La tassazione sull’eredità – “di successione” – esiste in tutti i paesi. Fu Berlusconi a toglierla, in questo seguito da tutti gli altri. Ma con la tassa di successione il fisco non raccoglie granché.
Il punto è un altro. Da decenni abbiamo bassi salari per vendere all’estero. I profitti incassati grazie a questo meccanismo vanno a finire soprattutto nella rendita finanziaria. Lo si capisce dalla scarsità di investimenti privati in attività produttive (tra i più bassi di tutto l’Occidente).
Il risparmio gestito – appunto: rendita finanziaria – arriva in Italia alla sbalorditiva cifra di 2.400 miliardi di euro. Tutti soldi messi in circolo, investiti nelle borse mondiali, all’Italia non rimane che un rimasuglio, tant’è vero che Piazza Affari, la Borsa italiana, è tra le ultime per capitalizzazione.
Ma soprattutto con questi soldi non si fanno – come detto – investimenti industriali. I padroni italiani prendono i soldi dei pochi investimenti dalla fiscalità generale, grazie alle regalie governative, ora li pretendono dal Recovery Fund.
È un processo antieconomico, anche dal punto di vista capitalistico.
Adam Smith, padre dell’economia, sosteneva che alla rendita finanziaria corrispondeva la miseria sociale; concetto ribadito poi, con molta più forza e argomentazione dimostrativa, da Karl Marx.
Per cui in Italia, ma in tutto l’Occidente, abbiamo un 20% di popolazione che campa di rendita finanziaria (naturalmente con introiti molto diversi, a seconda del capitale investito in “risparmio gestito”), frutto della sottrazione dei profitti industriali all’accumulazione capitalistica. Mentre il restante affoga, tant’è che la Banca centrale italiana sostiene che il 60% degli italiani non arriva a fine mese.
La tassa di successione, in questo quadro, è un pannicello inutile, uno straccio per distrarre l’attenzione generale. La questione è la centralità salariale rispetto al profitto industriale e dunque costringere i padroni ad investire con i soldi propri, di cui sono pieni, mentre la fiscalità generale si deve occupare di sanità, istruzione e previdenza pubblica.
Tale questione non è più da decenni al centro del discorso pubblico, e del sistema mediatico, per un unico motivo: siamo nel 2021, la generazione cresciuta negli anni Ottanta con il mito della ricchezza ha occupato giornali, tv, università, centri studi e, se lo notate, passano il tempo ad elogiare i padroni, anche se sono precari (molti lo sono...).
È una crisi di civiltà questa, che si riversa nella crisi economica, tutto ciò che fanno è antieconomico.
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