Il PNRR non può essere la panacea di tutti i mali, perché è calato dall’alto e quindi non impatta su benessere e disuguaglianze del paese. Si muove su una linea di governance generalizzata che non riesce a tenere conto delle contraddizioni che agiscono sulla diversità dei territori, sia dal punto di vista delle condizioni socio-demografiche, sia delle peculiarità socioeconomiche.
Non si tratta solo dell’atavica differenza tra Nord e Sud del paese, ma anche della forza con cui gruppi di pressione oligarchici e lobbisti possono influenzare l’erogazione dei finanziamenti e dunque le scelte strategiche.
In senso più generale, se le decisioni vengono dall’alto delle istituzioni politiche, senza il coinvolgimento diretto delle istituzioni locali, dell’associazionismo di base il PNRR diventa niente altro che una pompata di capitali a beneficio di imprenditori privati, favoriti dalle istituzioni politiche.
“Solo la partecipazione attiva dei cittadini permette di raccogliere l’ingente quantità di conoscenza dispersa sui territori – anche attraverso un dibattito acceso, ma informato ed equilibrato – metterla a fattor comune per disegnare politiche efficaci e propriamente democratiche”, scrivono Alessandra Faggian e Gloria Cicerone, rispettivamente direttrice e Ricercatrice del Gssi, Scienze sociali del Gran Sasso Science Istitute (gssi.it), in un importante contributo di analisi sul PNRR pubblicato su Avvenire.
La questione è nelle pari opportunità territoriali, che per altro sono già state gravemente messe in discussione, col rischio di negarne legittimità, dal nuovo governo che spinge per la cosiddetta “autonomia differenziata” con tutte le conseguenze sulla diseguaglianza tra Nord e Sud.
La fretta e l’affanno di raggiungere gli obiettivi fissati dal Recovery and Resilience Plan hanno messo in mora la partecipazione attiva dei cittadini, che in definitiva dovrebbero essere i destinatari finali degli investimenti.
La questione si è invece arrotolata su se stessa, diventando una semplice fattore contabile: ci si è concentrati a essere ammessi ai finanziamenti e non su come, per chi, per cosa e dove investirli. Perché i consigli di fabbrica, i comitati di quartiere, le associazioni della società civile sono stati esclusi dal coinvolgimento nelle decisioni?
Questa prassi verticistica, che considera la democrazia di base come una perdita di tempo, è il vero problema del PNRR. “Correggere la rotta è difficile. Le criticità e le fragilità emerse nella fase di progettazione dei piani possono però fare da monito nella fase d’implementazione, la quale necessita di un monitoraggio costante e continuo delle implicazioni delle misure a livello territoriale e sociale”, sottolinea Faggian “un auspicato processo di miglioramento dell’assetto di governance multilivello, al fine di consentire, nella fase di attuazione, un’adeguata e reale divisione dei compiti tra autorità comunitarie, nazionali, e locali, che possa curvare davvero le politiche ordinarie alle esigenze dei territori.”
Sperare che le somme del PNRR ci salveranno dai morsi del crisi è un’illusione ottica. Una cosa è certa. Disinteressarsi della questione di come verranno utilizzati e per cosa gli investimenti pubblici finanziati dal PNRR può diventare un errore politico.
Al contrario, rivendicare un ruolo nelle decisioni che coinvolgono le comunità e influenzano la coesione sociale, coinvolgendo le forze che organizzano i lavoratori, gli studenti, le donne, gli ambientalisti, le famiglie a basso reddito è un terreno sul quale sarebbe utile misurarsi, per creare la consapevolezza che forme di controllo e contropotere sono giuste e possibili.
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