Incontriamo Giovanni Ceraolo, dirigente sindacale USB di Livorno, già candidato nel 2018 nelle liste di Potere al Popolo! come capolista alla Camera della Repubblica in Toscana. Nella sua città il partito sfiorò il 5% dei consensi, dato esemplificativo di un insediamento che continua sino ad oggi.
Giovanni ha recentemente subito, insieme ad altri compagni livornesi, una dura condanna penale e sanzioni economiche salatissime, a causa di fatti risalenti a più di nove anni fa.
Ma prima di entrare nel merito della condanna, chiediamo a Giovanni una descrizione sommaria del contesto sociale e politico nel quale agisce, cioè delle trasformazioni che quella città a vocazione industriale ha subito in questi anni.
Livorno e la sua Provincia sono sempre stati la “fabbrica” della Toscana. Nel bene e nel male i maggiori stabilimenti industriali si sono insediati nel nostro territorio. Dalla Raffineria ENI, alle industrie di componentistica auto passando per i cantieri navali. Dall’acciaieria di Piombino alla Solvay oltre che naturalmente uno dei porti più importanti di Italia.
Dalla metà degli anni '90, come del resto in molti territori con caratteristiche simili, questo sistema, che in ogni caso ha garantito anni di relativo benessere, è entrato in crisi. Il disinteresse dello Stato per la politica industriale, l’avvento delle multinazionali, la chiusura progressiva delle maggiori industrie hanno creato un contesto di crisi economica e sociale senza precedenti.
A tutto ciò si somma anche la questione ambientale che negli ultimi anni, per fortuna, ha acquisito sempre maggior interesse da parte dei Livornesi.
La vocazione industriale del nostro territorio ha fatto sì che il problema della salute e dell’ambiente passassero in secondo piano trasformando Livorno in una delle aree più inquinate di Italia.
Dettò ciò quando questo modello è entrato in crisi, con tutte le contraddizioni inevitabili, i movimenti, le liste civiche e i sindacati di Base sono riusciti a mantenere un forte radicamento sociale, sostenendo e promuovendo centinaia di vertenze, creando le condizioni – anche grazie alla storica connotazione politica della città – affinché l’unica opposizione al sistema politico responsabile di questa disfatta, e cioè il Partito Democratico con le sue varie ramificazioni (cooperative, sindacati confederali, associazioni), fosse rappresentata, appunto, da soggetti che nulla hanno a che vedere con la destra.
Una destra che, a parte i proclami di facciata, è sempre stata al servizio dei medesimi poteri.
Centinaia di attivisti e attiviste che hanno generato una rottura insanabile e netta con quel sistema di potere. Sottolineo questo aspetto perché ai fini della descrizione di quanto accaduto in qui giorni di dicembre 2012, credo sia importante.
In questo contesto che ci descrivi il sindacato nel quale militi oramai da molti anni ha intercettato un malessere che sale, valorizzando ed orientando un sentimento popolare che potremmo dire unico nel contesto nazionale, perché permeato della migliore storia del movimento operaio e comunista del nostro paese. Come si è sviluppata e in che settori l’Unione Sindacale di Base?
USB a Livorno è nata, come anche in altre parti d’Italia, nei settori pubblici e para-pubblici. La presenza storica del sindacato nasce all’interno della società di gestione del servizio idrico, nel Comune e negli enti previdenziali.
In una prima fase più recente, anche grazie all’ingresso di nuove generazioni di attivisti provenienti anche dai movimenti, la nostra organizzazione ha consolidato un forte radicamento nelle lotte sociali e nei quartieri popolari.
Le vertenze per la casa e per il reddito hanno fatto da traino coinvolgendo centinaia e centinaia di famiglie che, trovandosi alle prese con la crisi economica post 2008, hanno intrapreso percorsi di lotta che il più delle volte hanno portato a delle storiche vittorie.
Adesso Asia USB è presente con i propri iscritti ed iscritte in tutti i quartieri e ha costruito rapporti di forza a tutti i livelli. A proposito di repressione bisogna dire che questi risultati sono stati ottenuti anche a costo di centinaia di procedimenti penali. Solo quelli relativi alla lotta per la casa sono oltre 200.
Più recentemente USB ha visto una straordinaria crescita nel settore privato. Anche in aziende in cui i sindacati confederali avevano una presenza totale e totalizzante. L’industria (siamo presenti con iscritti e delegati nelle maggiori fabbriche del territorio), nell’igiene ambientale, nelle cooperative sociali, nel trasporto pubblico locale e per ultimo nel porto e nella logistica.
Una crescita costante che ha imposto un modello organizzativo decisamente diverso e migliore rispetto al passato, ma sempre ancorato all’idea che USB debba essere un sindacato conflittuale e non concertativo.
