Tutto indica che la guerra in corso in Ucraina non finirà presto. Sono troppe le spinte e le scelte che muovono nella direzione di una prosecuzione del conflitto. Non solo.
La veloce scansione di fatti compiuti spinge più all’escalation che al congelamento e guarda ad una ridefinizione dei rapporti di forza sul campo – e nel mondo – destinata a durare nel tempo ed accentuare lo scontro globale.
Il primo fatto compiuto è stato indubbiamente l’invasione russa dell’Ucraina o comunque di una sua parte.
Il secondo è stata la ingente militarizzazione dell’Ucraina attraverso miliardari rifornimenti di armi da parte di Usa, Ue e Nato nel suo complesso.
Il terzo è l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, che mette fine ad un importante status di neutralità dei due paesi sviluppatosi nella Guerra Fredda, sancito da Trattati che oggi vengono gettati alle ortiche con una superficialità e un avventurismo che lascia sgomenti.
Portare Svezia e Finlandia nella Nato significa esattamente spostare i confini della Nato a ridosso della Russia, ovvero lo scenario che Mosca voleva evitare con l’Ucraina (e con la Georgia) e per contrastare il quale ha dato il via all’invasione il 24 febbraio. In pratica significa legittimare il senso della guerra in corso e renderla in qualche modo endemica.
Non sappiamo se, come e quando il conflitto in corso avrà termine, ma indubbiamente questo pezzo di mondo – l’Europa – non sarà più lo stesso e non lo sarà neanche il resto del mondo, colpito dalle onde lunghe di uno scontro apparentemente regionale ma con effetti globali ben visibili.
La guerra proseguirà, dunque, e i suoi effetti malevoli già si stanno ripercuotendo all’interno dei paesi europei in modo più o meno pesante. Lo sono in termini economico/sociali, ma anche ideologici e politici. La ferocia del dibattito pubblico sulla partecipazione italiana alla guerra è emblematica di come la guerra tracci solchi profondi anche sul “fronte interno”.
Non siamo esperti militari, ma leggendo tra le righe i bollettini militari di Russia e Ucraina, quelli delle varie intelligence, quelli di fonti militari indipendenti, il quadro che emerge è meno nitido di quanto vorrebbe farci apparire la propaganda di guerra. Su questo c’è una interessante disamina sul sito specializzato Analisi Difesa.
Ci ammorbano con “l’eroica resistenza” a Mariupol dei nazisti del battaglione Azov – e con gli appelli delle loro mogli a braccio teso – quando la domanda legittima sarebbe “perché non si arrendono?”, visto che sono tagliati fuori da due mesi e le forze armate ucraine non sono in grado – e lo dicono apertamente – di rompere l’assedio con la forza.
Più che “eroismo” sarebbe utile sapere e capire chi c’è insieme ai miliziani dell’Azov e cosa ci sia nei sotterranei dell’acciaieria assediata e semidistrutta. Un interrogativo reso più pregnante dalla richiesta di essere consegnati “in un paese terzo”, quindi né Ucraina né Russia.
Ma che sembra motivare anche la “strana” pazienza russa nel condurre un assedio che – una volta evacuati tutti i civili – tutti davano per risolvibile rapidamente.
Da giorni sentiamo parlare della “controffensiva ucraina” a Kharkhiv ma poi i bollettini dell’intelligence britannica ammettono che i russi “stanno intensificando le offensive su Izyum, nella regione orientale ucraina di Kharkiv, e a Severodonetsk, nella regione orientale di Lugansk, nel tentativo di spingersi verso Sloviansk e Kramatorsk, entrambe nella regione di Donetsk”.
Insomma una logorante guerra di posizione che somiglia più alla Prima Guerra Mondiale che alla Terza. Senza alcuna fretta di “sfondare” le linee nemiche, ma con l’intenzione principale di consolidare le posizioni raggiunte.
In qualche modo la guerra sta poi arrivando anche nelle zone di confine della Russia, con gli attacchi dei droni ucraini (guidati dalle informazioni delle intelligence Nato) e incendi o sabotaggi in alcune cittadine russe.
Infine continuano ad arrivare notizie di sabotaggi e attentati nella Transnistria, con il rischio che il conflitto si estenda anche a Moldavia e Romania.
Insomma siamo in presenza di una guerra che sul campo può trascinarsi per mesi e sul piano negoziale per anni, senza soluzioni in vista.
Appare risibile il chiacchiericcio politico sull’esito della visita di Draghi negli Stati Uniti. Secondo alcuni si sarebbe aperto uno spiraglio per un negoziato con protagonista la UE, ma mentre tanti si arrovellano sul senso delle parole del Primo Ministro italiano, il Congresso Usa ha approvato dei finanziamenti per la guerra in Ucraina pari ai 2/3 dell’intera spesa militare della Russia.
Sarebbe meglio se a Bruxelles si ponessero la domanda sull’opportunità che la UE integri al proprio interno un paese come l’Ucraina, infetto e infettato dai demoni del nazionalismo (e della sua estensione estrema che è il fascismo) e per di più super armato, militarizzato; comunque più fedele a Londra e Washington che ammaliato dalla UE.
L’impressione che se ne ricava è che questa guerra a qualcuno serve e per altri è letale. Gli Usa se ne avvantaggiano da ogni punto di vista, l’Unione Europea ci si sta impiccando con le proprie mani e le popolazioni ucraine e russe ne pagano le conseguenze peggiori.
Il buonsenso vorrebbe che tutti gli sforzi andassero nella direzione di far cessare la guerra prima possibile, anche con “dolorose concessioni” (alla Serbia è stata fatta ingoiare a suon di bombardamenti Nato la perdita del Kosovo e la modifica dei propri confini, ndr).
Ma per perseguire con efficacia la fine della guerra e il raggiungimento di un nuovo statu quo in Europa, occorrerebbe tagliare le unghie a chi ha interesse a impedirlo: gli Stati Uniti e la Nato.
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