Francesco Merlo, su Repubblica, dà sfogo a tutta la sua boria di leccaculista di regime inventando la categoria del “cretino antitifoso”.
Ora, siccome il regime non c’è, Merlo ha semplicemente fatto la figura del piccione viaggiatore, che nella zampetta reca un messaggio patetico: chi critica l’uso politico della Nazionale non vuole ammettere che la Coppa Uefa è filo-governativa.
C’è della tristezza in questa visione: ammette, senza neanche rendersene conto, che il calcio, da tempo, non è più uno sport, ma religione che idolatra il dio marketing.
In cui una nota bevanda analcolica americana e una famosa birra olandese si compiacciono di convivere senza farsi problemi. Allo stesso modo in cui tifo e consenso politico possono stare insieme, senza farsi troppi scrupoli.
Perché a quelli come Merlo le due cose sono utili e necessarie, servono a compiacere sia la proprietà del giornale che i suoi interlocutori politici: non importa che essere tifoso è la negazione di essere sportivo; e che la ricerca del consenso non è esattamente una pratica democratica.
Se si sostiene che vincere una coppa di calcio salva la reputazione di un governo forse qualche problema c’è. E sta tutto nella politica, nel governo, nel giornalismo e anche nel calcio italiani.
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