Non ci sono innocenti. Tranne quei disperati sui barconi in mezzo al mare.
Al porto di Catania va in scena il solito dramma-messinscena provocato da un governo fascista nella maniera di ragionare. Che poi si riduce al semplice “sfruttiamo questa occasione, che porta voti”. Stesso ragionamento anche nella sedicente “opposizione”, con qualche parlamentare in cerca di telecamere sul molo.
Nel fare il solito gioco, però, ai fascioleghisti scappa di bocca quella definizione – “carico residuo” – che riporta in auge i vagoni blindati diretti nei lager, con i deportati conteggiati e classificati come “pezzi”. Non esseri umani...
Anche nella “selezione” – scendono donne bambini e “fragili” (cioè manifestamente bisognosi di ricovero ospedaliero), restano a bordo i maschi maggiorenni apparentemente in salute – aleggia l’eco dei mercati degli schiavi.
Così evidente da rendere facile la contestazione anche da parte di chi – come i “democratici” del PD e dei Cinque Stelle – si è comportato in modo simile al governo attuale, quando stava a Palazzo Chigi.
Ad accomunare le due destre ci sono in questo caso gli accordi fatti con il “governo di Tripoli” – il pezzo di Libia controllato teoricamente dai filo euro-atlantici. Ossia l’”esternalizzazione del contenimento” dei flussi migratori, in modo da limitare gli arrivi via mare in Italia e di lì in Europa.
Accordi che prevedono autentici campi di concentramento (più volte documentati in decine di inchieste giornalistiche e non), armi e soldi per la cosiddetta “guardia costiera libica” che poi altro non è che la mafia degli scafisti, capeggiata da un ricercato internazionale che viene spesso ospitato nella basi militari italiane, quando c’è da aggiornare quegli accordi.
Accordi firmati per la prima volta da Marco Minniti (ministro dell’interno in quota PD, ex sottosegretario con delega ai “servizi” e poi assunto da Leonardo, holding fabbricante di armi controllata dallo Stato ma quotata in borsa) e “aggiornati” poi da Salvini, quando è stato al Viminale e mai corretti dal governo dei “migliori”.
Stanti quegli accordi, i migranti che vengono lasciati partire dalla Libia su barconi fatiscenti pagano un biglietto salatissimo, spesso vengono fatti tornare indietro dai loro stessi aguzzini (per fare vedere che rispettano gli accordi e magari spuntare un secondo biglietto per un altro viaggio), spesso naufragano in mare, qualche volta vengono salvati dalle navi di passaggio (militari italiane, commerciali, delle Ong umanitarie).
Di fatto, la percentuale di naufraghi raccolta dalle navi Ong è una frazione minoritaria. Da quando c’è il “celodurista” governo Meloni ne sono stati raccolti in mare circa 9.000. Di questi poco più di 800 dalle Ong.
Silenzio, ovviamente, su quelli raccolti istituzionalmente. Strepiti sguaiati, invece, su quei pochi ripescati “privatamente”. Si sentono bestialità tipo “stiamo difendendo le frontiere”, come se qualche centinaio di mancati affogati costituissero un “esercito” militarmente attrezzato per violare i “sacri confini della patria”.
Ma quando dei pagliacci tirano fuori stronzate del genere significa che altre partite si stanno giocando su questa storia.
Anche le Ong non sono tutte uguali. Non è importante tanto la “bandiera” sotto cui navigano – corrispondente al porto di registrazione della nave – quanto chi sono i finanziatori (come ricorda giustamente uno che li vede operare “in situazione”, in pieno Sahel).
Su questa difficoltà oggettiva a distinguere tra “benintenzionati” e “imprenditori del dolore” speculano ovviamente i fascioleghisti al governo per fare di tutta l’erba un qualcosa che possono maneggiare in modo strumentale.
Poi ci sono i media, che rispondono alle esigenze e alle preferenze politiche dei loro “editori di riferimento” e quindi veicolano le narrazioni, e le pseudo-spigazioni, meglio corrispondenti a quegli interessi.
Non ci sono innocenti, in queste contorsioni politiche. Solo i disperati in mezzo al mare, lo sono.
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