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17/07/2021

Libano - Hariri lascia, il Paese resta senza governo

Il premier designato libanese Hariri ieri ha gettato la spugna dopo non essere riuscito a formare il governo. La decisione è stata presa dopo un breve incontro con il capo dello stato Aoun. “Mi ritiro dal formare il governo – ha detto ai giornalisti – Aoun mi ha chiesto delle modifiche che considera essenziali e ha detto che non saremo stati in grado di raggiungere un’intesa. Dio possa salvare questo Paese”. Dura è stata la replica di Aoun. In una nota, il presidente ha fatto sapere che “Hariri ha respinto qualunque modifica relativa ai ministeri, alla loro distribuzione settaria e ai nomi associati con questi”. Intervistato dalla rete al-Jadeed, Hariri ha poi spiegato che aveva selezionato i candidati del suo governo per la loro competenza e la loro capacità di riformare l’economia, ma Aoun non ha voluto”. “Il principale problema di questo Paese è Michel Aoun che è alleato con [il partito sciita] Hezbollah che a sua volta lo protegge”, ha poi chiosato polemicamente.

Affermazioni che dimostrano quanto il Libano sia profondamente polarizzato dal punto di vista politico. Ieri i sostenitori di Hariri e del suo partito (il Movimento Futuro) sono scesi in piazza in diversi punti a Beirut bloccando strade e bruciando pneumatici. Alcuni di loro si sono scontrati anche con la polizia. Bloccate alcune strade anche a Tripoli (al nord) e Tiro (sud). Una rabbia comprensibile se si pensa che dopo le dimissioni annunciate ieri da Hariri, la lira libanese ha segnato un nuovo triste record nei confronti del dollaro americano raggiungendo quota 21.000. La moneta locale ha perso il 90% del suo valore e ciò ha fatto praticamente evaporare i risparmi di migliaia di famiglie. La situazione nel Paese è economicamente e socialmente devastante se si pensa che metà della popolazione è nella fascia della povertà e il costo dei prodotti alimentari è schizzato alle stelle. L’inflazione è fuori controllo. La dollarizzazione dell’economia libanese favorisce la speculazione di chi ha accesso ora al dollaro aumentando le distanze sociali all’interno della popolazione.

Di fronte alla gravissima crisi economica, il mondo politico locale è del tutto incapace di trovare una soluzione. Dopo la terribile esplosione al porto di Beirut avvenuto lo scorso 4 agosto (più di 200 morti, 7mila feriti e migliaia di sfollati), il premier Diab si era dimesso e la leadership era passata al diplomatico Adib il cui tentativo di sistemare la situazione è durato appena 2 mesi. Il 22 ottobre scorso, infatti, veniva affidato ad Hariri il compito di formare un governo (sarebbe stato il suo quarto) il quale, a patto (o meglio dire minaccia) di riforme, avrebbe ricevuto i 253 milioni di euro raccolti dopo la tragedia del porto grazie ad una iniziativa internazionale guidata dalla Francia. Con lo stallo politico, quei fondi sono al momento una chimera.

La situazione, quindi, si fa sempre più esplosiva vista la devastante crisi economica e la rabbia di una popolazione ridotta in povertà che da anni non crede più nell’intera classe dirigente vista come corrotta e interessata soltanto a conservare i suoi privilegi. Gli scontri tra polizia e i familiari delle vittime dell’esplosione al porto alcuni giorni fa fuori al ministero dell’Interno raccontano più di tante parole lo stato del Paese: a quasi un anno di distanza da quella immane distruzione restano troppi punti da chiarire rispetto a quanto accaduto. Con la crisi economica galoppante e l’impasse politica, il primo anniversario della tragedia il prossimo 4 agosto sarà incandescente.

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