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27/07/2021

La Rivoluzione Cubana, vittima del suo successo

Cuba è vittima del proprio successo. Una conquista di portata formidabile ma che l’opinione “benpensante” insiste nel qualificare come un fallimento fenomenale. Alcuni lo fanno per ignoranza, ripetendo il messaggio che i media mainstream e i loro “opinionisti” declinano da un copione che nelle sue linee generali è stato sviluppato negli Stati Uniti dai primi mesi del trionfo della Rivoluzione.

Nella maggior parte dei casi questo messaggio è lanciato da un folto gruppo di mercenari della guerra delle comunicazioni che sanno di mentire, ma la generosa ricompensa che l’impero elargisce loro, riesce a mettere a tacere i loro dubbi e trasformarsi in delirio di diffamazione e menzogna contro i nemici che di volta in volta Washington gli indica.

Ho detto successo, volutamente, perché come si potrebbe qualificare altrimenti la performance di un piccolo Paese che, pur essendo vittima del blocco più lungo e ferreo della storia dell’umanità, è riuscito, grazie alla sua rivoluzione, a produrre ammirevoli indicatori sociali?

Prendiamo, senza andare troppo indietro nel tempo, la lotta alla pandemia di Covid-19 e osserviamo il comportamento di un indicatore chiave: il numero di morti per milione di abitanti.

Nonostante le restrizioni imposte dal blocco, inasprite da Donald Trump e mantenute da Joe Biden, il tasso di mortalità per milione di abitanti a Cuba è, ad oggi, pari a 195 per milione. In Brasile sono 2.555, in Argentina 2.259; Belgio 2.166; Gli Stati Uniti, carnefice del popolo cubano, hanno un tasso di 1.881, sempre per milione di abitanti; Cile, 1.808; Uruguay, 1.696 e Svezia 1.438.

Insomma: il “regime” cubano (come viene chiamato per squalificarlo) ha un tasso di cura della sua popolazione quasi dieci volte superiore a quello dell’esemplare “democrazia” statunitense e circa sette volte più efficace di quello della tanto ammirata “democrazia” svedese.

Poiché la tutela della cittadinanza è un tratto essenziale della democrazia, mentre l’esistenza di un sistema multipartitico non lo è (si ricordi che nella dittatura brasiliana almeno due partiti politici “funzionavano”, e che sotto i regimi di Anastasio Somoza e Alfredo Stroessner ce n’erano ancor di più) con elezioni periodiche e tutte le caratteristiche che la saggezza convenzionale della scienza politica considera consustanziali alla democrazia, la conclusione a cui possiamo giungere è che da questo punto di vista – la cura della popolazione – Cuba Rivoluzionaria è molto più democratica di qualunque dei paesi sopra citati.

E questo sarebbe tutto? I suoi successi nella lotta al Covid-19? No, per niente. La salute come diritto universale raggiunge livelli formidabili a Cuba, mentre negli Stati Uniti (il paese aggressore) è una merce in più, accessibile a chiunque possa acquistarla. Chi ha denaro ha accesso alla salute, gli altri devono pregare il buon Dio di liberarli da ogni male.

Un indicatore sensibile, tra i tanti che potrebbero essere utilizzati per rappresentare graficamente l’impegno di Cuba in materia di salute, è il tasso di mortalità infantile: mentre questo è del 4 per mille nati vivi nella più grande isola delle Antille, negli Stati Uniti, vergognosamente, è del 6 per mille nati vivi, secondo quanto dice la Banca Mondiale.

In Colombia, il cui governo si vanta (con sua disgrazia) di aver trasformato quel Paese nell'”Israele dell’America Latina” e su cui piovono gli elogi di Mario Vargas Llosa, la cifra sale a un criminale 12 per mille nati vivi.

Come se quanto sopra non bastasse, Cuba è l’unico paese dell’America Latina e dei Caraibi che ha raggiunto l’autosufficienza vaccinale, non con uno ma con due vaccini già in uso e altri tre in via di approvazione.

Paesi con molta più popolazione ed economie molto più grandi (Brasile, Messico, Argentina, per esempio) mostrano una penosa dipendenza in questo campo, nonostante nessuno di loro soffra di un blocco come quello che opprime cubane e cubani.

Aggiungete a quanto sopra che la Rivoluzione Cubana mostra un tasso di alfabetizzazione del 99,8 per cento nella popolazione dai 15 anni in su contro il 99,0 per cento degli Stati Uniti; una competizione serrata, ma in cui Cuba si guadagna gli allori. E quell’accesso alla cultura, in tutte le sue manifestazioni, è uno dei grandi successi della rivoluzione cubana, evidenziato dalla qualità universale dei suoi musicisti, artisti visivi, pittori, scrittori e così via.

E di pari passo con questa preoccupazione di socializzare non solo l’economia ma anche la cultura arriva la democratizzazione dell’accesso allo sport. Essendo in termini demografici, un piccolo paese è il primo dell’America Latina e dei Caraibi quando si tratta di calcolare le medaglie ottenute ai Giochi Olimpici: con 226 medaglie in totale, di cui 78 d’oro, è davanti non solo a tutti gli altri paesi della regione ma ad altri come Canada, Spagna, Danimarca, Turchia e di gran lunga avanti a Brasile, Messico e Argentina.

E se guardiamo al medagliere dei Giochi Panamericani, dietro al Golia nordamericano, che lo guida con 2.066 medaglie d’oro, subito dietro c’è Cuba con 908, il Canada con 491, il Brasile 383, l’Argentina 327 e il Messico 258.

Va da sé che questi risultati non nascondono i problemi che affliggono l’economia cubana. Fidel ha sempre ricordato che la Cuba socialista era un’economia sottosviluppata, dipendente e molto vulnerabile, più di ogni altra nella regione a causa del blocco genocida a cui è sottoposta.

E anche se sarebbe un errore attribuire al blocco tutte le difficoltà economiche di Cuba, poiché ve ne sono molte endogene – per esempio, il ritardato aggiornamento del modello economico e l’eccesso di burocrazia nella gestione macroeconomica – non può esserci il minimo dubbio che questi problemi siano stati potenziati oltre misura dagli effetti devastanti di un blocco che perdura da sessant’anni.

Qualsiasi analisi dell’economia cubana che ignori questo fatto fondamentale, non può fornire una spiegazione convincente dei suoi problemi e deve essere considerata una grossolana commedia propagandistica.

Conclusione: se l’impero credesse davvero a ciò che dicono i suoi portavoce, dovrebbe revocare immediatamente il blocco, in modo che diventi ovvio che i problemi dell’economia cubana sono dovuti all’irrazionalità del socialismo e all’inettitudine del governo rivoluzionario, causando la ribellione della popolazione contro le autorità e provocandone il rovesciamento.

Ma sanno che non è così e quindi persistono con il blocco.

Se no, perché provocare il periodico ripudio universale contro una politica genocida che negli ultimi 29 anni è stata condannata dall’unanimità quasi assoluta nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite?

Se Washington mantiene il blocco è perché sa benissimo che senza di esso l’economia cubana fiorirebbe come in nessun altro paese della regione, e questo sarebbe un pessimo esempio per il resto del mondo.

Sarebbe la conferma empirica della superiorità di un’economia socialista su quella capitalista, e questo è un argomento tabù per la destra e gli imperialisti. Da qui l’ossessione malata di tutti i governi, dal 1959 ad oggi, di mantenere il blocco.

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