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15/03/2021

Lo sguardo di Eleonora Fiorani sulla filosofia della scienza

“È così che ho capito che la filosofia poteva diventare testo teatrale e la saggistica poteva parlare il linguaggio del cuore e dei sensi e non solo della ragione, che si capisce e si pensa con il corpo e non solo con la mente, e ho cominciato a poco a poco a poco a far diventare la filosofia vita”.
Eleonora Fiorani, da qui.

Si è spenta il 10 marzo Eleonora Fiorani, filosofa e saggista di grande profondità, la cui ricerca ha spaziato dalla scienza all’arte, dalla politica alla moda, dall’antropologia al design.

Negli anni ’60-’70, oltre a studi di importanza fondamentale sul pensiero di Engels, svolse anche una intensa militanza politico-culturale, fondando la rivista Che fare (con il marito Francesco Leonetti, Roberto Di Marco, Arnaldo Pomodoro, Enzo Mari) e partecipando, anche con ruoli dirigenti, all’esperienza maoista italiana, combattendo il leaderismo folkloristico che la caratterizzava e promuovendo il rapporto con il movimento dell’autonomia operaia.

In particolare, è da ricordare il suo impegno nella casa editrice Lavoro liberato, per la quale curò la pubblicazione di autori importanti quanto estranei al dibattito marxista nostrano, tradizionalmente intriso di idealismo storicistico e refrattario ad affrontare i problemi epistemologici. Dopo l’ondata repressiva che stroncò quel movimento, orientò i suoi studi verso ambiti ancor meno consueti, mantenendo un punto di vista radicalmente materialistico e profondamente ancorato alla dialettica storica.

Quella che segue è una sua breve autobiografia, contenuta in una intervista degli anni ’90, da cui emerge la sua grande sensibilità ed acutezza. (R.S.)

*****

“Sono nata filosoficamente come epistemologa e filosofa della scienza, infatti ho studiato e mi sono laureata alla Statale di Milano con Ludovico Geymonat.

Ho svolto inizialmente la mia riflessione filosofica in stretto contatto con il movimento operaio e con i grandi fenomeni di trasformazione sociale che si stavano avviando in quegli anni. Mi sono laureata proprio nel ’68, anno in cui ha avuto inizio il movimento della contestazione studentesca, e la mia è stata la prima tesi “non istituzionale” alla Statale. Ho affrontato argomenti rispetto ai quali la sinistra, fino a quel momento, non aveva alle spalle una propria tradizione.

Dunque il mio interesse si volgeva verso le cosiddette discipline “dure” della filosofia, ma anche verso la società e le sue profonde trasformazioni; orientavo quel tipo di studi verso la dimensione del sociale, in piena fase di mutamento, per capire cosa stava accadendo.

Questo periodo è durato circa dieci anni, nel corso dei quali ho scritto diversi libri.

In seguito, ho aperto un nuovo filone di ricerca e di pensiero, che andava a considerare il vegetale e l’animale, andava a recuperare cioè le dimensioni “altre” rispetto all’Uomo, ciò che lo circonda e con cui egli si rapporta e si confronta. Ho voluto occuparmi del territorio e del paesaggio: le piante, gli animali, l’acqua, tutto ciò in cui l’Uomo immerge il proprio corpo.

Questo voleva dire, naturalmente, soffermarsi sulla memoria del passato remoto dell’Umanità, il tempo che viene prima della storia, studiare e capire le tracce di questa antichità remota sotto le apparenze dell’Uomo attuale, le tracce che portiamo su di noi.

Sono riaffiorati, in questo contesto, ricordi di giovinezza, ad esempio la figura di Anati, studioso che affrontò per primo un’analisi scientifica dei graffiti della Val Camonica e che fondò in quella zona il grande Centro Mondiale della Preistoria, oggi riconosciuto come patrimonio dell’umanità.

Sono passata insomma sul terreno di quelle che i francesi chiamano “scienze molli”, ossia quelle discipline che non utilizzano categorie rigorose di pensiero, ma categorie più fluide, mutuate spesso da altri ambiti. Ho approfondito la botanica, la zoologia, l’etnologia, ho anche portato in Italia alcune discipline che qui non ancora non esistevano.

È stato un viaggio affascinante in queste dimensioni dell’Umano, il corpo, il corporeo, non come li vediamo adesso, come li abbiamo intorno (quello è un corpo truccato, manipolato, esibito), ma invece il corpo come dimensione essenziale e profonda dell’Uomo.

I libri che ho scritto su questi argomenti e in questo secondo periodo sono molto diversi, nello stile di scrittura, dai precedenti. Anche Il mondo senza qualità, uno dei miei lavori più recenti, vive di una doppia dimensione, si organizza su due piani, quello del pensiero e della ragione e quello dell’emozione e del sentimento; questo secondo piano era, prima, occultato, nella convinzione della forza assoluta dell’espressione del concetto.

In tutti questi libri più recenti comincio ad utilizzare la prima persona, mentre prima essa non compariva, quasi ci fosse in me il timore di espormi emotivamente e di mostrarmi in ciò che io stessa scrivevo.

Un altro ambito di cui mi sono sempre occupata è quello delle arti, ed anche da questo punto di vista ho analizzato la relazione Uomo/ambiente. Ad esempio, Arnaldo Pomodoro ha realizzato una scultura, l’Arco-in-Cielo (un arcobaleno verde-azzurro che cambia colore a seconda della luce) che ha poi collocato all’interno del parco termale ischitano di Negombo, su cui io ho teorizzato e che è stato progettato da uno dei più grandi architetti del paesaggio, Ermanno Casasco.

Casasco ha recuperato e trasformato un’area coltivata dell’isola in un immenso giardino botanico diviso in aree diverse, in cui si trovano specie vegetali mediterranee e tropicali; è un giardino delle delizie, dell’Eros, che nasce da una lettura narrativa dello spazio naturale, come il giardino orientale.

Fra l’altro l’Arco-in-Cielo è un’opera particolare nella produzione di Arnaldo, in quanto realizzata in ceramica.

Pomodoro adesso è anche in esposizione alla Torre di Michelangelo di Ischia, con una mostra essenzialmente antologica molto suggestiva, in questo posto bellissimo che guarda verso il Castello, detto Torre di Michelangelo perché pare che lui avesse lì degli incontri amorosi, una di queste leggende che sono sempre affascinanti...

Dopo questo lungo periodo, sono tornata ad occuparmi della società attuale e delle nuove, epocali trasformazioni in atto.

Sono andata a rileggere i contributi di diversi autori degli anni ’60/ ’70, fra cui ad esempio Adorno e Horkheimer, e ovviamente di quello straordinario personaggio che fu Walter Benjamin, nonché altri studi più recenti, per tornare a considerare la società e le sue trasformazioni rispetto ai modi del vivere e alla comunicazione. Ho ritrovato e riscoperto cose estremamente interessanti scritte in quegli anni.

Mi sono quindi riaccostata allo studio del “qui e ora”, sentendo l’urgenza di capire in quale mondo stiamo vivendo, di trovare delle risposte, comprendendo che il pensiero filosofico vola alto, ma deve poi anche spostarsi “rasoterra”, deve occuparsi delle cose reali, occorre applicarlo alla dimensione del reale.

Ero però, a quel punto, anche forte delle esperienze di studio degli anni immediatamente precedenti. Quindi ho continuato a considerare gli aspetti inerenti il corpo e la fisicità, a maggior ragione tenendo presente che la nostra è una società che è andata sempre più orientandosi verso l’esteriorità, l’estetica, ciò che si vede.

Mi sono interessata anche al rapporto che viene a stabilirsi fra l’Uomo e gli oggetti, dopo aver studiato i meccanismi di relazione fra l’Uomo e i materiali; tutto cambia, infatti, quando i materiali si fanno oggetti, diventano oggetti...”

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