“Continueremo ad essere richiamati dall’Onu”. Il presidente onorario di Antigone
giudica inefficace la legge appena votata in Senato: “La formulazione
del reato è inadeguata e contraddittoria rispetto agli standard
internazionali, alla prescrizione costituzionale, alle domande di
giustizia delle vittime e alle attese dell’opinione pubblica”. Decisive
le pressioni delle forze di polizia: “Sono una riserva di consenso
essenziale per partiti e movimenti che si contendono voti principalmente
in nome della sicurezza”.
intervista a Stefano Anastasia di Giacomo Russo Spena
“L’approvazione
di una legge contro la tortura non può che essere una buona notizia
ma...”. E i ma sembrano tanti e di una certa rilevanza. Almeno a sentire
Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio e dell’Umbria,
nonché presidente onorario dell’associazione Antigone. Negli anni sono
state organizzate decine di iniziative pubbliche e raccolte migliaia di
firme insieme ad altre associazioni ed organismi per quella che è sempre
stata considerata una battaglia di civiltà: l’introduzione di una legge
sulla tortura nel nostro sistema giudiziario. Adesso restano i mugugni:
“Se questa legge dovesse essere approvata definitivamente – afferma
Anastasia – continueremmo a essere richiamati dalle Nazioni Unite per
l’inadeguatezza della previsione legislativa”.
Dopo 28 anni, siamo vicini ad una legge che introduce il reato di tortura nel nostro codice penale. Che ne pensa?
Non
solo sono passati 28 anni dalla ratifica della Convenzione Onu con cui
l’Italia si è obbligata a introdurre il reato di tortura nel proprio
ordinamento, ma non dobbiamo dimenticare che quest’anno festeggiamo il
settantesimo anniversario della Costituzione repubblicana che, all’art.
13, comma 4, stabilisce che “è punita ogni violenza fisica e morale
sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Si tratta
dell’unico obbligo di punire previsto dalla Costituzione, evidentemente
motivato dalla storia e dalla sensibilità dei costituenti, che di
violenze fisiche e morali sulle persone sottoposte a privazione della
libertà ne sapevano – spesso – per esperienza diretta. Ciò detto, e
riconosciuta l’importanza del passaggio parlamentare, dobbiamo però
dirci che la formulazione del reato è inadeguata e contraddittoria
rispetto agli standard internazionali, alla prescrizione costituzionale,
alle domande di giustizia delle vittime e alle attese dell’opinione
pubblica.
Quali sono i punti più controversi della legge appena approvata al Senato e che ora passerà a Montecitorio?
Il
primo punto di critica non può che essere quella specie di peccato
originale da cui è partito impropriamente il dibattito parlamentare: la
definizione della tortura come reato comune, eseguibile da chiunque, e
non come reato proprio, imputabile esclusivamente al pubblico ufficiale o
all’incaricato di pubblico servizio. E’ vero che dal punto di vista
tecnico il reato comune copre più fatti di quanti non ne copra il reato
proprio, e potrebbe essere idoneo a perseguire anche privati che
torturassero per qualsivoglia ragione altri cittadini, ma la rottura
simbolica rispetto alla Convenzione delle Nazioni unite e al comune
senso di giustizia è evidente: la preoccupazione degli organismi
internazionali come della opinione pubblica più avvertita è di fugare
finanche il pericolo che pubblici ufficiali o incaricati di pubblici
servizi abusino della propria funzione per scopi illegittimi e contrari
ai fondamenti dello Stato di diritto costituzionale, non certo di
perseguire privati cittadini già ampiamente perseguibili a legislazione
vigente.
Un testo stravolto a Palazzo Madama, tra l’altro...
Rotto
l’argine simbolico, sono arrivati gli scivolamenti successivi. Su
tutti, la pluralità delle condotte necessarie a realizzare il reato di
tortura e la qualificazione del trauma psichico con la pelosa
aggettivazione di “verificabile”, come se in giudizio non dovesse essere
accertata ogni cosa. Fino alla surreale previsione che non sia punibile
il fatto commesso nell’esecuzione di legittime misure privative o
limitative di diritti: che significa? Che il nostro ordinamento ammette
pratiche di tortura? Se fosse così, andrebbero immediatamente espunte da
leggi e prassi perché costituzionalmente illegittime. Se non è così,
come penso, che bisogno c’è di prevedere questa causa di non punibilità?
Mi
sta dicendo che secondo lei il Senato ha approvato una legge sulla
tortura internazionalmente impresentabile, in cui la definizione del
reato è in evidente contrasto con quanto imposto dalla Convenzione
internazionale contro la tortura?
