In occasione degli anniversari, e spesso nelle ricorrenti crisi, si torna a parlare di Marx. Chi lo inquadra tra i “filosofi”, chi tra gli “economisti”, chi ancora – e peggio – tra gli “ideologi”, sia pure – bontà loro – sul versante rivoluzionario.
Beata ignoranza, vien da dire. Ma anche la nostra parola vale ben poco, a fronte di un vasto fronte che preferisce etichettare anziché studiare (“leggere” soltanto un testo di Marx non è possibile).
Dunque ci sembra che l’unico modo onesto di ricordare il suo contributo al pensiero umano, nell’anniversario della sua morte, sia lasciare la parola all’unico che riuscì a stargli al fianco per tutta la vita e anche dopo (curando personalmente la pubblicazione del Secondo e Terzo libro de Il Capitale), contribuendo da par suo allo sviluppo della teoria che, nel suo nucleo, aveva elaborato per primo (La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845, Die Lage der arbeitenden Klasse in England mit dem Untertitel Nach eigner Anschauung und authentischen Quellen).
Dalla sua orazione funebre esce fuori il ritratto di uno scienziato, non di un filosofo o economista (o peggio). Non a caso l’unico nome menzionato come degno di stare alla sua pari è quello di Charles Darwin. Marx fu lo scienziato del capitale, quello che ne ha scoperto le leggi di funzionamento (rigorosamente espresse in forma matematica, il più ostico ma anche il più duraturo dei “linguaggi”).
Per estensione, dunque, “le leggi dello sviluppo della storia umana”, perché in qualsiasi epoca o stadio dell’evoluzione gli esseri umani “devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi prima di occuparsi di politica, di scienza, d’arte, di religione, ecc.”
Beata ignoranza, vien da dire. Ma anche la nostra parola vale ben poco, a fronte di un vasto fronte che preferisce etichettare anziché studiare (“leggere” soltanto un testo di Marx non è possibile).
Dunque ci sembra che l’unico modo onesto di ricordare il suo contributo al pensiero umano, nell’anniversario della sua morte, sia lasciare la parola all’unico che riuscì a stargli al fianco per tutta la vita e anche dopo (curando personalmente la pubblicazione del Secondo e Terzo libro de Il Capitale), contribuendo da par suo allo sviluppo della teoria che, nel suo nucleo, aveva elaborato per primo (La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845, Die Lage der arbeitenden Klasse in England mit dem Untertitel Nach eigner Anschauung und authentischen Quellen).
Dalla sua orazione funebre esce fuori il ritratto di uno scienziato, non di un filosofo o economista (o peggio). Non a caso l’unico nome menzionato come degno di stare alla sua pari è quello di Charles Darwin. Marx fu lo scienziato del capitale, quello che ne ha scoperto le leggi di funzionamento (rigorosamente espresse in forma matematica, il più ostico ma anche il più duraturo dei “linguaggi”).
Per estensione, dunque, “le leggi dello sviluppo della storia umana”, perché in qualsiasi epoca o stadio dell’evoluzione gli esseri umani “devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi prima di occuparsi di politica, di scienza, d’arte, di religione, ecc.”
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Il 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più grande mente dell’epoca nostra. L’avevamo lasciato solo da appena due minuti e al nostro ritorno l’abbiamo trovato tranquillamente addormentato nella sua poltrona, ma addormentato per sempre.
Non è possibile misurare la gravità della perdita che questa morte rappresenta per il proletariato militante d’Europa e d’America, nonché per la scienza storica. Non si tarderà a sentire il vuoto lasciato dalla scomparsa di questo titano.
Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana e cioè il fatto elementare, finora nascosto sotto l’orpello ideologico, che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi prima di occuparsi di politica, di scienza, d’arte, di religione, ecc.; e che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un’epoca in ogni momento determinato costituiscono la base sulla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l’arte ed anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venir spiegate, e non inversamente, come si era fatto finora.
Ma non è tutto. Marx ha anche scoperto la legge peculiare dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico e della società borghese da esso generata. La scoperta del plusvalore ha subitamente gettato un fascio di luce nell’oscurità in cui brancolavano prima, in tutte le loro ricerche, tanto gli economisti borghesi che i critici socialisti.
Due scoperte simili sarebbero più che sufficienti a riempire tutta una vita. Fortunato chi avesse avuto la sorte di farne anche una sola. Ma in ognuno dei campi in cui Marx ha svolto le sue ricerche – e questi campi furono molti e nessuno fu toccato da lui in modo superficiale – in ognuno di questi campi, compreso quello delle matematiche, egli ha fatto delle scoperte originali.
Tale era lo scienziato. Ma lo scienziato non era neppure la metà di Marx. Per lui la scienza era una forza motrice della storia, una forza rivoluzionaria. Per quanto grande fosse la gioia che gli dava ogni scoperta in una qualunque disciplina teorica, e di cui non si vedeva forse ancora l’applicazione pratica, una gioia ben diversa gli dava ogni innovazione che determinasse un cambiamento rivoluzionario immediato nell’industria e, in generale, nello sviluppo storico. Così egli seguiva in tutti i particolari le scoperte nel campo dell’elettricità e, ancora in questi ultimi tempi, quelle di Marcello Deprez.
Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell’altro all’abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire all’emancipazione del proletariato moderno al quale Egli, per primo, aveva dato la coscienza della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto. La prima Rheinische Zeitung nel 1842, il Vorwärts di Parigi nel 1844, la Deutsche Brüsseler Zeitung nel 1847, la Neue Rheinische Zeitung nel 1848-49, la New York Tribune dal 1852 al 1861 e, inoltre, i numerosi opuscoli di propaganda, il lavoro a Parigi, a Bruxelles, a Londra, il tutto coronato dalla grande “Associazione Internazionale degli Operai”, ecco un altro risultato di cui colui che lo ha raggiunto potrebbe esser fiero anche se non avesse fatto niente altro.
Marx era perciò l’uomo più odiato e calunniato del suo tempo. I governi, assoluti e repubblicani, lo espulsero; i borghesi, conservatori e democratici radicali, lo coprirono a gara di calunnie. Egli sdegnò tutte queste miserie, non prestò loro nessuna attenzione e non rispose se non in caso di estrema necessità. È morto venerato, amato, rimpianto da milioni di compagni di lavoro rivoluzionari in Europa e in America, dalle miniere siberiane sino alla California. E posso aggiungere, senza timore: poteva avere molti avversari, ma nessun nemico personale.
Il suo nome vivrà nei secoli, e così la sua opera!
Friedrich Engels, Sulla tomba di Marx, Discorso pronunciato al cimitero di Highgate [Londra] il 17 marzo 1883.
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