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27/12/2022

L’evasione dal Beccaria e quella dalla civiltà

La misura di un paese senza cervello viene restituita plasticamente da titoli dei media e, peggio ancora, dalle dichiarazioni di una classe politica incompetente in tutto e quindi ogni minuto alla ricerca della “visibilità” facile, sparando stupidaggini senza neanche pensarci sopra un attimo.

Sette ragazzi “evadono” dal carcere minorile Beccaria di Milano – tre rientrano il giorno dopo – è parte il cancan manco fosse tornato in libertà Totò Riina (tranquilli, decerebrati, è morto da qualche anno in 41bis).

I ragazzi rimasti dentro protestano alla maniera tendenzialmente suicida dei detenuti disperati, dando fuoco a materassi e suppellettili, a rischio di rimanere soffocati dentro le celle, e i servi in redazione titolano su un’inesistente “rivolta”.

Una breve rivisitazione degli stessi giornali negli anni ‘60-’70-’80 – nulla che possa far morire di fatica un giornalista che pretenda di essere all’altezza della qualifica – permetterebbe di restituire un senso alle parole. “Rivolta”, in quel caso, significava qualcosa di molto preciso e “pesante”, con guardie prese in ostaggio, lunghe trattative, elicotteri in volo, “teste di cuoio” o altri materiali pronti ad intervenire.

Anche i “curriculum” degli evasi avevano ben altro spessore. Allora si trattava di rapinatori di banche, autori di sequestri di persona, guerriglieri urbani, ecc. Qui di ragazzi minorenni dentro per furtarelli, microspaccio di sostanze stupefacenti, o altre “infrazioni” tipiche delle disastrate periferie metropolitane contemporanee. Fastidiose per chi le subisce, certo, ma non un “pericolo sociale”...

Niente che possa turbare i sonni del “borghese piccolo piccolo” che vive solo negli scarsi neuroni del redattore capo di una testata mainstream.

Anche la dinamica dell’evasione dice quanto poco “istinto criminale” servisse per mettere in atto la fuga. Lavori in corso da anni, materiali accatastati nei pressi del muro di cinta (senza camminamenti e guardie armate sopra), un solo agente di custodia in giro, le feste di Natale fuori e la vita di merda di giovani corpi prigionieri.

Un attimo e te ne vai, senza far male a nessuno, se non alla tua stessa fedina penale che da oggi in poi riporterà anche questa “grave colpa”: desiderare la libertà e rischiare qualcosa per raggiungerla, almeno per qualche ora.

Poco più di un gioco da ragazzi – quasi una “uscita non autorizzata”, più che un'”evasione” – in un mondo in guerra dove si muore davvero, le bollette ti levano quasi tutto il salario o la pensione, il governo ti prende per i fondelli dicendo di star facendo qualcosa per te mentre ti leva anche gli ultimi stracci di welfare (reddito di cittadinanza, sanità pubblica, scuola, ecc.).

Ma proprio in questo mondo da incubo la storia di questi sette ragazzi diventa l’occasione insperata per l’ennesima “distrazione di massa”. Non c’è da preoccuparsi o arrabbiarsi per quel che di grave accade, ma solo da chiudersi in casa e sperare che quei “sette pericolosi criminali” (già scesi a solo quattro) vengano ripresi. Come se la privazione di libertà per loro potesse restituitene un poco di quella che non hai.

A nulla valgono le parole sensate dei preti che frequentano quel carcere – l’unica forma di “assistenza sociale” residua, visti i tagli di spesa per educatori e piani di reinserimento – o le argomentazioni dei pochi addetti ai lavori ancora su piazza, come gli esponenti dell’associazione Antigone.

Per esempio Valeria Verdolini, responsabile per la Lombardia dell’associazione Antigone, “L’ultima volta siamo stati al Beccaria lunedì 19 dicembre per un evento sulla musica. E i ragazzi all’interno erano 43 a fronte di una capienza di 31 posti. Sicuramente non era prevedibile quello che è accaduto, ma nelle conversazioni di lunedì veniva lamentato, non solo da parte dei ragazzi ma anche da parte degli operatori, una difficoltà nel funzionamento dell’istituto legata alla carenza di personale“.

“Oltre all’evasione – ricorda Verdolini – c’è stata anche una rivolta (a dimostrazione che il lessico reazionario si fa spazio anche tra chi dovrebbe per professione esserne immune, ndr). Io forse terrei insieme le due cose. Per cui leggo questa vicenda come una forma maldestra di richiesta di aiuto e di attenzione per una struttura che ha grossi problemi.

È un istituto spoglio, con attività che sono poche rispetto a quello che potrebbe offrire una città come Milano. Tutti noi dobbiamo domandarci come poterci prendere cura di quel luogo e dei ragazzi che lo attraversano. Questa vicenda è un fallimento per tutti, è un fallimento democratico“
.

Potremmo dirla con le parole di altri anni: il carcere non è una discarica di cui dimenticarsi, buttando via la chiave; specie se si parla di minorenni. È il luogo che ci restituisce l’immagine dell’orrore che siamo diventati accettando supinamente la protervia del potere. Una fuga di massa dalla civiltà costruita nei millenni, un ritorno al “sonno della ragione”.

Ed è questo che siamo diventati che dovrebbe far paura anche ai servi. Sia in redazione che in Parlamento.

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