La Polizia civile dello Stato di Brasilia ha confermato l’arresto di un militante della destra bolsonarista che ha tentato di far esplodere un camion di carburante nell’area dell’aeroporto del Distretto federale.
Secondo le dichiarazioni del capo della Polizia Civile, Robson Candido, se la bomba non fosse stata intercettata sarebbe stato un disastro e avrebbe causato la morte di circa 200 passeggeri che si trovavano a bordo dell’aereo.
"L’intenzione era quella di far esplodere quel materiale”, ha detto l’alto funzionario, che ha confermato che il responsabile dell’atto, identificato come George Washington de Oliveira Sousa, si è dichiarato a favore del presidente Jair Bolsonaro. In casa dell’uomo è stato trovato un vero e proprio arsenale.
Secondo i media brasiliani, il capo della polizia ha dichiarato che “non abbiamo idea di quante persone abbiano collaborato con lui, ma le indagini saranno approfondite”.
Le informazioni circolate sui media locali rivelano che George Washington de Oliveira Sousa ha utilizzato esplosivi provenienti dalle miniere d’oro e dalle cave del Pará. L’attentatore sarebbe arrivato a Brasilia poco dopo la sconfitta di Jair Bolsonaro (PL) al secondo turno delle elezioni, il 31 ottobre, e da allora fonti di polizia hanno affermato che ha partecipato a manifestazioni a sostegno di Bolsonaro davanti al quartier generale dell’esercito.
Bolsonaro come Trump. L’americanizzazione del Brasile
L’attuale senatore e futuro ministro della Giustizia Flavio Dino ha dichiarato sul suo account Twitter che “i gravi fatti accaduti ieri a Brasilia dimostrano che i campi cosiddetti ‘patriottici’ sono diventati incubatori di terroristi” e “la corsa agli armamenti genera altre degenerazioni”.
In Brasile sembra di rivedere lo scenario degli Stati Uniti dopo la sconfitta elettorale di Trump, con tanto di irruzione nel Congresso. Ma qui il livello di strutturazione della destra golpista che contesta i risultati elettorali e la vittoria di Lula sembra più avanzata che negli USA... e anche grazie alle ingerenze degli Stati Uniti stessi.
In Brasile infatti gli anni ’80 sono emblematici perché segnano la fine della dittatura militare – iniziata nel 1964 e durata fino al 1985 – e il ritorno dei civili al governo. I militari hanno lasciato il governo, ma non hanno mai abbandonato la scena politica. Basandosi sul fatto di essere stati loro stessi i protagonisti della transizione, hanno poi cercato di organizzarsi per il ritorno al potere.
Nel club dei militari, gli ufficiali in pensione hanno iniziato ad agire come un partito politico e hanno rilasciato dichiarazioni che incitavano al colpo di Stato. Per anni hanno impunemente fatto proseliti per il colpo di Stato, nonostante la partecipazione dei militari alla politica sia vietata. Hanno detto che se Lula avesse vinto ci sarebbe stato un colpo di Stato, una guerra civile, instillando così paura tra la gente.
Allo stesso tempo, all’interno delle forze armate, gli ufficiali hanno rafforzato i legami con gli Stati Uniti, una promiscuità “legalizzata” con l’accordo di cooperazione militare tra Dilma e Obama, culminato con la cessione della base aerospaziale di Alcântara e, vera e propria violazione della sovranità nazionale, con l’integrazione di ufficiali dello Stato Maggiore brasiliano nel Comando Sud degli Stati Uniti.
In un altro scenario, poco più di una dozzina di ufficiali che hanno partecipato alle missioni di pace delle Nazioni Unite, sotto il comando degli Stati Uniti, comanderanno l’operazione di intelligence per la presa del potere di Bolsonaro nel 2018. Nel 2011 l’allora deputato federale, e anche lui ufficiale in pensione, Jair Bolsonaro, visitando le accademie militari fu presentato come candidato alla salvezza nazionale e acclamato come un mito.
I militari brasiliani volevano il potere per il potere. In primo luogo, riempirsi le tasche di denaro, ricevendo due redditi dalla stessa fonte (l’erario nazionale), lo stipendio militare e quello corrispondente alla posizione amministrativa, cosa che è illegale, oltre ad altri redditi derivanti dalla corruzione. In secondo luogo, per consumare lo smantellamento dello Stato, il saccheggio delle risorse e la sottomissione all’imperialismo. Hanno così trasformato il Brasile in una colonia di quinta categoria, protetta dalle truppe pretoriane, le forze armate nazionali.
