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24/03/2021

La strozzatura euroatlantica

Prendiamo sul serio – com’è obbligatorio – la “collocazione euro-atlantica” dell’Italia ribadita a nove colonne da Mario Draghi.

Cosa significa in concreto? Che per quanto riguarda la geopolitica strategica e le alleanze politico-militari questo disgraziato Paese resta esattamente nella posizione in cui si trova dal 1945, ossia in condizioni di sovranità limitata sotto “l’ombrello della Nato”. Una alleanza per modo di dire, in cui l’Italia conta come il 3 di coppe quando regna bastoni (qualcuno sta anche peggio e conta come il 2...).

Per quanto attiene invece politiche di bilancio, politiche economiche, legislazione del lavoro, sanità e welfare in genere, questo disgraziato Paese fa parte dell’Unione Europea ed è vincolato dai trattati che la regolano. Trattati ideati per favorire sempre “il mercato” a scapito delle popolazioni, come comanda il modello export oriented imposto fin dall’inizio dalle economie del Nord (Germani, fuori dai denti).

Una doppia gabbia che in effetti risulta particolarmente costrittiva e socialmente dannosa, visto che impedisce – entrambe le istituzioni, Nato e UE, sono nate per quello – qualsiasi possibile evoluzione verso modelli di organizzazione sociale fondati su altre priorità e altri interessi sociali, oltre che geopolitici.

Ma in che condizioni si trova oggi, in piena pandemia, questo doppio vincolo esterno?

Pessime, pare. Il che è un problema serio, visto che nessun imperialismo in crisi molla l’egemonia senza prima provarle tutte per restare sul trono. Ma, in compenso, se fosse sempre nel pieno delle sue forze, non ci sarebbe mai neanche la speranza di intravedere la possibilità di un cambiamento radicale.

La pandemia, in questo blocco euro-atlantico, è stata affrontata sostanzialmente in modo simile.

a) “Convivere con il virus” per tenere aperte più attività economiche possibile, sacrificando quelle “marginali e non strategiche” (turismo, ristorazione, alberghiero, tempo libero, cultura, spettacoli, ecc.) pur di non perdere troppi punti in quelle core (siderurgia, meccanica, informatica, telecomunicazioni, ecc).

b) Attendere i vaccini, finanziando con soldi pubblici la ricerca ma affidandola a multinazionali privatissime che potevano così imporci sopra brevetti da “tutelare”.

c) Condurre poi campagne di vaccinazione di massa, sperando di raggiungere il prima possibile l’immunità di gregge e riprendere “la vita normale”.

Il fallimento, in questo campo, è completo.

L’economia è crollata lo stesso di parecchi punti, in tutti i Paesi di questo blocco euro-atlantico. La sanità privatizzata, dappertutto, è un ostacolo organizzativo e proprietario alle campagne di vaccinazione di massa (dopo esserlo stato nella prevenzione e nel primo contrasto al virus). I vaccini “autorizzati” – fin qui soltanto quattro, dentro il “blocco” – sono stati selezionati su base “geopolitica”, escludendo fin dal principio quelli “esogeni” (russi, cinesi, cubani).

Non è finita. È visibilissima la concorrenza feroce tra le stesse multinazionali di Big Pharma, con le tre statunitensi (Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson) che puntano a distruggere la credibilità dell’anglo-svedese AstraZeneca (la quale, da parte sua, ne sta combinando così tante da sembrare suicida).

La parte atlantica e quella “euro”, insomma, non vanno proprio nella stessa direzione, nonostante le rassicurazioni di Draghi.

Per di più, le ricerche sul virus registrano ormai quotidianamente nuove caratteristiche e varianti, al punto che appare certa la sua endemizzazione. Il Covid mutante, insomma, sta avviandosi a diventare ciclico come un‘influenza annuale. Ma semina enne volte più morti della vecchia cara influenza.

Immaginate delle economie capitalistiche “competitive” che ogni anno devono affrontare il purgatorio infernale che stiamo vivendo da oltre un anno e chiedetevi quanto può durare prima che le rotture – nella struttura economica o nella tenuta sociale – comincino a manifestarsi in modo serio.

In una situazione del genere, la nuova amministrazione “democratica” statunitense ha scelto freddamente di alzare il livello del “confronto strategico” con Russia e Cina, trattati come nemici potenziali per il solo fatto di esistere indipendentemente dal blocco euro-atlantico. Hanno infatti due sistemi sociali diversi tra loro (la Russia non si discosta molto dal modello neoliberista occidentale, mentre la Cina mostra un “modello misto pubblico-privato” orientato dalla pianificazione statale), e quindi non si tratta di una contrapposizione “ideologica” (“libertà liberali” versus “dittature comuniste”).

Si vede anche dalla “narrazione” offerta univocamente da tutto il sistema mediatico mainstream, che si aggrappa disperatamente a qualche spezzone relativamente problematico (Navalnyi, gli Uiguri, Hong Kong), mentre prova a silenziare nei limiti del possibile i successi (l’aumento dei salari e il welfare in Cina, con l’eliminazione della povertà; la sconfitta del virus e 17 vaccini in campo, distribuiti nel resto del mondo).

Siamo dentro un blocco in crisi, questa è la semplice verità. Aumenta la concorrenza anche all’interno del “blocco euroatlantico” (tra Stati Uniti ed Unione Europea, con le minacce alla Germania per il gasdotto russo più altre “quisquilie” sull’automotive o l’aerospaziale).

Ma aumenta anche all’interno dell’Unione Europea, con il Recovery Fund incaricato di riscrivere la divisione del lavoro e delle filiere industriali all’interno del Vecchio Continente. Qui Germania e Francia puntano a fare la parte del leone (più la prima, ovviamente), tenendo solo momentaneamente da parte l’arma “fine di mondo”, ossia il ritorno all’austerità e al pareggio di bilancio.

C’è speranza d’uscita da questo quadro mortifero? Sì, se intanto si prende atto che questa è la situazione reale. Sì, se si ascolta il malcontento crescere per vie interne alle varie figure sociali che usiamo definire “popolari”.

Il ministro dell’economia Daniele Franco ha già spiegato che le “misure di sostegno all’economia” – e a lavoratori e piccole imprese – “andranno progressivamente ad esaurimento entro la fine dell’anno”. Quel poco di morfina finanziaria che ha fin qui impedito di avvertire tutta l’intensità del dolore sociale sparirà presto, insomma.

Poi anche questo stallo senza fine andrà a scadenza.

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