano il governo, almeno per un anno. Ci sono moribondi che
vanno avanti per un bel po’, per forza di inerzia e ci sono agonie che
possono protrarsi anche per un bel po’, magari per improvvise e pur
effimere migliorie.
E’ probabile che nelle prossime settimane il disfacimento continuerà
e forse il decorso sarà più breve del previsto, ma non è scontato che
vada così. Soprattutto, bisogna tener presente una cosa: il fatto che il
Pd si frantumi e/o perda consensi non significa che la gente che lo ha
composto, sostenuto ecc. si dissolva, si converta di colpo alle idee del
M5s o di Sinistra Italiana, o vada in Africa (uno aveva promesso di
farlo ma poi...).
Quindi da quel bacino elettorale nascerà qualche altra cosa,
appunto per il principio, ricordato da uno degli interventori, per cui
nulla si distrugge e tutto si trasforma. E quindi siano interessati a
capire che trasformazioni si stanno profilando. Basta: veniamo al merito
di questo pezzo.
Renzi ha vinto seccamente,
che poi sia con il 68% come dice la sua corrente, o con il 62% come
dicono le correnti di minoranza, mi pare che non cambi nulla.
Orlando è intorno al 25% ed Emiliano al 6%. Quindi Renzi ha la
maggioranza assoluta dell’Assemblea Nazionale pregiudicando anche il
risultato per l’elezione del segretario. Infatti, al di là del vantaggio
psicologico, il punto è che non ha concorrenti di fatto: se anche, per
un qualche miracolo, Orlando vincesse, poi dovrebbe dirigere il partito
con una Direzione al 60% ostile. Vi pare realistico?
Certo, non si possono escludere incidenti di percorso o
“interferenze” (vicende giudiziarie, difficili rapporti fra governo e
partito, polemiche sulla regolarità della consultazione ecc.) e va
considerato che adesso voteranno anche i non iscritti al partito – per lo
strambo regolamento del Pd – ma difficilmente la tendenza del congresso
potrebbe incrementarsi o, al contrario, rovesciarsi.
In effetti: che la tendenza congressuale si inverta
sino al punto di portare Renzi sotto quota 50% è possibile ma è meno
probabile che Berlusconi faccia voto di castità. Dunque, Renzi si è
aggiudicato questa partita senza se e senza ma.
Perché? Essenzialmente per tre ragioni: per l’inconsistenza dei suoi
competitori, per la scissione che ha portato fuori una larga fetta dei
suoi oppositori e per la voglia di rivincita degli iscritti al Pd che
vedono in lui l’uomo del 40%, l’unico che può farli sperare.
Ma la lettura dei risultati lascia intravedere diverse cattive notizie per il Pd.
In primo luogo pesano i dati sul tesseramento: meno
centomila iscritti (circa il 20%) rispetto alla volta precedente. Per di
più: a settembre gli iscritti erano 100.000 in tutto, poi, nonostante
la batosta referendaria e la scissione sono saltati di colpo a 400.000,
va bene crediamoci: magari è stato proprio il congresso a richiamare gli
ex iscritti. Però c’è qualcosa che non quadra: scusate che senso ha che
una persona si iscriva ad un partito perché c’è il congresso e poi non
vada a votare? Sin qui la percentuale di partecipazione dovrebbe essere
il 58%, poco più della metà. Pur ipotizzando che la percentuale si
rifletta ugualmente fra i 100.000 di settembre ed i 300.000 che si sono
iscritti dopo, resta che il 42% di quelli che si sono iscritti perché
c’era il congresso poi non sono andati a votare. Avevano tutti il mal di
denti? Chissà.
In ogni caso non è un segnale di buona salute che fa
intendere che Renzi vince ma in un partito in calo di adesioni e,
stando ai sondaggi, di voti. Vedremo quanti andranno a votare alle
primarie, ma i più ottimisti sperano fra la metà ed i 2/3 rispetto alla
volta precedente. Anche se andrà così non mi pare un granché.
Peraltro occorre considerare che diversi militanti (quanti lo sapremo
dopo) hanno già dichiarato che avrebbero riconsiderato se restare nel
Pd in caso di vittoria di Renzi e, peraltro, non è affatto escluso che
possa esserci una nuova scissione: Orlando ed i suoi che restano a fare
nel Pd? La prospettiva di una rivincita chissà quando è così remota da
non essere un motivo di qualche efficacia per restare. E soprattutto è
plausibile che Renzi faccia le liste passando gli oppositori al
tritacarne, per tre ottime ragioni: perché ha bisogno di posti per
premiare chi lo ha sostenuto, perché deve prepararsi al confronto con
Gentiloni e la corrente “europeista” del partito che già si profila
all’interno stesso della maggioranza renziana, perché non è tipo che
dimentichi offese e tradimenti. Staremo a vedere.
Ma la notizia peggiore per il Pd è un’altra:
l’assoluta mancanza di alternative a Renzi nel partito. Se dopo una
batosta come quella del 4 dicembre, tutto quello che il Pd esprime sono
due candidati che superano di poco il 30% e non suscitano alcun
entusiasmo nella base (e come potrebbero? Orlando è di un grigio-noia
che di più non si può, Emiliano esprime una notevole carica
folkloristica, ma, insomma, non va bene per competizioni di questo
tipo), vuol dire che il Pd è un partito senza futuro. Infatti, se Renzi
dovesse prendere una nuova batosta alle politiche (cosa possibilissima)
che ricambio avrebbe il Pd? A quel punto anche Orlando e Gentiloni
sarebbero minestre riscaldate.
5 anni fa, quando Bertinotti imperversava in
Rifondazione nonostante i suoi errori che io criticavo, mi sentivo
rispondere: “E chi c’è che possa sostituirlo?”. Ed era vero, solo che io
rispondevo: “Un partito che non ha possibili ricambi al vertice è un
partito già morto”. E mi pare di non aver avuto torto.
Ma non facciamoci illusioni: questi saranno anche
morti, ma questo non significa che, come molti sognano, il M5s non
trovi avversari sul campo di gioco. E dobbiamo capire cosa si prepara
scrutando le viscere degli animali morti, come facevano gli aruspici.
Sarà un brutto mestiere ma è tutto quel che abbiamo.
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