Appare quasi disperato il tentativo della trasmissione Report e di alcuni giudici palermitani di fare luce sulla trattativa tra Stato e mafia nei primi anni Novanta.
È bene ricordare che la stessa costruzione politica e mediatica della deposizione di Napolitano nelle stanze del Quirinale – deposizione osteggiata da tutti i megafoni della sacralità dello Stato ma inevitabile sul piano procedurale – venne strumentalizzata per depotenziare ogni tentativo di ricostruire sul piano giudiziario, le responsabilità politiche di chi scelse la strada degli “indicibili accordi” con le organizzazioni mafiose per far cessare gli attentati ed evitare scostamenti eccessivi nel passaggio tra la prima e la seconda repubblica.
È uno snodo decisivo nella storia recente di questo paese ma, come in altre vicende niente affatto dissimili come furono le stragi di stato dal ’69 all’84, nutriamo serissimi dubbi che queste possano trovare nella sentenza di un tribunale una verità da consegnare al paese. E neanche le novità annunciate da Report e centellinate per fa sì che “chi sa parli” sembrano destinate a produrre i risultati auspicati.
Anche in questo caso, come per Piazza Fontana, Brescia, l’Italicus etc., dovremo agire, cercare, fare le connessioni per portare alla luce una verità storica e politica più che una verità giudiziaria. I giudici palermitani, tra cui c’è gente seria come Scarpinato o lo stesso Di Matteo, saranno via via costretti, come avvenne per Salvini (il magistrato di Milano ovviamente, ndr) su Piazza Fontana, ad arrendersi di fronte alla mancanza di prove dimostrabili, a silenzi, a reticenze, a mezze verità, alla morte biologica di tanti testimoni e protagonisti.
Non è un caso che alcuni processi si aprano o si riaprano dopo venti anni rendendo la memoria “labile”, gli episodi lontani e alcuni protagonisti passati a miglior vita, vuoi per l’età, vuoi per le malattie.
Quando il giudice Salvini consegnò alla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle stragi le sue conclusioni, depose sul piatto tutto quello che lui come magistrato poteva dimostrare: alcuni riscontri, qualche prova, le connessioni accertate. Ma affidava alla Commissione – quindi alla politica – il compito di riempire i buchi e trarre le conclusioni che la verità giudiziaria non poteva accertare.
Ma è proprio in quel momento che l’intervento della “politica” chiude il libro, annebbia contesti e responsabilità e nega al paese una verità storica e politica sulla stagione delle stragi che sarebbe stata quantomeno imbarazzante.
L’esito del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, subirà probabilmente la stessa sorte consegnando al paese e alla storia una verità sufficientemente nebulosa e inafferrabile per poterne trarne delle conclusioni da cui far derivare responsabilità accertate e certificate da una sentenza.
Diventa allora necessario, quanto inevitabile, mettersi al lavoro sul piano della ricostruzione storica e politica per lasciare in dote alle nuove generazioni una conoscenza, una visione e una memoria di quanto accaduto, del perché e delle sue conseguenze.
Ma anche in questo caso occorre superare alcuni schemi depistanti, uno tra questi è il fatto che Berlusconi – ad esempio – si riveli più burattino che burattinaio nei movimenti reali che portarono ad un cambio di classe dirigente nei primi anni Novanta.
Per venti anni, una parte dei poteri forti – e il gruppo De Benedetti/La Repubblica è tra questi – hanno fatto di tutto per farci credere il contrario, fuorviando e depistando la mobilitazione sociale e politica del paese.
Un depistaggio durato venti anni e che dopo ripetuti “tentativi ed errori” alla fine ha prodotto Monti, Renzi ed ora Draghi, per esempio.
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