Il Pil o la vita? L’interrogativo, qui nell’Occidente neoliberista, è stato sbrigativamente risolto nel modo che sappiamo: “prima il Pil, e pazienza se qualcuno muore”.
Il ragionamento è tipicamente capitalistico, ossia, individuale: “se io resto aperto e produco, conservo le mie quote di mercato e forse mi espando pure; e chissenefrega se l’epidemia si diffonde, l’importante è che sopravviva la mia impresa”.
L’esempio più clamoroso è stata, nella prima ondata, la provincia di Bergamo, e in special modo la Val Seriana.
Non era complicato prevedere che, scegliendo di “convivere con il virus”, il risultato finale sarebbe stato l’esatto opposto: un’economia che crolla e una strage senza fine in tempi di pace.
In Cina, abbiamo scritto spesso, la scelta è stata opposta, scientificamente radicale e dunque vincente: lockdown totali, tracciamento con tampone di tutta la popolazione interessata (solo nella provincia di Wuhan, 60 milioni di persone), isolamento dei contagiati fino a guarigione, attività economiche che riprendono insieme alle normali attività umane, e virus sconfitto (con controlli alle frontiere per impedirne il rientro).
“Prima la vita”, insomma, in un Paese che qui non gode di buona stampa.
Ma ora si deve registrare il clamoroso dato di fatto: quella strategia salva-vita è stata la più efficace anche sul piano della produzione industriale e della crescita economica!
I dati resi noti stamattina dal Bureau of Statistics cinese mostrano un boom molto superiore alle più ottimistiche attese: i dati di gennaio-febbraio indicano che la Cina potrebbe registrare un tasso di crescita del PIL compreso tra il 15-20% nel primo trimestre. Mentre nell’intero Occidente capitalistico si farebbero salti di gioia per un +3-5% rispetto al 2020, annus horribilis causa Covid...
La sola produzione industriale è cresciuta a gennaio-febbraio del 35,1% rispetto ai primi due mesi del 2020, quando la pandemia colpì l’Hubei e Wuhan costringendo a chiudere la “Detroit cinese” (in quell’area sono concentrate quasi tutte le fabbriche automobilistiche del Paese).
Ma bisogna anche ricordare che allora rimase bloccata quasi soltanto quella provincia, anche se economicamente importante, ossia 60 milioni di persone su una popolazione totale di un miliardo e 400 milioni. Meno di un ventesimo del totale...
Il confronto più coerente è dunque con lo stesso periodo del 2019, rispetto ai cui primi due mesi la crescita è del 16,9%, dato che porta la media dei due anni all’8,1%.
Il manifatturiero è aumentato addirittura del 39,5% anno su anno, il valore aggiunto dell’attività mineraria del 17,5%, la produzione e la fornitura di elettricità, gas e acqua del 19,8%, apparecchiature e produzione high-tech sono cresciute, rispettivamente, del 59,9% e del 49,2%.
Camion, robot industriali, escavatori e macchine per la spalatura e apparecchiature per micro computer hanno superato tutte il 100% rispetto all’anno precedente. In alcune aree industriali ormai scarseggiano i container per le spedizioni. Numeri mai visti neanche in pieno boom economico dei vecchi tempi...
C’è però anche una seconda ragione, oltre alla diversa strategia di contrasto della pandemia: le imprese cinesi, sia pubbliche che private (e orientate dalla programmazione/pianificazione statale) investono.
A febbraio di quest’anno i nuovi investimenti segnano un +35% su base annua. Del resto, è impossibile che un’economia cresca se le imprese fanno lo “sciopero degli investimenti”. Il raffronto con l’Italia è impietoso. Secondo i dati della Banca d’Italia, gli investimenti nell’industria in senso stretto erano cresciuti del 6,6% nel 2018, solo dell’1,8 l’anno successivo e poi sono crollati del -8,5% nel 2020 (anche a causa della folle gestione della pandemia che proprio le imprese avevano preteso dal governo).
Il ragionamento è tipicamente capitalistico, ossia, individuale: “se io resto aperto e produco, conservo le mie quote di mercato e forse mi espando pure; e chissenefrega se l’epidemia si diffonde, l’importante è che sopravviva la mia impresa”.
L’esempio più clamoroso è stata, nella prima ondata, la provincia di Bergamo, e in special modo la Val Seriana.
Non era complicato prevedere che, scegliendo di “convivere con il virus”, il risultato finale sarebbe stato l’esatto opposto: un’economia che crolla e una strage senza fine in tempi di pace.
In Cina, abbiamo scritto spesso, la scelta è stata opposta, scientificamente radicale e dunque vincente: lockdown totali, tracciamento con tampone di tutta la popolazione interessata (solo nella provincia di Wuhan, 60 milioni di persone), isolamento dei contagiati fino a guarigione, attività economiche che riprendono insieme alle normali attività umane, e virus sconfitto (con controlli alle frontiere per impedirne il rientro).
“Prima la vita”, insomma, in un Paese che qui non gode di buona stampa.
Ma ora si deve registrare il clamoroso dato di fatto: quella strategia salva-vita è stata la più efficace anche sul piano della produzione industriale e della crescita economica!
I dati resi noti stamattina dal Bureau of Statistics cinese mostrano un boom molto superiore alle più ottimistiche attese: i dati di gennaio-febbraio indicano che la Cina potrebbe registrare un tasso di crescita del PIL compreso tra il 15-20% nel primo trimestre. Mentre nell’intero Occidente capitalistico si farebbero salti di gioia per un +3-5% rispetto al 2020, annus horribilis causa Covid...
La sola produzione industriale è cresciuta a gennaio-febbraio del 35,1% rispetto ai primi due mesi del 2020, quando la pandemia colpì l’Hubei e Wuhan costringendo a chiudere la “Detroit cinese” (in quell’area sono concentrate quasi tutte le fabbriche automobilistiche del Paese).
Ma bisogna anche ricordare che allora rimase bloccata quasi soltanto quella provincia, anche se economicamente importante, ossia 60 milioni di persone su una popolazione totale di un miliardo e 400 milioni. Meno di un ventesimo del totale...
Il confronto più coerente è dunque con lo stesso periodo del 2019, rispetto ai cui primi due mesi la crescita è del 16,9%, dato che porta la media dei due anni all’8,1%.
Il manifatturiero è aumentato addirittura del 39,5% anno su anno, il valore aggiunto dell’attività mineraria del 17,5%, la produzione e la fornitura di elettricità, gas e acqua del 19,8%, apparecchiature e produzione high-tech sono cresciute, rispettivamente, del 59,9% e del 49,2%.
Camion, robot industriali, escavatori e macchine per la spalatura e apparecchiature per micro computer hanno superato tutte il 100% rispetto all’anno precedente. In alcune aree industriali ormai scarseggiano i container per le spedizioni. Numeri mai visti neanche in pieno boom economico dei vecchi tempi...
C’è però anche una seconda ragione, oltre alla diversa strategia di contrasto della pandemia: le imprese cinesi, sia pubbliche che private (e orientate dalla programmazione/pianificazione statale) investono.
A febbraio di quest’anno i nuovi investimenti segnano un +35% su base annua. Del resto, è impossibile che un’economia cresca se le imprese fanno lo “sciopero degli investimenti”. Il raffronto con l’Italia è impietoso. Secondo i dati della Banca d’Italia, gli investimenti nell’industria in senso stretto erano cresciuti del 6,6% nel 2018, solo dell’1,8 l’anno successivo e poi sono crollati del -8,5% nel 2020 (anche a causa della folle gestione della pandemia che proprio le imprese avevano preteso dal governo).
Fonte: Banca d’Italia
La terza ragione dell’esplosiva crescita cinse sta però anche e forse soprattutto nella dinamica dei consumi interni: le vendite al dettaglio registrano, sempre ad febbraio, un incremento del 33,8% su base annua.
Perché? Per l’ovvia ragione che i salari crescono, i servizi sociali essenziali anche (permettendo di destinare parte del salario ad altri tipi di spese) e quindi il risultato è un maggior benessere generale che fa bene anche all’economia.
“Gli straordinari indicatori economici posizionano la Cina sulla strada per una crescita solida e sostenuta nell’era post-pandemia, sia dal lato della produzione che della domanda. Ora è giusto dire che l’economia del paese è tornata alla normalità“, ha detto al Global Times Liu Xuezhi, esperto di macroeconomia presso la Bank of Communications.
L’Occidente non è ancora ripartito, e qui in Europa già si riaffacciano i falchi dell’austerità “europea”, geni assoluti secondo cui la chiave del successo starebbe nei bassi salari e nella distruzione degli ultimi resti dello “stato sociale”.
Perdenti senza speranza, saranno travolti dal maremoto produttivo cinese. Come facciamo a non farci trascinare con loro?
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento