Quella di superare lo Stato per pervenire a un’armoniosa convivenza dei cittadini liberati da ogni sfruttamento e costrizione legale è un’antica utopia di stampo anarchico e socialista. Per il Marx dei Manoscritti economici e filosofici, lo Stato non costituisce altro che una sovrastruttura funzionale a un determinato sistema, il capitalismo, caratterizzato da determinati rapporti di produzione, in sostanza finalizzati allo sfruttamento della classe lavoratrice mediante l’estrazione di plusvalore destinato all’accumulazione del capitale, ed è quindi destinato a perire insieme a detto sistema, una volta realizzata l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.
La realtà dei nostri giorni ci offre al riguardo un notevole materiale di riflessione. Il capitalismo, quantomeno in Occidente, gode di ottima salute. Il capitale non cessa di riprodursi, in particolare nella sua forma finanziaria. La fase neoliberista del capitalismo è caratterizzata da una trasformazione dello Stato, sempre più direttamente funzionale ai bisogni del capitale. Determinate funzioni dello Stato, di natura assistenziale e redistributiva, ovvero di orientamento strategico delle scelte produttive, deperiscono a vista d’occhio, sia pure in presenza di una crisi generalizzata e profonda della convivenza sociale, caratterizzata dall’incalzare di fenomeni storici che tendenzialmente potrebbero determinare l’estinzione del genere umano o quantomeno una regressione senza precedenti della civiltà.
La balla raccontata in modo ripetitivo dai cantori del capitalismo è che “non ci sono soldi” per sopperire alle esigenze umani più elementari, si tratti di salute, educazione, abitazione e di altri diritti sociali fondamentali. In realtà i soldi ci sono, ma vengono ammassati nelle cassaforti della finanza, coll’unico obiettivo di accumulare il capitale a scapito delle esigenze concrete delle persone in carne ed ossa.
Chi osa ribellarsi alla spietata dittatura del capitale finanziario viene massacrato, come succede in Colombia, dove sono centinaia i giovani uccisi, a volte in modo barbaro, da un innovativo mix di forze repressive che vede presenti reparti speciali di polizia (ESMAD), bande di assassini paramilitari e narcotrafficanti, e cittadini “bene” che aprono il fuoco sulle manifestazioni, com’è successo nella città di Cali. Parallelamente vengono scatenate campagne per affamare e screditare i Paesi che, come Cuba, Nicaragua, Venezuela ed altri, tentano una strada non subalterna ai diktat del capitale.
La campagna è particolarmente violenta nei confronti di Cuba, che è invisa, oltre che al governo statunitense che punta sul bloqueo per affamarla, alle multinazionali chimico-farmaceutiche dominanti per aver messo a punto dei propri vaccini che, se adeguatamente sostenuti, potrebbero costituire una risposta alternativa a quelli venduti a caro prezzo (e non sempre efficaci e sicuri) di quelle multinazionali. Una campagna talmente accanita che coloro che vi sono impegnati rischiano a volte figuracce memorabili, come è accaduto a Saviano che ha pubblicato la foto di una presunta contestatrice cubana che era in realtà una sostenitrice del governo.
Anche l’Italia, come è avvenuto altre volte nel corso della sua storia, e non sempre in modo onorevole ed esemplare, costituisce a suo modo un laboratorio dove si mettono a punto le nuove frontiere del neoliberismo. Basti pensare al primo ministro taumaturgo, Mario Draghi, che, col plauso pressoché unanime di una classe politica assolutamente penosa e inadeguata, composta in buona parte da semianalfabeti e comunque da persone vocate al servilismo e alla subalternità politica e culturale, ha saputo instaurare il dominio assoluto del capitale finanziario mantenendo le spoglie nominali della democrazia parlamentare, come dimostrato dalle scelte concrete del suo governo su ogni tema possibile.
Basti citare la cosiddetta riforma Cartabia che, col pretesto di ridurre i tempi di svolgimento dei processi, potrebbe determinare una vera e propria rottamazione della giurisdizione, specie di quella penale, come autorevolmente denunciato da prestigiosi pubblici ministeri di vario orientamento, che hanno tutti giustamente a cuore la salvaguardia della giustizia. Servirebbero – a mio parere – depenalizzazioni per i reati minori e investimenti in persone e mezzi. Ma “non ci sono i soldi” neanche qui.
Basti pensare all’assessore leghista di Voghera, tale Massimo Adriatici, che ha ucciso un immigrato marocchino, forse ubriaco. Adriatici invoca la legittima difesa ma è evidente la sproporzione tra l’azione dell’ucciso (uno spintone) e la sua reazione omicida. In fin dei conti si tratta di un bell’esempio del fatto che le “brave persone” (così Adriatici è stato definito dal suo capopartito) possono, in determinate circostanze, fare a meno dello Stato e farsi giustizia da sé, applicando a loro arbitrio anche la pena di morte. Del resto lo sceriffo leghista di Voghera, imputato di “eccesso di legittima difesa”, avrà ottime probabilità di farla franca. Tanto più se passa la riforma Cartabia.
E il cerchio si chiude molto tristemente. Sullo sfondo il tramonto dello Stato italiano come lo abbiamo conosciuto.
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