1. La pandemia da Covid-19 e le politiche europee
La pandemia da Covid-19 ha causato un enorme shock economico mondiale durante il 2020, con un calo senza precedenti sia dell’offerta aggregata sia della domanda aggregata. I lockdown nazionali hanno bloccato la produzione di beni e servizi e interrotto le catene del valore. La contrazione delle entrate delle imprese e la perdita di reddito di molte famiglie hanno abbassato la domanda aggregata. Nel complesso, la riduzione del PIL e dell’occupazione sperimentate nel 2020 sono maggiori rispetto alle contrazioni registrate in seguito alla crisi finanziaria globale del 2007-2008. L’impatto della crisi pandemica è stato particolarmente forte in Italia, già provata dalla lunga stagnazione iniziata con la crisi finanziaria globale.
Alla fine del 2019, l’Italia era la principale economia dell’Unione Europea (UE) a non avere ancora recuperato il livello di PIL pre-crisi. E se tra il 2007 e il 2009 l’Italia registrò una caduta complessiva del PIL del 6,3%, nel solo 2020 il crollo del PIL è stato del 9%. Nell’UE, contrariamente a quanto accaduto con la crisi del 2007-2008, le autorità monetarie e fiscali hanno cercato di limitare l’impatto economico negativo della pandemia attraverso l’adozione di una serie di politiche espansive. La Banca Centrale Europea (BCE) ha mantenuto basso il tasso di sconto e ha lanciato il Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP), ovvero un programma di acquisto di titoli del settore pubblico e privato nel mercato secondario, non strettamente vincolato dai dati relativi alla popolazione e al PIL degli Stati membri (capital key). Questo programma dovrebbe essere completato entro la fine di marzo 2022 e prevede una dotazione finanziaria totale di 1.850 miliardi di euro. L’intervento posto in essere dalla BCE attraverso il PEPP ha ridotto i costi di rifinanziamento del debito pubblico italiano, che a fine 2020 registrava ancora uno spread di circa 110 punti rispetto ai titoli decennali tedeschi.
Il Consiglio Europeo ha approvato un pacchetto di interventi fiscali per rilanciare gli investimenti, il cui fulcro è rappresentato dal Next Generation EU (NGEU), che comprende prestiti e sovvenzioni agli Stati membri per un valore rispettivamente di 360 e 390 miliardi di euro. I principali strumenti del NGEU sono il Recovery and Resilience Facility (RRF), che ammonta a quasi il 90% delle risorse totali del NGEU, e il React-EU. Nel dettaglio, il NGEU sarà finanziato attraverso l’emissione di titoli europei durante il periodo di bilancio 2021-2027. I fondi del NGEU disponibili per l’Italia durante l’intero periodo dovrebbero essere circa 127,6 miliardi di euro in prestiti e 77,4 miliardi di euro in sovvenzioni (Governo Italiano 2020). Complessivamente, l’Italia riceverà circa 205 miliardi di euro, divisi principalmente tra i due strumenti del RRF (65,4 miliardi di euro in sovvenzioni e 127,6 miliardi di euro in prestiti) e del React-EU (10 miliardi di euro in sovvenzioni)[1]. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, una volta approvata la versione definitiva, illustrerà in che modo il Governo Italiano intende utilizzare le risorse e quali riforme accompagneranno le spese, in coerenza con le ‘Country Specific Recommendations’ e l’insieme delle ‘condizionalità’ poste dall’UE.
Altre misure straordinarie previste dall’UE sono rappresentate dallo “Strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in caso di emergenza” (SURE), dal “Meccanismo europeo di stabilità” (MES) e dagli strumenti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) a sostegno delle imprese europee[2]. Attualmente, è ancora incerto l’utilizzo del MES e delle misure della BEI da parte dell’Italia. Al contrario, il Consiglio europeo ha già approvato 27,4 miliardi di euro di prestiti all’Italia nell’ambito delle misure SURE, erogando 16,5 miliardi di euro nel 2020 mentre i restanti 10,9 miliardi di euro saranno stanziati entro la fine del 2022.