Sì, penso che sia
proprio così. Penso che dopo decenni di richiami delle Nazioni unite
sulla mancanza del reato di tortura nel nostro ordinamento, se questa
legge dovesse essere approvata definitivamente, continueremmo a essere
richiamati, da allora in poi per l’inadeguatezza della previsione
legislativa.
Però, come sulla legge sulle unioni civili, è comunque un passo di civiltà. Non trova? Meglio un compromesso di nulla, o no?
A
mezza bocca si ammette che il problema esiste, ma con l’altra metà lo
si nega. Con tutti i suoi limiti, la legge sulle unioni civili ha
consentito a centinaia di coppie omosessuali di essere riconosciute
dallo Stato e di acquisire diritti. Quanto riuscirà questa proposta, se
diventerà legge, a punire e a prevenire le violenze fisiche o morali
sulle persone private della libertà lo vedremo.
Sta
passando un concetto per cui una legge di questo tipo legherebbe le mani
alle forze dell’ordine, impedendo di garantire sicurezza ai cittadini...
La sicurezza dei cittadini non si garantisce
lasciando mano libera a comportamenti violenti nei confronti delle
persone fermate, arrestate o detenute. E non è solo questione di
principio, è questione eminentemente concreta: se per garantire la
sicurezza ammettiamo pratiche violente di polizia, riduciamo proprio la
sicurezza dei cittadini, esposti a ogni abuso da parte delle forze
dell’ordine. Si tratta di argomenti inaccettabili, che dovrebbero essere
contestati e respinti proprio dagli appartenenti alle forze dell’ordine
e dalle loro rappresentanze professionali e istituzionali: in questo
modo la già discutibile, e troppo facilmente assolutoria, retorica della
mela marcia lascia spazio a una sorta di chiamata in correità della
stessa istituzione di polizia e di tutti gli appartenenti alle forze
dell’ordine, cosa che – se fossi uno di loro – non accetterei mai.
Quindi un’occasione mancata. E secondo lei c’è speranza di migliorare il testo alla Camera?
Temo
di no: la legislatura sta scivolando verso la fine e, come tutte le
legislature morenti, dà il peggio di sé, lasciando spazio solo a
iniziative propagandistiche. Viceversa, per correggere questa legge
servirebbe onestà intellettuale e il coraggio necessario a combattere
atteggiamenti retrivi che si annidano nelle forze dell’ordine e che
fanno leva su discutibili sentimenti popolari. Ma nella campagna
elettorale di fatto già in corso queste qualità morali appaiono
quantomeno accantonate.
Se pensiamo al codice penale
militare di guerra o alla Magna Carta inglese, in entrambi e in
pochissime righe il concetto di tortura e maltrattamento è molto chiaro.
Perché da noi invece nel dibattito sul reato di tortura si cerca di
introdurre compromessi e mediazioni? Chi ha paura di introdurre una
legge così di civiltà?
“Chi parla male, pensa male”,
diceva Michele Apicella, l’alter ego di Nanni Moretti in Palombella
Rossa. Le contorsioni linguistiche del Parlamento sono un effetto
diretto della mancanza di volontà di riconoscere la tortura per quello
che è, di prevenirla e di punirla quando dovesse essere illegittimamente
praticata. Qualche tempo fa Luigi Manconi – primo firmatario della
proposta, originariamente ispirata alla Convenzione Onu, che ora
coerentemente disconosce e non approva – scrisse della paura che il ceto
politico ha delle forze di polizia, temendone l’autonomia e
l’insubordinazione. Non so se è proprio così, certo è che le forze di
polizia – in quanto responsabili della pubblica sicurezza –
costituiscono una riserva di consenso essenziale per partiti e movimenti
che si contendono voti principalmente in nome della sicurezza.
Il
procuratore generale ha riconosciuto che il caso Cucchi è stato un caso
di tortura. Ma ci sono anche le morti di Uva, Aldrovandi e tante altre.
Le famiglie, oggi, quanto sono state abbandonate, e prese in giro,
dallo Stato?
Ogni caso è un caso a sé e faremmo torto ai
non pochi investigatori, pubblici ministeri e giudici che hanno fatto
il possibile e l’impossibile per arrivare a un giudizio di
responsabilità sui fatti sottoposti alla loro attenzione se dicessimo
che lo Stato ha abbandonato o preso in giro tutti. Non è così, ma
dobbiamo anche essere consapevoli che indagare e giudicare le
responsabilità di appartenenti alle forze di polizia è terribilmente
difficile anche per la vicinanza oggettiva che c’è tra gli uni e gli
altri, tra investigatori, magistrati e indagati. Dobbiamo esserne
consapevoli e dobbiamo ricordarcene. Oggi e quando la legge (qualsiasi
legge) sarà approvata resterà il problema di farla applicare, vincendo
le resistenze culturali e le vere e proprie connivenze che possono
annidarsi anche negli apparati dello Stato.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento