di Sandro Moiso
Domenica scorsa la cabinovia di Stresa forse stava ancora precipitando, oppure si era già schiantata contro gli alberi dopo un breve e rapidissimo percorso di morte, mentre qualche tiggì trasmetteva le immagini di Salvini che eiaculava la sua instancabile giaculatoria sul “correre, fare in fretta, scavare, abolire le regole che intralciano la ripresa”, in un comizio o durante un’intervista poco cambia considerato che può cambiare la locazione ma mai il contenuto dei suoi grossolani discorsi.
Ed era già noto che le vittime erano 14 quando, lunedì 24 sera a Otto e 1/2, Alessandro Sallusti dichiarava che le leggi che impongono controlli sugli appalti servono soltanto a danneggiare e limitare gli imprenditori onesti [1].
Questa è l’Italia della ripresa, l’Italietta del Recovery Plan, la nazione della Next Generation UE, quella che deve salvarsi tutta insieme: a patto che i sacrifici siano tutti a carico di una parte e i guadagni e i profitti a vantaggio dell’altra. E non basta la presenza dei partiti della sinistra di ”Letta e di governo” per poter giustificare un’azione economica e sociale che del sovrapprofitto legato all’abolizione di qualsiasi controllo e misura di sicurezza ha fatto la sua ragion d’essere e di un governo che come unico vero volto ha quello della repressione sempre più intransigente e feroce nei confronti di ogni forma di protesta dei lavoratori e delle comunità.
Un governo caratterizzato da un Ministero della transizione ecologica che come primo provvedimento ha messo in atto quello dell’autorizzazione alla trivellazione dei fondali marini, mentre il super-esperto Cingolani balbettava di averlo ricevuto già così (un po’ come fecero i 5Stelle sia nei confronti del TAP che del TAV). Un governo che porta sul volto dei suoi maggiorenti il ghigno del capitale e della finanza globale, aggravato da atteggiamenti di falsa e gesuitica modestia.
L’orgasmo della ripresa economica accompagna immagini da snuff movie in cui i corpi maciullati delle vittime degli incidenti sul lavoro si mescolano a quelli dei gitanti offerti come vittime sacrificali al Dio del denaro oppure a quello dei corpi esposti ai manganelli e ai lacrimogeni sparati sulla faccia dei manifestanti. L’eccitazione imprenditoriale e politica istituzionale si affianca così a quella più contenuta e grigia delle mafie già al lavoro sui cantieri, le grandi opere, le speculazioni sugli appalti e i rimborsi, in un ballo pornografico di violenza, sadismo sociale, razzismo e opportunismo senza limiti. In cui le vittime designate continueranno ad essere le uniche a non conoscere il sicuro finale dello spettacolo.
Questa è l’Italia della guerra civile strisciante dichiarata dal capitale alle comunità, della devastazione ambientale e dell’assalto a qualsiasi norma che non sia tesa a favorire soltanto un rapido accumulo di capitali e profitti. È l’Italia dell’egoismo, dell’ignoranza spacciata per cultura, della disinformazione troppo spesso presentata come informazione, della scienza asservita a Big Pharma presentata come ricerca e della medicina sottomessa agli interessi dell’industria del turismo, con tutto l’osceno corollario prodotto dal can can che accompagna la narcosi non soltanto mediatica.
È l’Italia delle infinite lacrime di coccodrillo versate sulle “tragedie che si sarebbero potute evitare”, sugli attentati di mafia, sui servizi “deviati”, sulla violenza sulle e contro le donne.
È l’Italia della vergogna, dello schifo, della miseria morale ed economica, dello sfruttamento e della repressione. È un’Italia che non possiamo più voler salvare a qualunque costo, dove tutto si lega e ricollega in un’idea di Nazione e una concezione del mondo che vanno ripudiate fin da subito.
In nome della comunità umana e per porre per sempre fine all’odiosa e sanguinaria festa del profitto e del capitale.
Note
1) Come invece ha sottolineato il direttore de La Stampa Massimo Giannini nel corso del programma “The Breakfast Club” su Radio Capital: “Troppe cose non tornano in questa tragedia. I fatti raccontano di un cavo trainante che si rompe, di un sistema frenante che non funziona e di una cabina che si sgancia. Tutto piuttosto strano perché l’impianto era piuttosto vecchio ma sottoposto a controlli continui, l’ultimo nel 2020. Sembrerebbe che tutto il necessario sia stato fatto, ma evidentemente non è così. Dobbiamo chiederci in che condizioni sono gli impianti nel nostro paese. Morire in funivia è inaccettabile. Questo il primo pensiero dopo la tragedia. Ricordiamoci che nel decreto semplificazioni tornano le gare d’appalto al massimo ribasso, un approccio che ha portato solo guai in Italia. Quando si tagliano i costi i punti su cui si interviene sono sempre gli stessi: lo stipendio dei dipendenti e gli interventi sulla sicurezza”.
Fonte
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