I prezzi delle materie prime energetiche sono ai massimi, ma non sembra ci siano molte possibilità di invertire la curva. Colpa della guerra, in parte, visto che le sanzioni decise dall’Occidente neoliberista contro la Russia vanno a colpire anche le esportazioni di petrolio (ma non di gas, per ora).
Le quantità esportate da Mosca verso l’Europa, soprattutto, sono di dimensioni ragguardevoli e di non facile sostituzione.
E qui entrano in gioco sia la dinamica del mercato petrolifero, sia le caratteristiche fisiche di questa produzione.
Si sa da qualche decennio che stiamo arrivando – o siamo già arrivati – al picco della possibile estrazione del greggio. Per il buon motivo che le riserve esistenti sono quasi tutte già ampiamente sfruttate, ma soprattutto per il fatto che si tratta di una risorsa non riproducibile.
E infatti da parecchi anni si è cominciato a cercare più seriamente di mettere in produzione le fonti energetiche riproducibili (solare, eolico, ecc.), sia pure con le assurde logiche del profitto privato, che rallentano ogni decisione razionale se non torna immediatamente utile agli incassi.
In ogni caso “i mercati” hanno iniziato a scontare la necessità di una transizione da certe fonti energetiche ad altre e dunque i finanziamenti arrivano più facilmente nei comparti “promettenti” piuttosto che su quelli “obsolescenti”; anche perché la fiscalità dei vari paesi ha fin qui teso a premiare le fonti rinnovabili.
Questa dinamica tipica del capitale sta producendo una situazione “mai vista prima”, come confessa il ministro del petrolio saudita Abdelaziz Bin Salman, storico membro dell’Opec: scarseggiano gli investimenti per aprire nuovi pozzi, mentre quelli in produzione si vanno esaurendo.
C’è anche qui una ragione fisica, oltre che finanziaria: i giacimenti non ancora sfruttati sono quelli più difficili da raggiungere (in fondo al mare o a grandi profondità), e dunque quelli che richiedono investimenti maggiori. Il cui “ritorno” non è né breve, né sicuro (un eventuale accelerazione nel passaggio alle rinnovabili lascerebbe “scoperti” gli investitori).
Ecco perciò l’allarme lanciato dagli stessi dirigenti dell’Opec circa l’impossibilità di aumentare in modo significativo l’estrazione per soddisfare la domanda che dovrebbe aumentare, se la guerra finirà presto e se la pandemia non tornerà a mordere con forza. Molti “se”, certamente, ma nessun può scommettere sulla fine del mondo...
Che però sembra ripresentarsi proprio nelle parole dei ministri del petrolio, quando avvertono che “la capacità energetica mondiale va diminuendo”.
Qui di seguito l’articolo pubblicato nei giorni scorsi da Bloomberg, che dà conto dettagliatamente della situazione in cui il mondo si sta venendo a trovare.
Le quantità esportate da Mosca verso l’Europa, soprattutto, sono di dimensioni ragguardevoli e di non facile sostituzione.
E qui entrano in gioco sia la dinamica del mercato petrolifero, sia le caratteristiche fisiche di questa produzione.
Si sa da qualche decennio che stiamo arrivando – o siamo già arrivati – al picco della possibile estrazione del greggio. Per il buon motivo che le riserve esistenti sono quasi tutte già ampiamente sfruttate, ma soprattutto per il fatto che si tratta di una risorsa non riproducibile.
E infatti da parecchi anni si è cominciato a cercare più seriamente di mettere in produzione le fonti energetiche riproducibili (solare, eolico, ecc.), sia pure con le assurde logiche del profitto privato, che rallentano ogni decisione razionale se non torna immediatamente utile agli incassi.
In ogni caso “i mercati” hanno iniziato a scontare la necessità di una transizione da certe fonti energetiche ad altre e dunque i finanziamenti arrivano più facilmente nei comparti “promettenti” piuttosto che su quelli “obsolescenti”; anche perché la fiscalità dei vari paesi ha fin qui teso a premiare le fonti rinnovabili.
Questa dinamica tipica del capitale sta producendo una situazione “mai vista prima”, come confessa il ministro del petrolio saudita Abdelaziz Bin Salman, storico membro dell’Opec: scarseggiano gli investimenti per aprire nuovi pozzi, mentre quelli in produzione si vanno esaurendo.
C’è anche qui una ragione fisica, oltre che finanziaria: i giacimenti non ancora sfruttati sono quelli più difficili da raggiungere (in fondo al mare o a grandi profondità), e dunque quelli che richiedono investimenti maggiori. Il cui “ritorno” non è né breve, né sicuro (un eventuale accelerazione nel passaggio alle rinnovabili lascerebbe “scoperti” gli investitori).