Inoltre, la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita e altri vincoli istituzionali di bilancio hanno consentito ai governi nazionali europei di adottare ulteriori misure fiscali espansive straordinarie. Infatti, nonostante il margine di manovra molto limitato a causa degli alti livelli di debito pubblico, l’Italia ha intrapreso politiche espansive a sostegno delle imprese e delle famiglie, sotto forma di maggiore spesa pubblica (in conto corrente e conto capitale) e minori tasse. Tuttavia, l’assenza di forme di finanziamento diretto della spesa pubblica da parte della BCE, in ottemperanza al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 123), ha portato a un forte aumento del rapporto debito pubblico/PIL, in Italia così come in altri paesi europei. A seguito delle misure fiscali italiane, il deficit di bilancio è aumentato di circa 108 miliardi di euro nel 2020, rispetto a quanto previsto dalla legge di bilancio (Ufficio Parlamentare di Bilancio 2020). Con una contrazione del PIL reale del 9%, il rapporto debito/PIL a fine 2020 è aumentato di oltre 20 punti, superando il 155%.
L’obiettivo principale di questo lavoro è analizzare l’impatto del Next Generation EU – insieme alle misure monetarie della BCE e allo sforzo posto in essere dalla politica fiscale nazionale – sull’economia italiana, con particolare riferimento al PIL, all’occupazione e alla finanza pubblica. Il lavoro valuta anche il potenziale impatto sull’economia italiana derivante dall’implementazione di una politica di stimolo fiscale alternativa.
2. Un modello stock-flussi per l’economia italiana
L’analisi svolta in questo lavoro è incentrata sul nuovo modello macro-econometrico strutturale di coerenza stock-flussi (SFC) pubblicato dalla Review of Political Economy (Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella 2021).
Nell’ultimo decennio, la letteratura economica internazionale ha mostrato un crescente interesse per l’approccio SFC alla macroeconomia (Nikiforos e Zezza 2017), riconoscendo i vantaggi della metodologia – sviluppata da Godley (1999) e Godley e Lavoie (2007) – nel cogliere gli squilibri macroeconomici che generano le crisi e nel fornire proiezioni realistiche rispetto al tradizionale quadro teorico dei modelli stocastici di equilibrio economico generale (DSGE) (Bezemer 2010; Hendry e Muellbauer 2018). In termini di modellistica macroeconomica, è importante notare che la maggior parte dei modelli utilizzati per l’analisi e le previsioni delle politiche dell’economia italiana sono basati sulla metodologia tradizionale del DSGE. Quest’ultima, attribuisce un ruolo preminente al lato dell’offerta, mentre la domanda aggregata incide solo nel breve periodo (si veda, per una valutazione critica, Arestis e Sawyer, 2009; Fontana, 2010). È il caso, tra gli altri, del modello trimestrale della Banca d’Italia (Bulligan et al.2017; Visco e Bodo 1986), del modello econometrico del Tesoro italiano (Cicinelli et al. 2008) e del modello utilizzato per le previsioni dell’Eurosistema (Angelini, D’Agostino e McAdam 2006). La recente crisi finanziaria globale ha mostrato le carenze dei modelli tradizionali, utilizzati dalle banche centrali e dai policymaker di tutto il mondo (Blanchard 2018), principalmente legate alla mancanza di un quadro monetario e di una attenta analisi del ruolo delle banche e delle interazioni tra il settore reale e quello finanziario (Caiani et al.2016; Fontana e Veronese Passarella 2018, 2020). Viceversa, i modelli SFC, come quello utilizzato per questo lavoro, consentono di superare tali limiti e di fornire, sia negli aspetti teorici sia in quelli empirici, un quadro integrato per l’analisi delle moderne economie capitalistiche, con un ruolo esplicito per le banche e le istituzioni finanziarie. Nello specifico, l’approccio SFC si concentra sul lato monetario e finanziario del sistema economico e sulle interdipendenze che collegano i bilanci dei diversi settori istituzionali alle loro transazioni reali, in un quadro dinamico discreto.
