Rispondendo al question time alla Camera, il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta auspica un rapido cambio di passo sui concorsi pubblici che, per il momento, stanno tutti scontando una bassa affluenza di partecipanti e una bassa percentuale di idonei.
Insomma l’ultima trovata del picconatore dell’amministrazione pubblica è fallita come era ampiamente prevedibile. È l’ulteriore conferma che Brunetta non sa su cosa sta mettendo le mani e soprattutto di come le sue pruderìe competitive e liberiste siano del tutto sballate.
Le persone non si presentano ai concorsi per le assunzioni a tempo determinato nella pubblica amministrazione (contratti di tre anni) e molti di quelli che si presentano risultano non idonei ai profili richiesti da chi pensa che il lavoro pubblico sia una sorta di Accademia dei Lincei.
Nella astrusa logica di Brunetta – e del governo Draghi che non lo ha riportato con i piedi per terra – il lavoro pubblico avrebbe dovuto attrarre i “rampolli” della borghesia, che oltre alla laurea hanno avuto occasione (e soldi) per procurarsi master ed altri titoli extra curriculari.
In questo modo sono stati tagliati fuori migliaia e migliaia di laureati senza i titoli di “eccellenza” richiesti. Non solo.
I rampolli “masterizzati”, con il piffero che si sentono attratti dalla prospettiva di un lavoro pubblico dove le retribuzioni sono le più basse d’Europa e dove le prestazioni richieste spesso hanno carattere quantitativo più che qualitativo. Il motivo? In troppe amministrazioni pubbliche in questi anni di sbornia liberista ha prevalso la logica competitiva dei numeri e degli algoritmi piuttosto che una visione del servizio pubblico come tale.
L’efficacia dell’amministrazione infatti va trovata nella risposta alla domanda di servizi (in questo caso pratiche, documenti, autorizzazioni, pagamenti etc.) che viene dall’utenza e non dalla quadratura dei conti dei dirigenti per consentirgli di prendere i superincentivi a fine anno. In realtà è avvenuto l’esatto contrario. È diventato prioritario fare numeri – anche con criteri poco razionali – piuttosto che rispondere al meglio alle esigenze dell’utenza.
Intervenendo alla Camera e dovendo giustificare il suo fallimento, Brunetta ha fatto la scoperta dell’acqua calda: “Era corretto prevedere l’assunzione di tecnici con esperienza e poi offrire loro un posto a termine con retribuzione medio-bassa?”, si è chiesto il ministro. Non solo: “La scopertura maggiore è avvenuta proprio sui profili tecnici, sugli ingegneri, sulle specializzazioni”, ha ammesso Brunetta che poi è andato decisamente in pappa: “Molto probabilmente dovremo cambiare modo di offrire occasioni di lavoro, tipologie e specializzazioni, anche alla luce del PNRR, proprio per incontrare una domanda che attualmente non c’è”, ha riconosciuto il peggior ministro della Funzione Pubblico dell’ultimo ventennio.
Ed a questo bilancio mancano ancora i disastri annunciati dalle misure di Brunetta nella sanità.
Brunetta, come noto, ha un pessimo carattere e riteniamo non sia disponibile ad accettare suggerimenti, ma ci sentiamo di avanzarglieli comunque.
Caro ministro, faccia dei concorsi normali, con test adeguati ai profili richiesti dalle esigenze reali di una pubblica amministrazione approcciata con la visione della propria funzione pubblica; butti nel cestino la folle idea che solo i “rampolli masterizzati” possano accedere ai concorsi; utilizzi il capitale umano rappresentato da migliaia di giovani laureati per rinnovare gli organici di amministrazioni a cui proprio lei ha tolto l’ossigeno per anni con la sua riforma; adegui le retribuzioni ai profili richiesti e necessari. Vedrà che nel paese troverà tutte le risorse di cui si ha necessità e sulle quali sarà possibile pensare alle innovazioni indispensabili nel lavoro pubblico.
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