Per una volta verrebbe quasi da mostrare compassione per i gazzettieri costretti a seguire le contorsioni del governo alle prese con la manovra (o legge di stabilità, la principale legge che ogni anno determina come vengono spesi i soldi dello Stato, chi ne beneficia e chi dovrà, invece, pagare il conto). Da perderci la testa...
Solo al settimo giorno di lavoro, e in piena notte, la Commissione bilancio della Camera ha concluso l’esame degli emendamenti e ha dato il mandato ai relatori, Paolo Trancassini, Roberto Pella e Silvana Comaroli: il testo approderà in Aula alla Camera domani, con il voto di fiducia atteso venerdì.
Immaginiamo con quale attenzione verrà letto in questo breve lasso di tempo, e quanto spazio ci sarà per la discussione parlamentare ed eventuali emendamenti: zero.
Visto che bisogna chiudere tutto entro il 31 dicembre per evitare l’“esercizio provvisorio”, e che il testo deve anche passare al presunto esame del Senato, ci penserà il voto di fiducia a blindare la manovra così com’è, con buona pace della famosa “dialettica democratica”.
Non è un novità. Accade tutti gli anni la stessa cosa (nella “prima repubblica”, nonostante vi fosse in pratica un governo monocolore democristiano con qualche “cespuglio” di contorno, si è andati spesso all’esercizio provvisorio), come effetto dell’“assalto alla diligenza” messo in atto da gruppi parlamentari che provano ad infilare codicilli particolarissimi per dare soddisfazione ai gruppi di pressione più vari.
Ma con il governo a guida post-fascista la solita piega ha preso un verso palesemente ridicolo.
Fare l’elenco delle norme soppresse e quelle approvate è uno sport estremo, come scendere per le rapide di un canyon.
Per esempio c’è la proroga al 31 dicembre del bonus ristrutturazioni del 110% (imprese edilizie e banche avevano già chiuso troppi contratti per poter tornare indietro, e guai ad inimicarsi certa gente...), mentre è stata soppressa la norma sul tetto di 60 euro per il pagamento con Pos.
Se teniamo conto di quanto la misura fosse stata enfatizzata e difesa, con orde di samurai da talk show schierati a spiegarne le magnifiche virtù per far crescere il Pil e i profitti e l’occupazione, ci sarebbe da chiedersi perché mai sia stata soppressa con un tratto di penna.
La spiegazione è semplice: la Commissione Europea ha detto no. E a certi ordini neanche il governo presunto “sovranista” osa disobbedire (la pena in questo caso sarebbe certa: uno spread da paura e quindi interessi sul debito pubblico in cielo...).
Dunque il “tetto” sotto cui un negoziante può rifiutarsi di accettare il pagamento con carta di credito o bancomat scende a 30 euro, altrimenti si beccano una multa. Ma a questo punto bisognava trovare un modo per acquietare i commercianti, presumibilmente inferociti dal veder svanire qualcosa che era stato loro promesso con tanto vigore.
Perciò il governo aprirà “un tavolo” con le banche per rideterminare i costi della transazione elettronica a carico degli esercenti (attualmente sono quelli indicati nella grafica qui di fianco). Ma si sa, i tavoli ministeriali non finiscono mai... O perlomeno il risultato non è certo.
Dunque, nel caso che non si arrivi ad un “livello dei costi equo e trasparente” dovrebbe scattare per i prestatori dei servizi di pagamenti e le banche un “contributo straordinario” destinato a misure per contenere l’incidenza dei costi a carico degli esercenti (immaginiamo la gioia dei banchieri...).
Un “ristoro”, insomma, per trovare una mediazione tra due livelli di capitale molto diversi. Da un lato le micro-medie imprese del commercio, dall’altra il grande capitale bancario.
Ma è su tutto il resto della manovra che si vede il chiarissimo segno di classe di questo governo, nonché il servilismo verso l’Unione Europea, ed anche un tocco di proto-fascismo per connotarsi in qualche modo di fronte al proprio elettorato.
Viene per esempio rimodulata la 18App per i 18enni: arrivano due nuovi bonus, basati sul reddito e sul “merito” (per usare la nuova definizione del ministero di Valditara), la ‘Carta della cultura Giovani’, per i residenti nel territorio nazionale appartenenti a nuclei familiari con Isee fino a 35mila euro, assegnata e utilizzabile nell’anno successivo a quello del compimento di 18 anni, e la ‘Carta del merito’, per chi si è diplomato con 100 centesimi. Valgono 500 euro ciascuna e sono cumulabili.
Un ginepraio di condizioni vincolanti che ne garantisce l’inesigibilità o quasi, e che garantirà perciò “risparmi” su una misura che in qualche modo facilitava le famiglie più povere nel far studiare i figli (ci si potevano comprare anche i libri di testo, per dire).
E non poteva mancare un primo deciso colpo al Reddito di cittadinanza. La prima offerta di lavoro che – rifiutata – fa perdere il diritto al sostegno non dovrà più essere “congrua”; ossia con un’offerta salariale almeno superiore al reddito di cittadinanza stesso o non distante centinaia di chilometri da casa. Un modo sbrigativo di obbligare all’emigrazione o alla fame, insomma.
Col testo definitivo davanti potremo fare un’analisi più precisa, ma il “segno” è già abbastanza chiaro.
Questo governo, come detto, segue pedissequamente i diktat “europei”, proprio come gli altri che lo hanno preceduto. Ma in più deve mettere in atto alcune misure che possano “odorare” almeno un po’ di “differenza” rispetto agli altri.
Il che può provocare problemi e reazioni sociali impreviste. Lo si è visto con il “decreto anti-rave”, immaginato come la classica scorciatoia fascistoide per imbrigliare o vietare la libertà di manifestazione. Come dire: “non possiamo far nulla di diverso sui temi economici fondamentali, sui salari o le pensioni; proviamo a sembrare diversi con norme a costo zero, vietando comportamenti sociali che non ci piacciono”.
Ma così facendo stanno risvegliando e portando in piazza anche chi non ci stava più pensando. Il che è un segnale politicamente piuttosto interessante, in prospettiva...
Questo governo è una congrega di pasticcioni, che si muove a casaccio. E nel fare qualsiasi “manovra” sono pericolosi come un ubriaco alla guida di Tir.
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