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06/04/2021

L’evanescenza del Recovery Fund

“Il Recovery Fund? Per adesso è come Godot, lo aspettiamo”.[1]

Con queste parole, nel luglio dello scorso anno, l’economista Emiliano Brancaccio commentava il fantomatico intervento comunitario all’interno della querelle tutta italiana in cui, la classe politica nazionale, voleva presentarsi come artificiosamente divisa tra europeisti a “tutto tondo” – che dall’UE avrebbero preso ogni cosa, MES e Recovery Fund appunto – e gli europeisti “critici” – che mentre denunciavano le condizionalità esplicite del MES, tacevano quelle nascoste nei tecnicismi burocratici del Recovery Fund.

Sono trascorsi appena 9 mesi da quei giorni, che appaiono però un’era geologica. Il logorio prodotto dalla non gestione della pandemia, in cui hanno prevalso gli interessi esclusivi dei padroni del vapore [2] al costo di 111.030 morti [3] e una vita da carcerati in libertà condizionale per tutti gli altri, ha segnato pesantemente il passo alla popolazione. Più o meno consciamente, infatti, si sta facendo strada nel corpo sociale la consapevolezza per cui, oggi come un anno fa, non si vede ancora la fine a questa situazione e quando fine ci sarà, certamente non sorriderà alle classi popolari.

A livello di analisi economica questo “comune sentire”, nel corso dei mesi si è fatto spazio sia tra gli addetti ai lavori [4] [5], sia in ambito accademico.

È il caso della pubblicazione che consigliamo di leggere a questo collegamento, dove gli autori Rosa Canelli, Giuseppe Fontana, Riccardo Realfonzo, Marco Veronese Passarella, si cimentano nell’analisi dell’efficacia del Next Generation EU (il nome pubblicitario con cui è stato ribattezzato il Recovery Fund) al fine della ripresa economica italiana.

Nel primo capitolo è presentato un breve excursus della situazione economica italiana a far data dalla grande crisi del 2007-2008. Come riportano gli autori l’Italia arriva all’appuntamento con il Covid-19 in condizione decisamente difficili:
Alla fine del 2019, l’Italia era la principale economia dell’Unione Europea (UE) a non avere ancora recuperato il livello di PIL pre-crisi. E se tra il 2007 e il 2009 l’Italia registrò una caduta complessiva del PIL del 6,3%, nel solo 2020 il crollo del PIL è stato del 9%.
Nel seguito del capitolo si sottolinea come la situazione italiana (e di larga parte degli altri “partner” comunitari) non sia precipitata esclusivamente per l’azione di “regolamentazione” del mercato finanziario operata dalla BCE tramite il Pandemic Emergency Purchase Program che ha calmierato gli interessi sui debiti pubblici (per l'Italia lievitato al 155% rispetto al PIL) di tutti i Paesi dall’area Euro.

Nel resto del capitolo, viene dato conto della consistenza e della struttura del Recovery Fund (rapportato a quanto preventivato dal Governo italiano nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) fornendo i dati numerici basilari di quello che dovrebbe essere l’impegno della UE per il rilancio dell’economica nazionale.

Il secondo capitolo è concettualmente il più ostico, e al contempo quello più interessante metodologicamente. Senza coltivare la pretesa di rendere fruibili a tutti nozioni di matematica finanziaria per nulla intuitive, questo capitolo ci consente comunque di specificare come la “tecnica” non sia per nulla neutrale rispetto alla propria applicazione, infatti, come scrivono gli autori:
la letteratura economica internazionale ha mostrato un crescente interesse per l’approccio coerenza stock-flussi (SFC) alla macroeconomia, riconoscendo i vantaggi della metodologia nel cogliere gli squilibri macroeconomici che generano le crisi e nel fornire proiezioni realistiche rispetto al tradizionale quadro teorico dei modelli stocastici di equilibrio economico generale (DSGE)
Per farla breve, la scienza – in questo caso economica – “esatta”, non esiste ma è frutto della conflittualità sociale, delle contraddizioni che la conflittualità genera e dei tentativi “tecnici” che vengono implementati dal soggetto sociale dominante per governare queste contraddizioni.

Il terzo capitolo, basandosi sull’approccio di analisi macroeconomica descritto nel capitolo precedente, dettaglia i dati da cui gli autori muoveranno per sostenere la propria tesi sull’impatto del Next Generation EU nell’economia italiana.

Le tabelle e i grafici esposti non sono di facile assimilazione. Tuttavia, alcuni passaggi che anticipano le conclusioni, risultano illuminanti circa il quadro generale in cui l’Italia si muoverà a partire dai prossimi mesi:
la crisi da Covid-19 causerà una cicatrice permanente alla già debole dinamica dell’economia italiana, nonostante le misure adottate a livello nazionale ed europeo [6]

il NGEU non è efficace nel fronteggiare i rilevanti impatti negativi della crisi Covid-19 sull’economia italiana. Il PIL non aggancia il valore precedente alla pandemia da Covid-19 nel medio periodo, il tasso di crescita declina rapidamente verso un tasso di crescita zero, mentre il rapporto debito pubblico/PIL si trova su un percorso insostenibile nel lungo andare.
Nel quarto capitolo, gli autori si focalizzano su un argomento cardine del dibattito e della propaganda economica di questi decenni: la spesa pubblica.

Il messaggio che intendono veicolare crediamo sia chiaro: se le riforme del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza finanziate con il denaro del Next Generation EU saranno per l’ennesima volta nel solco della tradizione degli ultimi 40 anni, quindi “più Stato per il mercato”, l’impatto di queste misure sul sistema economico italiano (inteso come PIL e livelli occupazionali) sarà, nella migliore delle condizioni, irrilevante.

Questo perché ciò che serve è migliorare
l’efficacia della spesa pubblica italiana, determinando un maggior incremento di PIL per ogni euro di spesa. In altri termini, incrementare il valore dei moltiplicatori associati ai nuovi investimenti pubblici e agli incentivi pubblici.
Per fare questo l’intervento pubblico dovrebbe dunque affrancarsi dalla sussidiarietà nei confronti di imprese e lavoratori impegnandosi direttamente nella produzione di beni e nella fornitura di servizi.[7]

Nel quinto capitolo, invece, gli autori analizzano ciò che di diverso potrebbe fare l’UE per agire in controtendenza rispetto alla gravissima crisi economica che incombe sull’interno continente europeo ed in particolare su tutti quei paesi, tra cui l’Italia già provati dal precedente ciclo di crisi da cui non si è mai usciti.

I dati presentati crediamo siano illuminanti, dunque rimandiamo direttamente ai grafici elaborati dagli autori.

Nel sesto capitolo vengono finalmente tratte le conclusioni di quanto esposto in precedenza. Ne riportiamo di seguito i passaggi salienti che a nostro avviso non hanno bisogno di essere interpretati:
La conclusione principale che emerge dall’analisi non lascia grandi speranze. ... l’impatto espansivo indotto dal NGEU non sarà sufficiente a stimolare la ripresa dell’economia italiana. Nel dettaglio, si stima che tali misure non porteranno né le finanze pubbliche, né il PIL, né l’occupazione ai livelli pre-Covid-19, con conseguenze in termini di insostenibilità del debito sovrano nel lungo termine.

Chiarito che politiche meno espansive rispetto al NGEU avrebbero un impatto recessivo significativo, abbiamo verificato quale potrebbe essere una politica espansiva adeguata per riportare la crescita italiana sul trend pre-crisi da Covid-19. Lo scenario cosiddetto “back-to-trend” prevede un’espansione del 25% dei fondi del NGEU, interamente finanziati dalla BCE e interamente spesi dal governo italiano. Questa politica fiscale espansiva alternativa avrebbe un notevole impatto positivo non solo sul PIL e sull’occupazione, ma anche sulle finanze pubbliche italiane.

Questo scenario dimostra che le autorità monetarie e fiscali dell’UE avrebbero il potere di spostare l’economia italiana verso un percorso di crescita sostenibile, con risultati positivi sia per l’occupazione sia per le finanze pubbliche.
Giunti a questo punto vi lasciamo, per chi avesse voglia, alla lettura completa dell’analisi che abbiamo qui cercato di sviscerare, aggiungendo una serie di domande, retoriche ovviamente.
L’accordo sui soldi dalla UE firmato dal Governo Conte 2 è veramente una vittoria storica del nostro paese? Rappresenta davvero un cambio di passo nelle politiche decennali della UE? I soldi ci sono o non ci sono? Il paventato peggioramento dei parametri economici sarà pagato dai lavoratori o dai padroni?

Note

[1] https://www.emilianobrancaccio.it/2020/07/17/il-recovery-fund-e-come-godot/

[2] https://contropiano.org/news/news-economia/2021/04/03/italia-la-produzione-vola-ma-non-cerano-pandemia-e-lockdown-0137731

[3] dati della Protezione Civile, aggiornati al 04/04/2021 https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1

[4] https://contropiano.org/news/news-economia/2021/03/31/il-recovery-fund-con-laumento-delle-tasse-0137662
Salerno Aletta, in verità, e da posizioni totalmente interne al modo di produzione dominante, fin da subito ha fatto le pulci al Recovery Fund.

[5] https://www.citystrike.org/2020/12/17/coniare-rivolta-recovery-fund-sotto-il-vestito-niente/

[6] Vale la pena ricordare che, nel caso in cui i risultati di questo studio trovassero conferma nei fatti, si tratterebbe del terzo, violento, trauma economico vissuto dall’Italia in 30 anni.
Il primo fu quello della speculazione sulla Lira del 16 settembre 1992; il secondo l’impatto della crisi globale del 2007-2008 con la conseguente cura da cavallo del Governo Monti.
In entrambi i casi i lavoratori ne uscirono con le ossa rotte, non recuperando più i livelli di potere d’acquisto e condizione materiale generale antecedenti alle citate crisi.

[7] Dalle nazionalizzazioni di ILVA ed Alitalia alla ripubblicizzazione delle infrastrutture portuali passando per la messa in sicurezza del territorio, l’elenco di interventi diretti in economia dello Stato potrebbe essere quasi infinito.

Fonte

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