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31/05/2021

Franz Rosenzweig: intelligenza sana e malata


«Della comune intelligenza sana e di quella malata», edito da Quodlibet, è un libricino scritto da Franz Rosenzweig nel 1921 e pubblicato solo nel 1953.

Nel 1921 l’editore della «Stella della redenzione» aveva chiesto a Rosenzweig di scrivere un piccolo testo introduttivo alla sua opera maggiore, apparsa, sin da subito, persino agli addetti ai lavori, come un testo di difficile comprensione. Rosenzweig non si sottrasse al compito, anche se infine decise di non pubblicare il libretto.

L’interesse per Rosenzweig non è dovuto solo al legame con Benjamin, il quale, come dimostrano molti suoi scritti, era un lettore appassionato della Stella della redenzione (Scholem). L’interesse è dovuto al fatto che oggi – ancora di più oggi – in un momento in cui si vuole la soluzione subito, il giorno stesso, e la si vuole qui, partorita dalla mera ragione; oggi che si concepisce lo smarrimento come errore logico e l’angoscia come arresto della computazione; ebbene, oggi Rosenzweig è di grande attualità. Dunque, vi invito a leggere questo bellissimo libricino.

Il mainstream impone di credere che da una causa segua necessariamente l’effetto e che dalla conoscenza dell’effetto dipenda la conoscenza della causa e che, dunque, data la causa, non solo è necessario che segua un determinato effetto, ma sarebbe contraddittorio che quell’effetto non seguisse.

Tutto ciò si è trasferito sui giornali e nelle trasmissioni di intrattenimento politico, iniziate con Milano-Italia, dove c’era ancora una dose minima di pudore e le farneticazioni logiche (narrazioni) non avevano la pretesa di sussumere l’esperienza, e terminate con PropagandaLive, dove questo difetto è stato emendato e con supponenza si crede di poter risolvere la realtà come si risolve un problema logico-matematico.

Ci siamo sorbiti 30 anni di meccanicismo; abbiamo assunto dosi giornaliere di questa droga, convinti che macchine erano il computer e la fabbrica, mentre le macchine eravamo noi, proprio quando stavamo faccia a faccia a discutere delle cose che più ci stanno a cuore.

Invece di andare avanti pensando a quello che si fa e facendo quello che si pensa, ci si pensa «sopra», dice Rosenzweig, si penetra a fondo nel «problema», nel «tema» e nell’«oggetto».

Così, al posto del flusso vivo del mondo, con tutti i suoi inciampi, le difficoltà, il brancolare nel buio, la possibilità – che è possibilità di sfangarla o di perire, dunque potere di cambiare il corso della storia e potere di non poter far nulla – invece di addentrarci nella vita, ci addentriamo nell’«oggetto» e chiediamo e domandiamo «che cos’è?».

E qualsiasi risposta va bene, a patto che sussista la domanda, a patto che si possa continuare a chiedere e a parlamentare.

Sia come sia, dice Rosenzweig, se la realtà la si infila nello spiedo della domanda «che cos’è?», di essa non rimane nulla, all’infuori di un «oggetto» immortalato.

Chiusi nelle nostre bolle parlamentari, ripetiamo all’infinito la stessa solfa, e all’infinito cerchiamo di ricondurre l’effetto alla causa, e in aggiunta pretendiamo, come se ciò fosse logico – ed in effetti è più che logico – che se ciò non dovesse succedere, il tutto ci apparirebbe contraddittorio.

Incardinati nelle sue leggi, come sonnambuli siamo trascinati dalla storia, siamo chiamati a immetterci nel presente, nel nostro presente, e nel nostro intimo, in noi stessi. Ma dove eravamo prima? – chiede Rosenzweig.

Forse nel passato, forse fuori.

Sì – dice. Eravamo in potenza del passato, e in malia del «fuori» [dell’essenza, della sostanza]. Eravamo un pezzo di mondo. Obbedivamo alle sue leggi, che sono sempre leggi del passato e dell’agire esterno, leggi della causalità.

Cosa libera dall’incardinamento nell’ordine degli effetti e delle cause, cioè del passato?

È la chiamata – dice Rosenzweig.

La chiamata libera da queste leggi. La chiamata ci libera dal mondo nel quale eravamo prigionieri e ci chiama a rientrare nel nostro presente, in un presente sopra il quale, finché la chiamata risuona, nessun passato e nessun «fuori» hanno potere. La chiamata viene sempre dal futuro e sveglia in un istante il sonnambulo.

L’istante, dice Rosenzweig, può salvarsi dalla potenza eternamente invecchiante del passato e della sua legge, che stabilisce cose e cause originarie, soltanto in quanto viene generato nuovo a ogni istante. Questo incessante rinnovamento del presente è opera del futuro.

Il futuro – la Rivoluzione – è l’inesauribile scaturigine dalla quale a ogni istante la forza liberatrice della speranza salta per una stretta porticina, ma solo se la si attende e la si invoca – vieni, vieni.

Il bersaglio principale di Rosenzweig è Hegel.

– Ho ritenuto che la filosofia di Hegel fosse dannosa già fin da quando iniziai a scrivere «Hegel e lo Stato» (nel 1912), dice Rosenzweig a Rudolf Stahl in una lettera del 1925.

– Avrei voglia di dire una volta in maniera così chiara che lo capiscano anche coloro che hanno la libera docenza che il sistema hegeliano è errato nel suo insieme e nelle sue parti (lettera a Nahum Glatzer del 1928).

Nella Prefazione alla seconda edizione (italiana) della Stella, Gianfranco Bonala, che è anche il traduttore del Libretto, dice che la Stella è un’opera tanto originale e teoreticamente trasgressiva da lasciare sconcertati e rendere arduo lo sforzo di definirne il genere e, ancora più, la portata.

Ecco un altro motivo per leggere il Libretto.

Poi aggiunge qualcosa che complica ulteriormente la lettura di questo straordinario libro: la dipendenza di Rosenzweig da Hegel.

Hegel, dice Bonola, è l’avversario principale che Rosenzweig sfida, ma dalla cui stretta non riesce, infine, a sottrarsi davvero. “L’aspetto che ora più mi balza agli occhi, dice, è che proprio l’individuazione del momento epocale in cui il nuovo pensiero di Rosenzweig può venire alla luce è ancora determinata da una concezione del percorso del pensiero occidentale totalmente dipendente dalla storia hegeliana della filosofia, e dalla sua proclamata conclusione nel momento in cui, hegelianamente, la teoresi arriva a inglobare la storia della filosofia come suo oggetto“.

Infatti, dice Bonola, la fuoriuscita dalla filosofia hegeliana può venire proclamata solo se si condivide l’idea hegeliana di un pensiero concepito come unitario, interconnesso e mosso da una dinamica interna, onninclusivo.

Volersi liberare di Hegel, andare oltre Hegel, ignorare Hegel non ha alcun senso.

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