Il modello utilizzato in questo lavoro segue un approccio SFC che va “dalla teoria ai dati” (per una tecnica simile, si veda il modello sviluppato dalla Bank of England in Burgess et al. 2016)[3] e classifica il sistema economico in sei macro-settori: imprese, banche (compresi gli intermediari finanziari), banca centrale (BCE), governo, famiglie (comprese le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie) e settore estero. Il modello è stato codificato e calibrato utilizzando il software Bimets fornito dalla Banca d’Italia (BoI) (Luciani e Stok 2020). I coefficienti del modello sono tutti stimati utilizzando serie storiche annuali, dal 1995 al 2019, fornite dall’Eurostat[4].
La tabella 1 riassume le ipotesi formulate in questo lavoro in merito agli effetti economici (diretti) prodotti dalla crisi del Covid-19 sull’economia italiana nel corso del 2020, nonché alla risposta politica (indiretta) adottata dalle autorità governative per contrastare e mitigare tali effetti. I primi sono etichettati come fattori economici, mentre i secondi sono etichettati come fattori politici. Va notato che il piano NGEU e il PNRR sono ancora in discussione e le modalità della loro attuazione sono caratterizzate da elevati livelli di incertezza.
Tabella 1. Scenario di base
La tabella 1 chiarisce che i fattori economici e i fattori politici sono modellati come un insieme di shock esogeni rispetto alle dinamiche osservate in passato delle principali variabili macroeconomiche che rappresentano l’economia italiana. I fattori economici e i fattori politici identificano quindi la previsione base del modello (baseline) per il periodo 2020-2025. L’entità di ogni shock deriva dalle previsioni formulate dalle principali istituzioni internazionali e dal governo italiano.
Nel dettaglio, i fattori economici misurano gli effetti diretti della crisi del Covid-19 in termini di modifiche alla forza lavoro, al prodotto per dipendente e al PIL dei partner commerciali.
I fattori politici mostrano la graduale risposta alla crisi del Covid-19 in termini di nuove misure fiscali introdotte dal governo italiano e dalle autorità dell’UE, nonché le misure monetarie adottate dalla BCE. Il modello considera la riduzione del gettito fiscale e la spesa aggiuntiva effettuata dal governo italiano nel 2020, il programma di acquisto di attività della BCE (PEPP) e la riduzione del tasso di interesse medio sui titoli di stato italiani. Inoltre, la tabella 1 mostra il flusso di prestiti e sovvenzioni dell’UE (NGEU e SURE) verso l’Italia, ed evidenzia i contributi versati dall’Italia al bilancio dell’UE per finanziare la creazione del NGEU e, in particolare, la quota relativa alle sovvenzioni. I prestiti previsti dal NGEU e dallo SURE e le sovvenzioni del NGEU rappresentano i fondi dell’UE a disposizione dell’Italia nel periodo 2021-2025: essi sono distribuiti annualmente sulla base dei criteri di assegnazione fissati dal Governo italiano[5].
Pur producendo gli stessi effetti positivi in termini di fondi disponibili per la spesa pubblica, l’utilizzo dei prestiti e delle sovvenzioni dell’UE genera delle differenze importanti in termini di debito pubblico. Infatti, mentre i prestiti determinano un pari aumento del debito pubblico italiano, le sovvenzioni generano un aumento del debito pubblico “solo” in proporzione alla percentuale del contributo italiano al bilancio dell’UE[6]. In altre parole, i prestiti del NGEU sono prestiti dell’UE garantiti da un corrispondente importo di titoli di Stato italiani: come per lo SURE, i prestiti del NGEU dovranno essere completamente rimborsati. Al contrario, le sovvenzioni NGEU sono una forma di “assistenza monetaria” dell’UE all’Italia, non sono garantiti da una corrispondente emissione di titoli di Stato italiani e non si prevede che vengano rimborsati. Tuttavia, è importate ricordare che l’Italia deve contribuire alla creazione del fondo da cui provengono le sovvenzioni del NGEU. Tali contributi al fondo sovvenzioni NGEU da parte dell’Italia creano un corrispondente aumento del debito pubblico italiano, come mostrato nell’ultima riga “Contributi dovuti per sovvenzioni” della Tabella 1.
