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14/05/2022

“Operazione militare” russa: quanto sarà profonda la denazificazione?

Sulle ragioni per cui l’intervento russo in Ucraina, che, all’inizio, sembrava dover essere un’operazione relativamente veloce e senza grossi intoppi, mostri oggi diversi segnali di un conflitto “di lunga durata”, già da tempo è stato scritto e si sono addotte molte spiegazioni.

Le due più chiare e intuitive sono costituite, per un verso, dalle ingenti forniture d’armi che la junta nazi-golpista continua a ricevere, il sostegno tecnologico e radio-elettronico assicurato praticamente da tutti i paesi NATO (o vassalli yankee nel mondo), chi in modo, chi in un altro e, per un altro verso, la cautela con cui sinora le forze russe hanno evitato attacchi distruttivi e definitivi contro i reparti militari ucraini, ma soprattutto contro le formazioni neonaziste, per non coinvolgere i civili da quelle tenuti in ostaggio.

Oltre a queste ragioni, in una sintetica disamina della questione, l’ex diplomatico ed ex deputato russo Sergej Markov si concentra sui rapporti di forza tra le parti in conflitto. Nel 2014, ricorda Markov su Komsomol’skaja Pravda, l’87% delle forze ucraine dislocate in Crimea, era passato armi e bagagli dalla parte russa e il restante 13% era rimasto pressoché neutrale.

Nel 2022, nessun reparto ucraino è passato ai russi o ha rifiutato di combattere. Inoltre, le forze ucraine si battono con tale accanimento, che i comandi russi sono stati costretti a cambiare strategia.

Dove sta il nocciolo della questione? L’esercito ucraino, scrive Markov, costituisce una «forte e sorprendente combinazione del soldato più forte al mondo, cioè quello russo, del fanatico ufficiale nazista, il tutto manovrato da generali americani, con l’impiego di tattiche terroristiche».

Il “soldato russo” tipo è quello pronto a tutto, fino a rischiare la vita, pur di eseguire gli ordini del superiore. Ma il nucleo di un esercito è costituito dagli ufficiali e questi, in Ucraina, negli ultimi otto anni, hanno subito una profonda nazificazione, pilotata dall’esterno.

In questi anni, molti “volontari” delle formazioni neonaziste sono stati inseriti nelle scuole ufficiali e si è loro consentito di far carriera nell’esercito. Gli odierni ufficiali ucraini sono oltremodo «ideologizzati, motivati, disposti a morire e pronti a uccidere», rispondendo agli ordini di generali addestrati dagli americani, con passaporto USA o britannico.

Oltre a questo, le forze ucraine, da un lato, negli ultimi otto anni si sono fatte una significativa esperienza, aggredendo il Donbass; dall’altro, sentono di avere alle spalle gli stati “più potenti e più progressivi” al mondo, nella loro “resistenza” a «untermenschen, orchi e contadini», ragion per cui ogni crimine commesso contro i russi è “giustificato” a priori.

Al contrario dell’esercito russo, che considera l’intervento come una “operazione di liberazione” e si astiene quindi dal ricorrere ai bombardamenti massicci contro la tattica terroristica dei neonazisti, che tengono i civili in ostaggio.

Tuttavia, conclude Markov, l’esercito ucraino ha anche una grossa carenza: non è l’esercito del popolo ucraino, essendo di fatto un esercito «di occupazione con un centro di comando estero» e, a lungo andare, il popolo ucraino sarà in grado di esprimere la propria volontà.

A questo proposito, ci permettiamo di aggiungere che un collega riservista di un nostro stretto conoscente, rientrato in Russia dopo due mesi di missione a contratto al fronte, racconta di due momenti a suo dire significativi: da un lato, i richiamati ucraini che, appena possibile (senza rischiare di esser passati per le armi dai nazisti) si arrendono ai reparti russi; dall’altro, l’atteggiamento della popolazione che, al di là delle regioni più orientali, abitate da persone in larghissima maggioranza russofone, a suo dire non mostra particolare simpatia per i russi.

Con ogni evidenza, otto anni di martellamento mentale nazista, hanno agito non solo sul corpo ufficiali ucraino.

