La voglia di fascismo e di piccoli ducetti è lontana dall’abbandonare l’Italia. L’ultimo in ordine di tempo a riproporli è il sottosegretario ai servizi segreti per la Presidenza del Consiglio Franco Gabrielli, che, intervenendo al congresso di un sindacato di Polizia, ha proposto che tutte le forze di polizia debbano stare “nella casa della sicurezza del Paese, il Viminale”. Questo significherebbe il controllo politico delle forze dell’ordine: se Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria dipendessero tutte da un unico soggetto saremmo di fronte a un ministero dell’Interno e a un superministro che controlla per intero la sicurezza interna ed esterna dell’Italia. Attualmente la Polizia fa capo al ministero dell’Interno, i Carabinieri (che hanno inglobato nel 2016 il Corpo Forestale) alla Difesa e la Finanza al ministero dell’Economia. Un sistema di poteri e contrappesi ben bilanciato che nelle inchieste della magistratura può vedere come ente con funzioni di Polizia Giudiziaria tutti i corpi citati. Non è un caso che il massimo organo Consiglio Supremo della Difesa, previsto nella Costituzione e poi regolato dalla legge 624 del 1950, presieduto dal Presidente della Repubblica, preveda la presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, con funzione di Vice Presidente, del Ministro degli Esteri, del Ministro dell’Interno, del Ministro dell’Economia, del Ministro della Difesa, Ministro dello Sviluppo Economico e del Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Il sottosegretario Gabrielli dovrebbe conoscere la Costituzione meglio di altri, visto il ruolo che occupa, ma nonostante questo gradirebbe che scomparissero dal tavolo del Consiglio Supremo tutti i ministri tranne quello dell’Interno. Franco Gabrielli oltre a essere stato capo della Polizia fino allo scorso febbraio, quando entrò a far parte del governo Draghi, è stato direttore del Sisde poi divenuto Aisi.
Quando il magistrato Enrico Zucca, pm del processo contro la mattanza compiuta dalle forze dell’ordine all’interno della scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001, in un convegno del 2018 (vedi libro “L’eclisse della Democrazia” scritto da Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci) affermò “I nostri torturatori, o meglio chi ha coperto i torturatori, come dicono le sentenze della Corte di Strasburgo, sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i suoi torturatori?” a inveire contro il magistrato fu proprio Gabrielli definendo le parole di Zucca “oltraggiose” e “infamanti” e di “arditi parallelismi che qualificano soltanto chi li pronuncia”. Anche chi li commentò in quel modo, visto che le parole del dottor Zucca erano in realtà semplici constatazioni basate sulle sentenze contro l’Italia della Corte di Strasburgo, si qualifica per ciò che è.
Soprattutto Gabrielli è colui che nonostante le sentenze ha permesso il rientro in Polizia dei condannati per i fatti della Diaz. Ma va notata una cosa fondamentale. A Genova nel 2001 sotto la regia unica del Viminale, Polizia, Carabinieri, Finanza e Penitenziaria, lo Stato esibì il suo volto più reazionario e forcaiolo, tra l’assalto alla Diaz, le torture di Bolzaneto e l’omicidio del ragazzo Carlo Giuliani. È l’esempio più oltraggioso in una democrazia delle conseguenze del riunire sotto un unico comando tutti gli agenti.
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