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23/05/2021

Economisti borghesi in tilt, Marx spiega perché

La critica marxista nell’ambito dell’economia politica riguarda le leggi e le categorie che regolano il modo di produzione capitalistico e la dinamica delle sue contraddizioni intrinseche; l’economia politica non riguarda tanto la “produzione” in quanto processo tecnico, ma piuttosto le relazioni sociali nella produzione.

Nessuna comunità umana è pensabile senza agire lavorando sulla natura, poiché la produzione è sempre la riproduzione di una comunità che, se smettesse di funzionare e produrre, si estinguerebbe irrimediabilmente (anche il contadino autosufficiente basa i suoi rapporti di lavoro sull’entità familiare).

L’errore di ridurre l’economia politica alla sola produzione, senza i rapporti di produzione, dà origine alle “robinsonate”, che già Marx evidenziava nel Capitale (un’illusione la quale consegue, per un verso, nel tentativo di legittimare l’individualismo) e soprattutto alla “naturalizzazione” dell’economia, come avviene con il grande Ricardo, che considera le relazioni che concettualizza (capitale, lavoro, terra) come naturali ed eterne.

Ma la maggioranza predominante degli economisti considera le categorie economiche come categorie naturali di produzione e quindi non modificabili. La critica marxista dell’economia politica analizza i fenomeni della società capitalista, rivelando le regole e le categorie che stanno alla base del modo di produzione capitalistico, che sono inerenti a certi rapporti sociali di produzione e che germinano in specifici rapporti di classe della società capitalista.

Pertanto, l’oggetto dell’economia politica, i “rapporti degli uomini nella produzione”, è sempre la produzione e la riproduzione delle persone; ma inerente a relazioni e condizioni storicamente determinate.

Il modo specifico in cui il lavoro vivo (energia umana) e il cosiddetto lavoro morto (mezzi di lavoro e, in generale, mezzi di produzione in cui si materializza il precedente lavoro vivente), definisce le figure fondamentali, epocali della produzione e della riproduzione della vita delle persone; vale a dire i cosiddetti modi di produzione.

Nella realtà, il “lavoro vivo” è sotto forma di lavoro salariato, il “lavoro morto” è sotto forma di capitale e la produzione avviene solo nella misura in cui il capitale, nel processo di produzione, incorpora lavoro vivo.

Data questa premessa, si deduce che la globalizzazione è in effetti la globalizzazione finanziaria (movimento spaziale istantaneo del capitale, competizione monetaria e guerra tra aree monetarie). Solo in parte si è verificata la globalizzazione dei movimenti di merci.

Nel frattempo, il caso del lavoro che viene presentato empiricamente come milioni di persone, di individui, che diventano lavoratori salariati sotto forme dirette o più o meno segrete, è completamente diverso.

Poiché queste masse di lavoratori coesistono con il capitale e lo fanno su scala globale, di ogni paese o di aree e territori in ogni paese, ciò le rende presenti come segmentazione di una classe operaia in erba, soggetta a vari gradi di sfruttamento e posta in una situazione di concorrenza con se stessa.

Si tratta di riflettere su alcuni dei principali elementi teorici dello studio del capitalismo, la cui comprensione è essenziale per sviluppare successivamente proposte di azione nel quadro della realtà concreta che le persone vivono: ambiente di lavoro, spazi di consumo, relazioni internazionali, contesto di famiglia e relazioni personali, sociali e culturali; determinanti del conflitto sociale, con al centro il conflitto capitale-lavoro.

E farlo in tempi già affiancati da altre contraddizioni tra capitale-ambiente, capitale-Stato di diritto, capitale-genere e interculturalità.

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