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26/03/2021

La visione cortissima dei “prenditori” italiani. Chi è “zombie” dovrà morire

In tempi di crisi, avere una visione “lunga” non è facile ma è decisivo. Nella dimensione parassitaria e paracula delle imprese nel capitalismo italiano, tale visione è ampiamente minoritaria. È quanto emerge dalla 23a edizione dell’EY Global Capital Confidence Barometer survey condotta su oltre 2.400 CEO e vertici di aziende, provenienti da 52 paesi, che ha analizzato l’impatto che il Covid-19 ha avuto e avrà sull’economia globale, anche a livello locale in Italia.

E qui la differenza tra la visione d’impresa “corta” o non, emerge in tutta evidenza. Wall Street Italia riporta le risposte dei manager delle imprese italiane intervistate nel rapporto.

Da un lato tra i “prenditori” italiani c’è molto meno pessimismo sul futuro. Il 91% degli intervistati in Italia infatti stima di tornare a livelli di fatturato pre-Covid entro il 2022 e il 67% stima di tornare entro lo stesso anno a livelli di redditività del 2019, con un modesto miglioramento delle aspettative rispetto a quanto rilevato nella precedente indagine, a marzo 2020. Dall’altro emerge drammaticamente la visione di un capitalismo piccolo piccolo e ferocemente aggrappato al biberon della spesa pubblica.

Dal rapporto si rileva che il 14% degli imprenditori italiani intervistati – contro il 22% di quelli a livello globale – appare concretamente impegnato nella analisi degli impatti a lungo termine sul proprio modello di business e sul settore di appartenenza.

Il 12% degli imprenditori italiani intervistati – a fronte del 19% a livello globale – sta definendo le aree di investimento necessarie dal punto di vista delle tecnologie a supporto della transizione digitale. Solamente l’8% in Italia contro il 16% a livello globale ha espresso la necessità di investire sulle proprie risorse umane, attraverso specifici processi di formazione.

Infine, solo l’8% degli intervistati italiani – contro il 16% a livello globale – sta operando al fine di gestire la liquidità per creare liquidità da destinare agli investimenti nel prossimo periodo. Il contesto della pandemia globale ha visto la maggioranza delle imprese italiane (il 71% degli intervistati) modificare i propri piani di investimento previsti nei prossimi dodici mesi. Di questi, oltre la metà (56%) ha posticipato gli investimenti pianificati, mentre il 44% ha interrotto del tutto il piano di sviluppo pianificato, in attesa di un orizzonte più chiaro.

Si rileva poi un altro dato, quello che probabilmente fa quadrare il cerchio sulla “soluzione finale” che Draghi ha indicato per ciò che ha definito come “imprese zombie”, quindi destinate a morire. Infatti solo il 35% dei manager e imprenditori intervistati in Italia (contro il 49% a livello globale) dichiara di voler perseguire attività di M&A (fusioni e acquisizioni di o con altre imprese, ndr) nei prossimi 12 mesi.

Anche in questo caso, secondo il sondaggio del EYGCCB si conferma “un atteggiamento conservativo” delle imprese italiane, evidenziato anche dal fatto che oltre la metà degli intervistati (53%, contro il 34% a livello globale) ritiene di focalizzare l’attività di M&A al fine di incrementare le proprie capacità operative, mentre solo il 26% degli intervistati in Italia, contro il 43% a livello globale, ha dichiarato di voler perseguire l’acquisizione di aziende competitrici al fine di incrementare la propria quota di mercato.

Il quadro che emerge è che il capitalismo italiano pullula di “imprese zombie”. La selezione che si prospetta dunque sarà feroce. A quelle con un minimo di progettualità lo Stato è disposto a fornire risorse, le altre saranno lasciate morire. E in fondo se lo meritano pure.

Certo, qualche sberla pesante andrebbe rifilata anche e soprattutto alle banche, che invece di sostenere il sistema delle imprese, continuano ad accaparrarsi liquidità a tassi di interessi praticamente a zero e a prestare poco con tassi vergognosi. Ma da un Presidente del Consiglio che è stato banchiere centrale e banchiere d’affari è improbabile attendersi una redde rationem con i propri simili.

I “prenditori” italiani con la visione corta non appaiono dunque più compatibili con il livello di centralizzazione e concentrazione richiesto dalla dimensione europea del capitalismo. È un processo in corso da almeno venticinque anni e che solo un governo di Draghi può far quadrare il cerchio.

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