La Serbia diserterà il vertice Ue-Balcani occidentali in programma per il prossimo 6 dicembre a Tirana. A comunicarlo è stato il presidente serbo Aleksandar Vucic, in segno di protesta per la mancata reazione della Ue alla nomina di un oppositore della linea politica di Belgrado come nuovo ministro nel governo kosovaro.
Vucic ha stigmatizzato la decisione del premier kosovaro Albin Kurti di nominare nel suo governo il serbo Nenad Rasic, come nuovo ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi, in sostituzione di Goran Rakic, esponente di Srpska Lista (SL), il partito legato a Belgrado e al presidente Vucic, dimessosi nelle scorse settimane unitamente a tutti gli altri serbi presenti nelle istituzioni del Kosovo. Una tale decisione apertamente antiserba da parte di Kurti, ha osservato Vucic, meritava una doverosa condanna da parte della Ue, che però non c’è stata.
Eppure la Serbia e il Kosovo avevano raggiunto un accordo per smorzare la “crisi sulle targhe automobilistiche”. L’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Borrell il 23 novembre 2022 ha annunciato il raggiungimento da parte dei due paesi di un accordo per implementare “misure atte ad evitare un’ulteriore escalation” e “per concentrarsi sulla proposta di normalizzazione delle loro relazioni”.
Le onde lunghe della guerra in Ucraina ma anche l’avventurismo che ormai impregna la politica estera della Ue, arrivano anche sui Balcani, dove la Germania, storicamente anti-serba, si è espressa contro gli stretti legami della Serbia con la Russia, avvertendo Belgrado che legami più profondi con Mosca andranno a scapito del futuro rapporto di Belgrado con l’Ue.
Ma la tesi secondo cui la Russia soffia sul fuoco nei Balcani e della contrapposizione tra Serbia e Kosovo, viene smentita da molti analisti. “Sostenere che ci sia una longa manus diretta russa nelle dinamiche che stavano per far riaccendere la violenza tra Serbia e Kosovo sarebbe una forzatura, sia politica che analitica” scrive Affari Internazionali, “Nel caso specifico, questa crisi aveva motivazioni principalmente domestiche, e la rigidità di entrambi i leader nell’abbandonare le proprie posizioni era dovuta alla paura di contraccolpi interni rispetto alla stabilità e alla forza delle proprie leadership”.
Al contrario, a soffiare sul fuoco dell’instabilità nei Balcani sembrano essere proprio i plenipotenziari dell’Unione Europea, in particolare quelli tedeschi. Da un lato sventolano l’integrazione dei paesi balcanici nella Ue ma concedono la corsia preferenziale solo all’Ucraina, dall’altra non riescono ad evitare atti di arroganza come quello sulle recenti elezioni in un paese a rischio come la Bosnia.
Il tedesco Christian Schimdt, Alto rappresentante per la Bosnia (una figura diplomatica istituita dalla Nato a garanzia degli Accordi di Dayton, ndr) ha imposto una modifica della legge elettorale bosniaca e della costituzione dell’entità della Federazione di Bosnia-Erzegovina. Lo ha fatto utilizzando i cosiddetti “poteri di Bonn”, che danno al rappresentante della comunità internazionale l’autorità di imporre unilateralmente decisioni vincolanti in difesa degli accordi di pace del 1995 e del principio di rappresentanza dei tre popoli costitutivi.
Secondo gli analisti dell’Ispi per quanto una riforma fosse richiesta da sei anni dalla Corte costituzionale e per quanto si possa discutere circa la natura del pacchetto di emendamenti, “resta il fatto che quello di Schmidt sia stato un colpo di mano che mina direttamente la già fragile democrazia bosniaca”.
E anche l’Italia cerca di ricavarsi un suo spazio di influenza nei Balcani. Lo scorso 22 novembre, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, hanno visitato Belgrado e Pristina. I due avevano incontrato i presidenti della Repubblica e i primi ministri di Serbia e Kosovo, nonché i rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa. L’Italia è presente militarmente nei Balcani attraverso la KFOR della Nato in Kosovo. Con oltre 3.700 militari impiegati, la KFOR è la più grande missione della Nato e l’Italia ha il contingente più numeroso con 750 militari, dislocato in varie aree del Paese. Attualmente la missione KFOR è comandata dal generale italiano Angelo Michele Ristuccia.
Insomma l’Italia è quella che nei Balcani ha maggiori “scarponi sul terreno”.
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