“Cassazione: conformarsi ai valori della società ospitante” (il Fatto Quotidiano); “Cassazione: Migranti devono conformarsi a nostri valori” (Repubblica); “Cassazione: i migranti si conformino ai nostri valori” (Corriere della Sera).
Sono alcuni dei titoli con cui i principali giornali italiani hanno dato stamane, in prima pagina, la notizia di una sentenza della Cassazione che ha condannato un indiano Sikh, reo di voler circolare con un coltello sacro. Poi vai, però, a leggere i veri virgolettati inseriti negli articoli e capisci che in quella sentenza la Suprema Corte dice una cosa un po’ diversa.
Ad esempio: “non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”.
Oppure : “Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’articolo 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”.
Dunque, la Cassazione non ha proprio detto che i migranti “devono conformarsi principalmente ai “valori” del paese che li accoglie, bensì, alle leggi in cui si rispecchiano tali valori. In altre parole, l’attaccamento ai valori non deve portare alla violazione delle leggi. Si è trattato, cioè, dell’affermazione di un principio “erga omnes”, cioè, valido per tutti, senza distinzione di provenienza, cultura e/o religione. E’ questo, in estrema sintesi, il vero contenuto della sentenza in questione.
Allora perché quei titoli fuorvianti che giocano pericolosamente con la dicotomia migranti-valori?
I razzismi in doppio petto, quelli occulti, quelli mascherati o quelli subliminali, sono molto più pericolosi di quelli diretti, volgari ed ostentati come, ad esempio, quelli che usa un Salvini.
Sono tali perché agiscono in maniera subdola, ad un livello più profondo delle coscienze individuali e collettive, creando e radicando senso comune. E tuttavia, queste due forme di razzismo, appaiono, in questa fase, del tutto complementari, perché tendono, con modalità diverse, allo stesso obiettivo: scaricare più in basso possibile il diffuso malcontento causato dalla grave crisi economica e sociale in atto e – in ultima istanza – mantenere le tensioni e la rabbia entro il perimetro di una guerra tra poveri ed ai più poveri, indicando questi ultimi come causa principale dell’impoverimento generale.
E’ il capolavoro dei padroni. D’altronde, sempre più spesso, queste due diverse modalità, non a caso, entrano in sinergia tanto che pare di assistere ad una vera e propria sinfonia con Salvini nel ruolo del tenore solista ed il sistema mediatico mainstream in quello dell’orchestra. Tutti insieme appassionatamente su un unico spartito.
Inoltre, fortissimo è il sospetto che questa ondata mediatica sia funzionale a creare un clima ed un terreno favorevoli alle politiche neosecuritarie ed apertamente razziste in atto nel nostro paese e che hanno preso forma nel recente Decreto Minniti recante “ disposizioni di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale”.
Si tratta di una norma che comporta un’ennesima riduzione dei diritti ed una discriminazione sempre più profonda ai danni dei migranti che passano o risiedono nel nostro paese: si nega ai soli richiedenti asilo il diritto di ricorrere al Secondo Grado di giudizio, prevedendo la trattazione dei ricorsi con rito camerale e con un mero collegamento audiovisivo tra Centri di permanenza per i rimpatri (CPR, ex CIE) e l'aula dell'udienza. Insomma, una legge speciale che, nel nostro ordinamento giuridico ha un solo lugubre precedente: le leggi razziali fasciste del 1938.
A circa 24 anni dall’abolizione dell’apartheid sudafricano, stanno materializzandosi, nel nostro paese, sempre più nitidamente, i contorni di un altrettanto aberrante regime di separazione e segregazione razziale.
Le terribili e disumane condizioni dei ghetti dei braccianti delle campagne del sud Italia, vilmente sottoposti al ricatto permesso di soggiorno-contratto di lavoro e/o continuamente minacciati ed aggrediti da mafiosi o da forze dell’ordine, non sono, forse, le stesse che vigevano nei “Bantustan” in cui vivevano i lavoratori neri del Sudafrica e della Namibia all’epoca dell'Apartheid? Cosa hanno a che fare con il rispetto dei diritti umani le lunghissime e durissime detenzioni amministrative in cui sono tenuti i migranti in quei veri e propri lager cui hanno solo cambiato o il nome da CIE (Centri di identificazione ed espulsione in CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio)?
Insomma, davanti alle dure ma inevitabili sfide del presente, sembra che l’attività principale delle nostre classi dirigenti sia diventata quella di mascherare la propria incapacità politica agitando feticci, creando falsi nemici interni ed esterni ed alimentando illusorie vie d’uscita.
Andrebbe ricordato a questi novelli apprendisti stregoni, una volta di più, quel che scrisse il buon Antonio Gramsci su L’Ordine Nuovo, nel lontano 1921: “l’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna ma non ha scolari”.
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