Un’altra componente attiva in questa alleanza reazionaria e nella guerra culturale sono le chiese pentecostali e neopentecostali con origini negli Stati Uniti, le quali hanno contribuito alla strategia della presa del potere statale di Bolsonaro.
Da un lato, accogliendo e coinvolgendo le popolazioni emarginate e abbandonate dallo Stato e dai partiti politici; dall’altro, imponendo una visione del mondo a due facce, il paradiso e l’inferno, il bene e il male che deve essere combattuto. I pentecostali si sono infiltrati in tutte le sfere del potere, partecipano a quasi tutti i partiti politici e hanno un loro partito, i Repubblicani, legato alla Chiesa Universale del Regno di Dio, del vescovo Edir Macedo, che è indicato dalla rivista Forbes come una delle persone più ricche del pianeta.
In questa lista ci sono i cinque vescovi delle principali denominazioni evangeliche. Al Congresso, la Bancada de la Biblia, che aveva 112 deputati nella scorsa legislatura, ne ha ora 132, e il numero di senatori è aumentato da 11 a 14.
Entrambi i progetti di potere – quello dei militari e quello degli evangelici – si sono uniti nell’operazione di intelligence che ha portato all’occupazione del governo da parte di Bolsonaro nel 2018. Oggi novemila militari occupano posizioni nella pubblica amministrazione, con doppia retribuzione, una vera e propria occupazione ed evidente deviazione di funzione, contraria alla Costituzione e ai codici militari.
L’onda d’urto del bolsonarismo sulla società
“Nella mente della gente per le strade, il mondo sta finendo e il male sta dominando. Pensano di essere in una guerra santa, una crociata” è la valutazione del professor Dimas Antônio de Souza, dell’Istituto di Scienze Sociali della Pontificia Università Cattolica (PUC) di Minas Gerais, che si è dedicato allo studio delle basi ideologiche del bolsonarismo.
Il movimento, dice il prof. Souza, ha creato una mitologia, con un cattivo, una cospirazione e un salvatore. Sarebbero, rispettivamente, e brevemente: Lula, il Forum di San Paolo e Bolsonaro. Lungi dall’essere uno scherzo di cattivo gusto, la struttura di questa narrazione ha basi storiche.
“Qualche tempo fa, poco prima che uscissero le incriminazioni del Vaza Jato – che hanno rivelato il complotto di Lava Jato – avevo scritto un articolo per Brasil de Fato in cui sottolineavo che il movimento di Bolsonaro è molto simile al nazismo. E questa somiglianza è nel contesto della narrazione stessa. La narrazione nazista e quella bolsonarista hanno in comune le teorie del complotto, che infantilizzano e fanno impazzire le persone, collocandole in un vero e proprio mondo parallelo”.
Si parla di teoria del complotto, ma quella corretta è la cosiddetta mitologia del complotto, che in generale ha un carattere apocalittico. Nella mente della gente comune, il mondo sta finendo e il male regna sovrano. La loro idea è che Lula sia un demone, che tutta la sinistra sia legata alle forze del male, all’inferno, al banditismo, al narcotraffico, ai rapimenti.
“Hanno semplificato il gioco della politica in una lotta tra il bene e il male e, come dicono, il male è incarnato e pronto a vincere e conquistare il mondo intero. Perché comunisti, LGBT, neri, poveri, ladri e anche le grandi aziende, tra cui Banco Itaú, sono i sostenitori del “comunismo”, l’asse del male. Il gruppo di strada crede di essere in una guerra santa, una crociata”.
Le responsabilità dei mass media
“Ma in realtà, ciò che ha portato a questa situazione sono stati i media mainstream brasiliani” – afferma De Souza – “trattano le questioni politiche depoliticizzandole continuamente. Trattano il negoziato politico come se fosse una rapina. Una trattativa politica che coinvolge la PEC Bolsa Família, nella voce dei giornalisti, diventa la “PEC della spesa”. È tutto un gioco mediatico per squalificare, depoliticizzare e generare odio verso la politica, e tutto questo favorisce le narrazioni estremiste. In questo nuovo contesto, il giornalismo brasiliano ha bisogno di riflettere sul proprio impegno professionale. Alla fine, se l’estremismo sta crescendo, è perché c’è terreno fertile per farlo crescere, sia nella stampa che nelle chiese cattoliche ed evangeliche conservatrici”.
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