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30/07/2021

Italia - Il Pil vola, i salari restano da fame

Oggi giornata ricca di dati macroeconomici europei. I vari istituti di statistica hanno pubblicato in particolare il dato del pil del secondo trimestre.

Il pil francese congiunturale (sul mese precedente) è +0,9% (era previsto +0.8%): la Germania fa +1,5% (ma era previsto il 2%), mentre l’Italia balza a +2,7% (era previsto solo l’1,3).

Crescita anno su anno del secondo trimestre italiano è ora previsto +15,9%, mentre il dato reale è +17,3%. E i servizi ad aprile erano ancora chiusi...

L’industria italiana insomma ha spinto anche in piena pandemia; i lavoratori sono stati spremuti fino all'osso, le imprese hanno fatto il pieno di profitti ma pretendono di poter licenziare a ogni stormir di foglia (anche il “green pass” viene usato per questo dagli stessi sfruttatori che a marzo 2020 minacciavano di licenziamento, se non si andava a lavorare in pieno lockdown).

Secondo l’Istat il dato acquisito nel 2021 – cioè anche se la crescita fosse nulla nel terzo e quarto trimestre – è pari a +4,8%. I più si aspettavano un dato congiunturale di 1,5, solo il Centro Studi di Confindustria nei giorni scorsi stimava il 2%. Ma il dato reale – +2,7% – è inaspettato, a tal punto che il sito del solitamente piagnone Sole24Ore titola “Vola il pil”.

Si saprà nelle prossime settimane quali settori, e in che misura, hanno contribuito. Di certo ora si conosce una stazionarietà dell’agricoltura e una forte crescita di industria e servizi.

È uscito anche il dato della disoccupazione a giugno. Era prevista al 10,4%, dato reale 9,7%. Da febbraio sono stati creati 400 mila posti di lavoro, ma quasi tutti a tempo determinato, a dimostrazione che la strategia degli imprenditori è sostituire lavoratori contrattualizzati con altri più deboli e ricattabili.

Mancano comunque, rispetto ai livelli pre-covid, 470mila posti, Non si può comunque negare che sia in corso una ripresa occupazionale, specie negli ultimi mesi.

Lo stesso Inps ha dichiarato nelle scorse settimane che le perdite contributive (vale a dire le trattenute pensionistiche in busta paga) sono state tutte recuperate.

Un altro dato importante: l’inflazione passa da 1,3% a 1,8%, ma non sappiamo ancora se ciò è dovuto a vivacità di domanda o a maggiori costi scaricati sui consumi (l’aumento dei prezzi petroliferi, trascinato dalla ripresa).

Di certo il differenziale inflazionistico, che porta ad erodere quote di mercato mondiale, è pari al 2%. Anche rispetto alla Germania, dove l’inflazione registrata è pari al 3,8% e storicamente era sempre stata più bassa che in Italia.

Di tutti questi dati chi non può gioire sono perciò proprio i lavoratori: ieri l’Istat ha pubblicato il dato delle retribuzioni, cresciute in un anno appena dello 0,6%, con punte 1,2 nell’industria, ma l’andamento triennale dei salari è in ogni caso inferiore all’inflazione. La crescita salariale è nulla per molti settori, nonostante siano stati siglati nuovi contratti (senza aumenti, evidentemente).

La deflazione salariale attanaglia i veri artefici di questa crescita. Una coscienza di classe, diffusa, potrebbe portare a dire basta!

C’è da sperarlo in autunno. Meglio tardi che mai.

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