Veniamo ora alla tua recente, pesantissima condanna, che condividi con altri compagni del sindacato e “di strada”, cioè di coloro che condivisero una vera “sommossa popolare” determinata da un comportamento di piazza delle forze dell’ordine particolarmente duro, nel tentativo evidente di provocare una città ed una popolazione molto sensibile alla propria identità collettiva e alla propria storia. Ci descrivi cosa avvenne nove anni fa?
I fatti di 9 anni anni fa si inseriscono all’interno di quella “guerra” aperta portata avanti dai movimenti cittadini contro il Partito Democratico locale della vecchia giunta Cosimi, ma soprattutto con quell’idea di potere che tanti danni ha causato alla nostra città.
Un potere già entrato in crisi ma che non aveva perso la sua arroganza e la sua prepotenza ereditata dalla peggiore classe dirigente degli ultimi anni del PCI Livornese. Un PCI che non aveva già più nulla a che spartire con lo storico partito di Barontini.
La distruzione del Cantiere Orlando per far posto ad appartamenti di lusso per ricchi proprietari di yacht, le enormi speculazioni edilizie di quegli anni, la decisione di istallare un rigassificatore di fronte alle nostre coste – nonostante l’opposizione di una città intera – il totale disinteresse nei confronti delle famiglie in difficoltà economica.
Sono solo alcuni esempi del contesto politico in cui si inserirono le contestazioni di quei mesi del 2011/12 e del sostegno popolare che ebbero.
Ci fu un piccolo antefatto, qualche mese prima, in estate: il movimento di lotta per la casa si presentò alla festa dell’Unità per contestare l’allora assessore all’urbanistica Bruno Picchi. La manifestazione finì a spintoni e offese. La “voce” che arrivò subito dopo è che “avevamo superato il limite” e che il PD non avrebbe accettato altre proteste.
Si arriva quindi a dicembre con il comizio del segretario del PD, Bersani, alla Stazione Marittima.
Lavorator* e attivist* ambientalisti, No Tav e famiglie delle occupazioni cittadine provarono ad esporre un semplice striscione. Ci furono subito numerose cariche a freddo. Nessuna “intermediazione” da parte della polizia in borghese ma solo violenza. Una cosa praticamente mai vista a Livorno da decine di anni in contesti politici.
Ma non era abbastanza. Il giorno successivo un piccolo gruppo di militanti organizzò un presidio in zona pedonale per protestare contro le cariche del giorno prima e informare la popolazione. Dopo neanche mezz’ora arrivarono le camionette della celere, rimaste volutamente a Livorno dal giorno precedente. Altre cariche a freddo e altri feriti anche tra i passanti impegnati nello shopping natalizio.
Il giorno ancora successivo un’imponente manifestazione con migliaia di Livornesi percorse le vie del centro. Una protesta completamente autorganizzata, costruita in poche ore attraverso i social e il passaparola.
Prima che il corteo si concludesse nuovamente in Piazza Cavour, di fronte ai cancelli della Prefettura, ci furono nuovamente provocazioni con la celere schierata. A quel punto la rabbia popolare prese il sopravvento e per alcuni minuti la Prefettura fu “attaccata” dai manifestanti senza, peraltro, causare alcun danno. Il corteo termino poi regolarmente in Piazza Cavour.
Una condanna che si inserisce in un clima repressivo che caratterizza oramai da anni lo scenario del conflitto nel paese, grazie a normative, leggi e provvedimenti restrittivi costruiti ad arte per prevenire il conflitto sociale. Di fronte a queste dure condanne, che hanno l’evidente scopo di frenare lo sviluppo del lavoro sindacale e politico in una città mai doma di fronte all’arroganza del potere costituito, quali sono le iniziative che intendete portare avanti nei prossimi giorni e mesi?
Oltre alle condanne gli imputati dovranno pagare, tra risarcimenti ed ammende, circa 85 mila euro. Quindi per prima cosa è stato attivato un canale di raccolta fondi collettivo da parte di tutti i soggetti coinvolti. Uno dei nostri compagni ha già ricevuto la notifica di pignoramento della prima casa.
Come sindacato crediamo che la cosa più importante, anche per reagire alla repressione, sia quella di continuare nel nostro lavoro quotidiano. Non c’è errore più grave di quello di arrendersi e desistere. Le ragioni di ieri sono identiche a quelle di oggi.
A distanza di vent’anni dal G8 di Genova e in piena crisi economica (alle porte di una pesante ristrutturazione), il ruolo dei militanti e degli attivisti sindacali è ancora più importante. Porteremo le nostre ragioni nelle piazze e nei posti di lavoro senza paura e con determinazione affrontando a testa alta anche le conseguenze legali, qualora ci siano.
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