In relazione a questo, sembra significativa una vecchia intervista di Aleksandr Zinov’ev, tornata in circolazione nei giorni dell’anniversario della vittoria sovietica sul nazismo. In essa, l’originale “dissidente” sovietico, costretto a emigrare in Germania dal 1978 al 1999 e scomparso a Mosca nel 2006, ricordava, in sostanza, come la Grande guerra patriottica fosse stata vinta dall’ordinamento sociale sovietico.

Alla domanda su quale menzogna a proposito della guerra lo indignasse di più, Zinov’ev dava una risposta che potrebbe essere valida anche oggi. Diceva di sentirsi indignato dal fatto di tacere «l’essenza sociale della guerra e il fattore principale della nostra vittoria. Parlano di patriottismo. Sì, c’erano molti patrioti. Ma il fattore principale della vittoria fu l’organizzazione sociale sovietica emersa dalla rivoluzione del 1917. Sono sempre stato critico, non apologeta del comunismo, ma, sia come studioso che come persona, mi sono risentito del fatto che le cose ovvie vengano ignorate».

Inutile dire che oggi, in Russia, buona parte della pubblicistica ufficiale batta e ribatta sulla “vittoria conquistata nonostante Stalin e il regime sovietico”.

Ma, proprio l’ordinamento sovietico aveva fatto sì che l’URSS arrivasse alla guerra con decine di milioni di persone ben istruite da una sistema scolastico che non aveva uguali al mondo e che forniva non solo ottima istruzione, ma soprattutto ottima formazione. E, accanto alla scuola, era stata creata un’intera schiera di accademie militari.

Se una delle cause della sconfitta della Germania fascista, diceva il veterano di guerra Zinov’ev, era stata, a un certo momento, la carenza di ufficiali tra le fila tedesche; il nostro esercito, invece, nonostante le enormi perdite, non subì mai insufficienza di personale di comando.

Ma, in definitiva, il fattore decisivo della vittoria sovietica fu l’ordinamento sociale: tutti gli altri fattori agirono solo grazie a quel fattore principale.

Si dice spesso che «il popolo vinse la guerra. Ma quale popolo? Non un popolo astratto, ma il popolo sovietico. È vero che tra i fattori che hanno contribuito alla vittoria c’era il patriottismo. Ma la sua importanza non può essere esagerata».

Allo stesso modo, diceva Zinov’ev, è «assurda l’opinione secondo cui i sovietici si battessero per la Patria e non per l’ordinamento sociale. Allo scoppio della guerra, per la maggior parte dei sovietici, l’ordinamento comunista era diventato un modello di vita e non solo un regime politico, ed era impossibile separarlo dalla massa della popolazione. Russia e comunismo non esistevano l’una accanto all’altro, ma insieme».

Oggi, in Russia, il 9 Maggio è detto Giornata della vittoria e allo stesso tempo Giornata della memoria e del dolore; si dice anche che “i sovietici rubarono la vittoria ai russi”, tacendo sul fatto che molti degli ex emigrati bianchi sconfitti nella guerra civile combatterono poi nelle file dei nazisti.

In risposta, qualcuno ha scritto: «Monarchico: se per te il 9 Maggio è la giornata del dolore, significa che mio nonno aveva sconfitto tuo nonno».

Ecco, tornando alle operazioni militari in Ucraina e alle parole del riservista russo, azzardiamo che se le forze russe che sventolano le bandiere della Vittoria nella Grande guerra patriottica, fossero viste dalla popolazione ucraina, oltre che quali artefici della doverosa denazificazione del paese – fondamentale non solo per gli ucraini – ma anche come portatrici di un diverso ordine sociale, l’accoglienza loro riservata sarebbe molto probabilmente ben più calorosa.

Ora, Mosca giungerà con ogni probabilità alla vittoria, anche se il conflitto ha tutta l’aria di durare a lungo. Ma, per assicurare davvero la disfatta del nazismo in Ucraina, ancora una volta, il fattore decisivo in grado sia di sconfiggere ogni sostegno occidentale ai nazi-golpisti di Kiev, sia di farla finita per un bel pezzo con il fascismo e le sue radici economico-sociali, dovrebbe essere, per dirla con le parole di Aleksandr Zinov’ev, la prospettiva di un diverso ordinamento sociale da offrire alle masse ucraine.

Una prospettiva che però, al momento, al di là della vittoria militare sul campo, la Russia eltsiniano-putiniana non sembra in grado di proporre, né agli ucraini e nemmeno alle classi lavoratrici russe.

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