Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

23/07/2021

Draghi schiaccia i pagliacci: ok alla Cartabia e ai green pass

Il consiglio dei ministri di ieri ha sancito il dominio assoluto di Mario Draghi sull’armata brancaleone costretta a sostenerlo senza se e senza ma. Del resto era apparso chiaro fin dall’inizio, con la formazione di “due governi in uno”, dove ai cortigiani rappresentanti dei “partiti” veniva lasciato qualche giocattolo ministeriale – magari anche “costoso” – ma privo di autonomia strategica, mentre invece ai suoi “tecnici” venivano riservate le poltrone che contano. Tradotto: quelle da cui bisogna dare la sterzata “riformatrice” imposta dall’Unione Europea.

“Ma come?”, dirà qualcuno, “ancora co’ ‘sta storia dell’Unione Europea?”

Consigliamo a tutti costoro di provare a seguire almeno un talk show di questi giorni per capire che gli “osservatori professionali” – quelli che hanno in agenda i numeri di telefono dei “decisori” e li sentono quotidiamente – se la ridono alla grande nel dover commentare i mal di pancia e le giravolte dei vari “leaderini”. Il tono generale è “ma tanto, dove vogliono andare...”.

Il discorso è stato chiarissimo anche da parte di Draghi, che ha annunciato di esser pronto a chiedere la “fiducia” parlamentare su tutti i provvedimenti illustrati ieri. Perché tanto “il semestre bianco è come se fosse già iniziato” (i sei mesi prima dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, in cui l’uscente non può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni).

Ma soprattutto perché alcune “riforme”, come dicevano Monti e Padoa Schioppa, “ce le chiede l’Europa”. E non sono contrattabili, al di là di qualche dettaglio marginale.

È così per quella della giustizia penale, firmata da Marta Cartabia. E chissesenefrega se qualche procuratore si è fatto venire le convulsioni.

Può sembrare molto astratta la ragione per cui l’Unione Europea si interessa così da vicino persino a come viene amministrata la giustizia in un paese membro, ma ben vedere è persino semplice.

L’Italia degli ultimi 40, tra “emergenze” (“anni di piombo”, mafia, corruzione, tangentopoli, ecc.) e governi evanescenti, ha costruito una mostruosità giuridica assolutamente unica. Leggi scritte direttamente dai magistrati “operativi” (quelli “inquirenti”), diritti della difesa ridotti a un simulacro, princìpi giuridici fantasiosi per raggiungere “obbiettivi pratici”, processi dalla durata infinita e carcerazioni preventive a volte più lunghe della pena finale, una macchina della giustizia che comunque non funziona, pigra, elitaria, ottocentesca nelle logiche e nelle movenze.

Il “caso Palamara”, con il suo codazzo di logge massoniche e interessi privati-politici, ha dato il colpo di grazia alla credibilità delle istituzioni più alte del settore (Consiglio superiore della magistratura e Associazione nazionale magistrati).

Attenzione, però. Le preoccupazioni “europee” sono molto selettive. La durata dei processi, per esempio, che si porta dietro anche l’istituto della prescrizione, è una preoccupazione per chi deve fare business in questo paese, straniero o “indigeno” che sia. Tanto sul versante penale che, a maggior ragione, su quello civile (dove sono in ballo solo soldi, risarcimenti, proprietà, ecc).

Ai poveracci o ai “nemici” si può continuare a far di tutto – e la storia recente degli esuli italiani a Parigi lo dimostra – stabilendo eccezioni su eccezioni, ad libitum. Ma serve un quadro legale più allineato a quello “europeo” (francese e tedesco, sostanzialmente) per garantire che i businessman abbiano chiaro cosa possono fare, cosa aspettarsi, e in che tempi. Il denaro non può aspettare che un ermellino esca dal suo confortevole letargo...

Si sente in lontananza il peso “scandaloso” delle condanne di manager europei nel caso dell’Eternit o in quello della ThyssenKrupp. Ma che davvero qualche magistratucolo italiano crede di poter mandare in galera un manager svizzero o tedesco? E dove siamo...

Perciò la “forzatura” di Draghi affonda nel burro. I ministri “di partito” avevano già dato il loro okay, ora toccherà anche ai più frastornati parlamentari, e il cerchio si chiude. Certo, restano da convincere gli elettori, ma quello non è un problema di Draghi e dei ministri “tecnici”.

Ma è sulla gestione della pandemia che si nota meglio la mano criminale del business. Non stupisce che sia stato prorogato fino al 31 dicembre lo “stato di emergenza” sanitaria, perché questo consente al governo di prendere decisioni in tempo reale e senza passare dal voto parlamentare.