La circostanza per cui la gran parte delle risorse del NGEU (e la totalità SURE) generano un aumento del debito pubblico è molto rilevante. Si noti, infatti, che la condizione di sostenibilità per il debito pubblico prevede che il saldo primario debba coprire l’onere del debito netto:
dove T rappresenta le entrate totali derivanti dalla tassazione, G è la spesa pubblica, TR include sovvenzioni e trasferimenti al settore privato, Y rappresenta il PIL, rb è il tasso medio di rendimento dei titoli di debito italiani, gy indica il tasso di crescita ( ΔY/Y ) e Bs è il debito pubblico (Pasinetti 1998). L’equazione suggerisce che la stabilizzazione del rapporto debito pubblico/PIL richiede un avanzo primario, dato il livello del tasso medio di rendimento dei titoli di debito italiani ( rb) e il tasso di crescita (gy).
Bisogna inoltre evidenziare che, in accordo con le ipotesi formulate nella NADEF (Governo Italiano 2020) e, successivamente, nella prima bozza del PNRR (Governo Italiano 2021), la previsione per il periodo 2020-2025 è costruita partendo dal presupposto che solo il 70% del complesso dei prestiti e delle sovvenzioni NGEU a disposizione del governo italiano verrà convertito in spesa aggiuntiva. Il restante 30% sarà utilizzato per finanziare progetti già precedentemente pianificati[7].
3. L’efficacia del Next Generation Eu per l’Italia
La tabella 2 mostra le previsioni economiche per l’economia italiana nel 2020 e 2021 rilasciate da OCSE (2020c), FMI (2020, 2021), Commissione Europea (2020), ISTAT (2020, 2021), Banca d’Italia (2021), Governo Italiano (2020) e dal modello SFC presentato in questo lavoro. I valori previsti fanno riferimento alle seguenti variabili macroeconomiche: PIL, consumo, investimenti, importazione, esportazione, deflatore del PIL, nonché il rapporto deficit/PIL e il rapporto debito pubblico/PIL. Il modello SFC, in linea con le più recenti rilevazioni ISTAT (2021), stima per il 2020 una contrazione del PIL del 9,1% e un aumento del rapporto debito pubblico/PIL del 155,6%. La stima del modello per il 2021 è di un rimbalzo del PIL del 2,9%, con un rapporto tra debito pubblico e PIL che temporaneamente scende al 154,6%.
Tabella 2. Valori previsti per le componenti del PIL, inflazione e saldi di finanza pubblica
La figura 1 (a-h) mostra l’evoluzione delle principali variabili macroeconomiche dell’economia italiana nel periodo 1995-2025. In particolare, si concentra su PIL, occupazione, rapporto debito pubblico/PIL, inflazione, rapporto deficit pubblico/PIL, tasso di interesse medio sul debito pubblico, tasso di crescita economica e debito pubblico italiano detenuto dalla BCE e dalla Banca d’Italia. La linea nera rappresenta la baseline del modello e mostra il trend pre-shock osservato per ciascuna delle variabili (serie temporali) per il periodo 1995-2019 e le previsioni del modello SFC in merito alle stesse variabili per il periodo 2020-2025.
Le previsioni includono i fattori economici e i fattori politici precedentemente descritti, ovvero gli effetti economici negativi prodotti dalla crisi da Covid-19 sull’economia italiana, la graduale risposta politica del governo italiano (in termini ad esempio di spesa pubblica aggiuntiva e tagli fiscali), le misure attuate dalla BCE (principalmente il PEPP) e dal NGEU. La linea tratteggiata nera nella Figura 1 (a-h) mostra il percorso pre-shock previsto per ciascuna variabile in assenza della crisi Covid-19.
Figura 1. Serie storiche (1995-2019) e previsioni (2020-2025)
La figura 1 (a) mostra come la dinamica del PIL si situi ben al di sotto del livello del 2007 e non si prevede che il PIL torni al trend pre-pandemico. La figura 1 (g) rivela anche che, dopo il rimbalzo atteso nel 2021, il tasso di crescita diminuisce rapidamente verso un tasso di crescita zero, entro la fine del 2025. Non sorprende che, dopo il forte calo nel 2020, il livello occupazionale torni al valore pre-Covid-19 solo nel 2025, registrando valori lontani dal trend pre-Covid-19 (figura 1 (b)). La figura 1 (d) presenta il tasso di inflazione, che rimane sempre ben al di sotto dell’obiettivo BCE del 2%. Considerando congiuntamente i risultati mostrati nella Figura 1 (a, b, d, g), si evince che la crisi da Covid-19 causerà una cicatrice permanente alla già debole dinamica dell’economia italiana, nonostante le misure adottate a livello nazionale ed europeo.
La figura 1 (c, e, f) si concentra sulla finanza pubblica. Come mostrato dalla Figura 1 (c, e), sia il rapporto debito pubblico/PIL sia il rapporto deficit pubblico/PIL rimangono fortemente al di sopra dei valori precedenti al Covid-19. L’evoluzione del rapporto debito/PIL è di particolare interesse. Dopo una leggera riduzione associata al rimbalzo 2021-2022, e nonostante il rilevante aumento della quota di debito pubblico detenuta dall’Eurosistema, il rapporto debito/PIL aumenta ancora dopo il 2023, innescando una dinamica insostenibile per il Paese nel lungo andare. La figura 1 (h, f) descrive l’ammontare del debito italiano detenuto, rispettivamente, dalla BCE e dalla Banca d’Italia e il tasso di interesse medio sui titoli di stato italiani. La figura 1 (h, f) conferma i risultati precedenti. Poiché l’onere del debito netto supera il saldo primario nel medio termine, il governo italiano fatica a raggiungere la condizione di sostenibilità del debito.
Nonostante gli interventi di politica economica adottati dal governo nazionale e dalla BCE, le dinamiche previste per le principali variabili macroeconomiche illustrate nella Figura 1 (a-h) chiariscono che il NGEU non è efficace nel fronteggiare i rilevanti impatti negativi della crisi Covid-19 sull’economia italiana. Il PIL non aggancia il valore precedente alla pandemia da Covid-19 nel medio periodo, il tasso di crescita declina rapidamente verso un tasso di crescita zero, mentre il rapporto debito pubblico/PIL si trova su un percorso insostenibile nel lungo andare.
4. Moltiplicatori della spesa pubblica e riforme
Le conclusioni appena richiamate – elaborate sulla base del modello SFC elaborato in Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella (2021) – si fondano sui valori medi dei moltiplicatori della spesa pubblica sperimentati in Italia nel periodo 1995-2019 (periodo per il quale tutti i dati necessari alla stima sono disponibili).
Naturalmente, queste previsioni migliorerebbero se l’efficacia della spesa pubblica italiana aumentasse, determinando un maggior incremento di PIL per ogni euro di spesa. In altri termini, i valori della crescita e della finanza pubblica migliorerebbero se si riscontrasse un incremento del valore dei moltiplicatori associati ai nuovi investimenti pubblici e agli incentivi pubblici. Ciò potrebbe essere possibile se l’Italia varasse il complesso di riforme descritte nella prima versione del PNRR (Governo Italiano 2021) e se tali riforme si dimostrassero effettivamente efficaci.
A riguardo, è opportuno sottolineare che anche nel periodo 1995-2019 il Paese ha varato alcune riforme, che sono state oggetto di grandi dibattiti e posizioni anche controverse nella letteratura scientifica. Il riferimento è alle cosiddette privatizzazioni, alle liberalizzazioni di alcuni mercati, alle riforme delle pensioni, alle riforme del mercato del lavoro, ma anche, ad esempio, ai tentativi di riformare la pubblica amministrazione. Non sempre queste riforme hanno dato i risultati sperati. Si pensi, ad esempio, alle riforme del mercato del lavoro che hanno aumentato la flessibilità del mercato del lavoro, riducendo ampiamente l’Employment Protection Legislation Index (EPL) misurato dall’OECD, senza però determinare i risultati sperati in termini di crescita e occupazione (ad esempio si rinvia a Blanchard 2006).
Per queste ragioni, considerate le grandi incognite relative alla realizzazione delle riforme e alla loro effettiva efficacia, nell’esercizio previsionale è sembrato opportuno non discostarsi dai valori medi dei moltiplicatori storicamente registrati nel periodo 1995-2019.
5. Una politica europea alternativa ed espansiva
Gli esercizi previsionali sviluppati in Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella (2021) dimostrano che eventuali politiche di austerità da parte dell’UE, all’insegna ad esempio dei tagli alla spesa pubblica, determinerebbero risultati ben peggiori rispetto a quelli illustrati nella Figura 1, in termini di PIL, occupazione e rapporto tra debito pubblico e PIL.
Al contrario, fermi tutti gli altri dati, è possibile definire una politica alternativa espansiva che porti il Paese a recuperare nel breve periodo i livelli del trend precedente al Covid-19.
Abbiamo, infatti, utilizzato il modello SFC per identificare le linee possibili di una politica alternativa ed espansiva in grado di riportare il Paese a recuperare nel breve periodo i livelli del trend pre-pandemico. Lo scenario “back-to-trend” è, infatti, un esperimento che presuppone la volontà dell’UE di aumentare il NGEU con risorse aggiuntive e convertendo tutte le risorse in sovvenzioni, senza prevedere alcun contributo da parte del governo italiano. Per semplicità, si presume che queste risorse aggiuntive e la relativa spesa pubblica siano finanziate dalla BCE, come parte della letteratura aveva a suo tempo esortato a fare (ad esempio, Gali 2020; Realfonzo 2020). Ciò significa che tutte le risorse del NGEU non inciderebbero sul rapporto debito pubblico/PIL dell’economia italiana. Si ipotizza, inoltre, che tutte le risorse siano interamente convertite in nuova spesa da parte del governo italiano.
L’analisi dello scenario “back-to-trend” mostra che, nelle ipotesi appena descritte, l’Italia raggiungerebbe il livello pre-covid-19 se le risorse del NGEU per l’Italia fossero incrementate del 25%.
Figura 2. Effetti di politiche alternative (2020-2025)
Note: scenario di ritorno al trend pre-crisi (back to trend) = 125% dei fondi NGEU, tutte sovvenzioni, nessun contributo dovuto dal governo italiano, tutte le risorse spese per nuovi progetti.
La figura 2 (a-f) mostra l’impatto dello scenario “back-to-trend” (linea verde) su PIL, occupazione, rapporto debito pubblico/PIL, inflazione, rapporto deficit pubblico/PIL e tasso di interesse medio sul debito pubblico. La linea continua nera rappresenta la baseline del modello, mentre la linea tratteggiata nera mostra il trend pre-shock previsto per ciascuna variabile, in assenza della crisi Covid-19.
Lo scenario “back-to-trend” riproduce uno stimolo fiscale che prevede risorse aggiuntive da parte dell’UE, vale a dire il 25% in più dei fondi NGEU attualmente previsti per l’Italia, e cambiamenti politici significativi (assenza di contributi del governo italiano a fronte dei finanziamenti europei; spesa della totalità delle risorse in nuovi progetti da parte del governo italiano). La figura 2 (a-f) mostra che le risorse aggiuntive dell’UE avrebbero un notevole impatto positivo non solo su PIL e occupazione, ma anche sulle finanze pubbliche italiane.
La figura 2 (a, b) mostra, infatti, che il PIL e l’occupazione intraprenderebbero un rapido movimento ascendente, registrando valori al di sopra della baseline del modello.
Ciò che è maggiormente sorprendente sono le prospettive per le finanze pubbliche. Il rapporto debito pubblico/PIL diminuisce in modo significativo, spostandosi verso il livello pre-Covid-19, come mostrato nella Figura 2 (c). Una tendenza simile è sperimentata dal rapporto deficit pubblico/PIL e dal tasso di interesse medio sui titoli di Stato, illustrati rispettivamente nella Figura 2 (e, f). Il rapporto deficit pubblico/PIL e il tasso di interesse medio sui titoli di Stato si muovono effettivamente al di sotto del livello pre-Covid-19, prima del 2025. Infine, la figura 2 (d) suggerisce che l’inflazione è ancorata intorno a un valore costante, ben al di sotto del 2%, ritenuto come esplicito obiettivo dalle autorità europee. Ciò consente di affermare che, secondo il modello SFC, le risorse aggiuntive dell’UE e la modalità di finanziamento di tali risorse non produrrebbero alcun impatto sul tasso di inflazione.
6. Conclusioni
La pandemia Covid-19 ha causato uno shock senza precedenti a livello globale. L’Italia è stato uno dei paesi più colpiti, registrando elevati tassi di infezione e mortalità. Anche l’economia italiana è stata duramente colpita dal blocco della produzione di beni e servizi e dall’interruzione delle catene del valore. Si stima, infatti, una riduzione del PIL di circa il 9% nel 2020, mentre il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe essere intorno al 156%.
Contrariamente a quanto accaduto dopo la crisi finanziaria del 2007-2008, le autorità monetarie e fiscali dell’UE hanno cercato di intervenire per limitare l’impatto economico negativo della pandemia da Covid-19. Il Patto di Stabilità e Crescita e altri vincoli istituzionali di bilancio sono stati sospesi. Ciò ha consentito al governo italiano e ad altri governi dell’UE di adottare misure fiscali espansive a sostegno delle imprese e delle famiglie. La BCE ha lanciato il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) e il Consiglio europeo ha approvato, tra le altre cose, il Next Generation EU (NGEU).
Questo lavoro ha utilizzato il modello SFC sviluppo in Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella (2021) per valutare l’impatto del NGEU sulle principali variabili macroeconomiche italiane – PIL, occupazione, rapporto debito pubblico/PIL, inflazione, rapporto deficit pubblico/PIL e interesse medio tasso sul debito pubblico. La conclusione principale che emerge dall’analisi non lascia grandi speranze. Dati i valori dei moltiplicatori della spesa pubblica registrati nel periodo 1995-2019, l’impatto espansivo indotto dal NGEU non sarà sufficiente a stimolare la ripresa dell’economia italiana. Nel dettaglio, si stima che tali misure non porteranno né le finanze pubbliche, né il PIL, né l’occupazione ai livelli pre-Covid-19, con conseguenze in termini di insostenibilità del debito sovrano nel lungo termine.
Chiarito che politiche meno espansive rispetto al NGEU avrebbero un impatto recessivo significativo, abbiamo verificato quale potrebbe essere una politica espansiva adeguata per riportare la crescita italiana sul trend pre-crisi da covid-19. Lo scenario cosiddetto “back-to-trend” prevede un’espansione del 25% dei fondi del NGEU, interamente finanziati dalla BCE e interamente spesi dal governo italiano. Questa politica fiscale espansiva alternativa avrebbe un notevole impatto positivo non solo sul PIL e sull’occupazione, ma anche sulle finanze pubbliche italiane.
Questo scenario dimostra che le autorità monetarie e fiscali dell’UE avrebbero il potere di spostare l’economia italiana verso un percorso di crescita sostenibile, con risultati positivi sia per l’occupazione sia per le finanze pubbliche.
*Le conclusioni di questo studio si fondano sull’analisi del modello pubblicato dalla Review of Political Economy (marzo 2021) a firma di R. Canelli, G. Fontana, R. Reafonzo e M. Veronese Passarella (https://doi.org/10.1080/09538259.2021.1876477).
** Rosa Canelli, DEMM, Università del Sannio, Benevento, 82100, Italia; Giuseppe Fontana, Economics, Leeds University Business School (LUBS), University of Leeds, Leeds, LS2 9JT, UK e DEMM, Università del Sannio, Benevento, 82100, Italia. Riccardo Realfonzo, DEMM, Università del Sannio, Benevento, 82100, Italia; Marco Veronese Passarella, Economics, LUBS, University of Leeds, Leeds, LS2 9JT, UK.
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Note
[1] Secondo la prima versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – approvato dal Governo il 12 gennaio 2021 (Governo Italiano 2021) – l’importo delle risorse europee messe a disposizione dell’Italia ammonterebbe a circa 209,5 miliardi, ripartiti tra il RFF (127,6 miliardi di euro in prestiti e 68,9 miliardi di euro in sovvenzioni) e il React-EU (13 miliardi di euro in sovvenzioni). Viceversa, stando alle più recenti dichiarazioni del ministro competente del Governo Draghi, il contributo europeo sarebbe più ridotto ed inferiore ai 200 miliardi. In questo lavoro si è fatto riferimento ai dati contenuti nella Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza per il 2020 (Governo Italiano 2020) che definisce anche una ipotesi sul flusso temporale di utilizzo delle risorse.
[2] Le misure fiscali e monetarie previste dall’UE per fronteggiare la crisi da Covid-19 hanno generato un ampio dibattito in Europa, con particolare riferimento a come finanziare le misure fiscali, al ruolo della BCE, alla dimensione e alla composizione del NGEU, alla stabilità dell’Area Euro e alla sostenibilità del debito pubblico (si vedano, tra gli altri, Baldwin e Weder di Mauro (2020), Blanchard e Pisani-Ferry (2020), Brancaccio, Realfonzo, Gallegati e Stirati (2020), De Grauwe (2020), Draghi (2020), European Commission (2020), Galí (2020), Münchau (2020), Realfonzo (2020)). Banca d’Italia (2020), Cassa depositi e prestiti (2020) e Governo Italiano (2020) discutono degli effetti del NGEU sull’economia italiana. Per un punto di vista critico sull’efficacia del NGEU per l’italia si veda Brancaccio and Realfonzo (2021). Papadimitriou, Zezza e Zezza (2020) e Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella (2021) analizzano il potenziale percorso post-Covid-19 dell’economia italiana.
[3]La letteratura empirica SFC può essere classificata in due gruppi principali, vale a dire un approccio “dai dati alla teoria” e un approccio “dalla teoria ai dati”. Il primo approccio caratterizza i primi contributi empirici SFC e si basa sui dati dell’economia oggetto di indagine, ovvero bilanci settoriali e statistiche sui flussi di fondi. Il secondo approccio parte da modelli teorici: si definiscono l’insieme delle condizioni di equilibrio e delle equazioni comportamentali e, quindi, si stimano i coefficienti del modello sulla base dei dati delle serie temporali osservate (Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella (2021).
[4] I precedenti lavori che sviluppano un modello empirico SFC per l’economia italiana sono rappresentati da Veronese Passarella (2019); Zezza e Zezza (2020); Zezza (2018); Papadimitriou, Zezza e Zezza 2020; Canelli, Fontana, Realfonzo e Veronese Passarella (2021).
[5] Come già osservato, l’analisi di questo lavoro si basa sulle ipotesi formulate nella NADEF (Governo Italiano 2020), assumendo un valore complessivo del NGEU di 205 miliardi di euro.
[6] Secondo i Financial Reports pubblicati dalla Commissione Europea, nel periodo 2014-2020, il contributo italiano al budget annuale dell’UE è stato in media del 12,1%. Applicando la stessa quota al fondo per la costituzione delle sovvenzioni del NGEU, ed escludendo un aumento immediato dell’importo delle risorse versate dagli Stati membri, l’Italia contribuirà per circa il 12,1% alla costituzione del fondo da 390 miliardi, ricevendo circa il 20% delle sovvenzioni totali. Pertanto, seguendo i criteri di assegnazione fissati dal governo italiano nella NADEF (Governo Italiano 2020), l’ammontare delle sovvenzioni che viene annualmente finanziato dai contributi italiani al bilancio dell’UE è indicato dall’ultima riga della Tabella 1.
[7] Secondo la prima versione del PNRR (Governo Italiano 2021) circa 66 miliardi di euro del NGEU sarebbero utilizzati dal governo per finanziare progetti esistenti, al fine di ridurre e migliorare le finanze pubbliche. Gran parte dei prestiti NGEU andrebbe quindi a sostituire l’emissione di titoli di debito italiani, quale modalità di finanziamento più conveniente per il Paese (Governo Italiano 2021).
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