Ecco perciò l’allarme lanciato dagli stessi dirigenti dell’Opec circa l’impossibilità di aumentare in modo significativo l’estrazione per soddisfare la domanda che dovrebbe aumentare, se la guerra finirà presto e se la pandemia non tornerà a mordere con forza. Molti “se”, certamente, ma nessun può scommettere sulla fine del mondo...
Che però sembra ripresentarsi proprio nelle parole dei ministri del petrolio, quando avvertono che “la capacità energetica mondiale va diminuendo”.
Qui di seguito l’articolo pubblicato nei giorni scorsi da Bloomberg, che dà conto dettagliatamente della situazione in cui il mondo si sta venendo a trovare.
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I re dell’OPEC: la capacità energetica mondiale va diminuendo
I re dell’OPEC: la capacità energetica mondiale va diminuendo
I ministri del petrolio dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti hanno avvertito che la capacità inutilizzata sta diminuendo in tutti i settori energetici, mentre i produttori tagliano gli investimenti, facendo sì che tutto, dal greggio al gas naturale, venga scambiato a livelli record o quasi.
“Sono ormai un dinosauro del mercato, ma non ho mai visto queste cose“, ha dichiarato martedì, in occasione di una conferenza ad Abu Dhabi, il ministro saudita principe Abdulaziz bin Salman, che partecipa alle riunioni dell’OPEC dagli anni ’80, riferendosi all’impennata dei prezzi dei prodotti raffinati. “Il mondo deve svegliarsi di fronte alla realtà. Il mondo sta esaurendo la capacità energetica a tutti i livelli“.
I commenti sono arrivati mentre i prezzi alla pompa della benzina negli Stati Uniti sono saliti a un livello record. I prezzi del gasolio sono saliti a marzo.
L’omologo del principe degli Emirati Arabi Uniti, Suhail al Mazrouei, ha affermato che senza maggiori investimenti in tutto il mondo, l’OPEC+ non sarà in grado di garantire forniture sufficienti di petrolio quando la domanda si riprenderà completamente dalla pandemia di coronavirus.
“Abbiamo messo in guardia sulla mancanza di investimenti“, ha dichiarato in un’intervista, sempre ad Abu Dhabi. “Questa mancanza di investimenti sta coinvolgendo molti Paesi“.
L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono tra i pochi produttori che investono in una maggiore produzione. Stanno spendendo miliardi di dollari per aumentare la loro capacità di greggio di 2 milioni di barili al giorno entro la fine di questo decennio.
La maggior parte degli altri produttori sta lottando per ottenere finanziamenti, mentre gli azionisti e i governi incoraggiano il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.
Tuttavia, secondo Mazrouei, per il momento il mercato petrolifero è in equilibrio e non è necessario che l’OPEC+ acceleri il suo graduale aumento di produzione.
Molti governi dei Paesi importatori non sono d’accordo. L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio e i suoi partner – un gruppo di 23 nazioni guidato dai sauditi e dalla Russia – ha subito le pressioni di Stati Uniti, Europa e Giappone per aumentare l’offerta più rapidamente.
Il greggio è balzato di oltre il 35% quest’anno, a circa 105 dollari al barile, soprattutto a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia a fine febbraio. L’Unione Europea si sta avvicinando a un divieto formale sulle importazioni di energia dalla Russia nel tentativo di punire Mosca per la guerra.
L’OPEC+ ha approvato un aumento di 432.000 barili al giorno per giugno durante l’ultima riunione del 5 maggio. Sta però lottando per raggiungere anche questo modesto obiettivo mensile, con molti membri che pompano al di sotto delle loro quote.
Il principe Abdulaziz ha ribadito che l’OPEC+ non permetterà alla geopolitica di influenzare le sue decisioni. Gli Stati Uniti hanno cercato di convincere l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a prendere le distanze dalla Russia dopo l’attacco all’Ucraina.
Mazrouei ha affermato che i prezzi sono stati spinti al rialzo dalla “politicizzazione” del mercato petrolifero. Ha inoltre affermato che l’OPEC+ è unito e che nessun membro romperà i ranghi aumentando la produzione da solo.
“Siamo uniti“, ha detto. “Fidatevi di me. Nessuno può aumentare unilateralmente la produzione a meno che non intenda rompere l’alleanza“.
Il ministro degli Emirati Arabi Uniti ha affermato che è errato individuare solo il petrolio greggio, perché anche le tasse elevate nei Paesi consumatori sono responsabili dell’impennata dei prezzi dei carburanti.
“Noi riceviamo una frazione di quello che le compagnie e i governi guadagnano con queste tasse extra“, ha detto.
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