Né sorprende l’adozione del green pass (“certificato verde”, nella definizione di un Draghi che deve farsi riconoscere come “nazionalista”, pur avendo costruito la sua carriera all’ombra del capitale finanziario multinazionale).

Il disastro combinato da entrambi i governi – come del resto dai “colleghi europei” – negli ultimi 18 mesi è tale che nessuno può più realisticamente pensare di andare avanti a forza di chiusure di attività commerciali, mentre le industrie e gli uffici restano aperti, decine di milioni di persone vanno a lavorare, spesso su mezzi pubblici più affollati di prima.

E così la “pensata” di Macron sta rapidamente diventando “strategia europea”, nella speranza che i non vaccinati (o non “sopravvissuti”) si arrendano e corrano dai medici per mettersi in condizione di poter uscire di casa e frequentare ciò e chi vogliono.

Per la cronaca, sarà possibile svolgere alcune attività solo se si è in possesso di certificazioni verdi Covid-19 (green pass), comprovanti l’inoculamento almeno della prima dose vaccinale Sars-CoV-2 (validità 9 mesi) o la guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2 (validità 6 mesi); effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2 (con validità 48 ore).

Questa documentazione sarà richiesta poter svolgere o accedere alle seguenti attività o ambiti a partire dal 6 agosto prossimo: servizi per la ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per consumo al tavolo al chiuso; spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi; musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre; piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso; sagre e fiere, convegni e congressi; centri termali, parchi tematici e di divertimento; centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, i centri estivi e le relative attività di ristorazione; attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò; concorsi pubblici.

L’elenco è come sempre lungo e alquanto incoerente, dal punto di vista epidemiologico. Non si capisce, per esempio, perché il “certificato” sia necessario per “sedersi a consumare” nei locali al chiuso mentre invece non sia necessario per le “consumazioni al banco”, anche se in luogo egualmente chiuso.

Ma sono dettagli che appassionano chi deve aiutare a dirottare l’attenzione generale dai veri guasti.

Che sono poi questi.

Sono stati cambiati i parametri in base a cui verranno definite le “zone a colori” (bianco, giallo, arancione e rosso). Il baricentro passa dal tasso di incidenza sui contagi (in rapida crescita, in queste settimane) al tasso di occupazione dei letti ospedalieri di terapia intensiva e ordinaria.

In realtà, i due ultimi governi avevano sempre usato questo criterio (i posti letto occupati) per prendere le decisioni di chiusura-apertura. Ma la “comunicazione” aveva sempre insisto sui numeri più grandi, quelli dei contagiati.

Ma anche nell’ufficializzare il “nuovo criterio guida” la mano del profitto si è fatta sentire. Gli scienziati, i rianimatori (i medici che gestiscono le terapie intensive, di concerto con virologi, epidemiologi e infettivologi), chiunque sia “al fronte” chiedeva che la prima soglia di pericolo – che implicherebbe il passaggio da zona bianca a gialla – fosse fissata intorno al 5%.

Per molte buone ragioni: “La questione, che forse molti politici regionali non capiscono, è che tra un contagio e un ricovero in rianimazione possono passare anche 15-20 giorni. Se andiamo a vedere cosa è accaduto in passato, in questo lasso di tempo il dato dei ricoveri è quadruplicato”.

E infatti i “governatori”, con l’anticamera piena di commercianti assatanati, chiedevano di fissare quella soglia intorno al 15-20%. Fatevi i conti...

Il governo ha “salomonicamente” deciso di fissare l’asticella al 10%.

La scienza e la volontà di combattere il virus, come si vede, non c’entrano nulla. E si sceglie l’antica strada italica del “manomettere il termometro” per poter dire in pubblico “la febbre è scesa, non è grave”. Avviene da sempre, per esempio con il caso dei livelli di atrazina nell’acqua potabile da considerare “accettabili”: quando le rilevazioni diedero un valore superiore alla soglia di rischio... si cambiarono le soglie e l’acqua inquinata divenne “potabile”. Per miracolo amministrativo...

Governi che agiscono così ci sono sempre stati, certo. Ma proprio per questo l’esecutivo Draghi non si mostra affatto “migliore”.

Da un lato la macelleria sociale con il via libera ai licenziamenti, dall’altra le “riforme” che la Ue pretende (tra cui anche la libertà di licenziare). E come gestione quotidiana un continuo pasticciare tra finte mediazioni e finte decisioni che non prendono mai il toro per le corna.

Il Covid-19, in tutte le sue varianti, sentitamente ringrazia...

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento