Sicurezza inesistente, morti su morti, 800mila feriti all’anno. Parlare del mondo del lavoro in Italia è oggi come parlare di un fronte di guerra. L’Unità ne discute perciò con chi questa guerra l’ha combattuta in prima persona, dalla parte dei lavoratori: Giorgio Cremaschi, ex leader Fiom oggi membro dell’esecutivo nazionale di Potere al Popolo.
Tre morti, cinque feriti, quattro dispersi: come è possibile che accade questo in una delle centrali idroelettriche più importanti del nostro paese?
Intanto dobbiamo chiederci come è possibile che si muoia come cento anni fa. Ora si dice “tragico incidente”, ho sentito anche il prefetto di Bologna dire che “purtroppo è esplosa la centrale”. Ma le centrali non devono esplodere, non esplodono, non devono esplodere!
Oggi c’è tutta la scienza, tutta la tecnologia per impedire tutto questo. È evidente che sono mancati gli investimenti, su questo non c’è dubbio.
Se noi mettiamo assieme quello che sta avvenendo negli ultimi tempi in Italia – a Brandizzo i lavoratori che vengono travolti sui binari, a Firenze al magazzino Esselunga crolla il tetto sui lavoratori, qui esplode una turbina – questi sono incidenti da fine ‘800, che ci parlano della regressione a cui è arrivato oggi il mondo del lavoro nel nome della libertà d’impresa.
Giustamente viene messo sotto accusa il sistema degli appalti e dei subappalti: di per sé è una legalizzazione del peggior sfruttamento e di riflesso un attentato alla vita dei lavoratori, ma ripeto: c’è una questione più generale che riguarda il come si lavora, il come vengono applicate le norme di sicurezza dalle aziende, quanti soldi ci spendono, quanti investimenti vengono fatti.
In Italia, diciamoci la verità, il sistema produttivo italiano si è abituato a 1.500 morti all’anno. Adesso ci sono tutti i cordogli, e onestamente mi viene voglia di tirare una scarpa a tutti questi cordogli, perché è tutta ipocrisia.
Il Governo ha fatto due cose vergognose: in primis dopo la strage di Firenze un decreto a proposito dei controlli sulla sicurezza che fa ridere i polli. In secondo luogo Salvini ha reso ancora più incontrollabile (ma già lo avevano fatto i predecessori) la catena degli appalti e dei subappalti.
Diciamolo chiaramente: se non si stabilisce il principio che se muoiono dei lavoratori in una centrale Enel, per quanti appalti abbia fatto, la responsabilità è dell’amministratore delegato Enel – e oggi questo la legge non lo stabilisce – se non si stabilisce questo non si fa niente davvero per spezzare la catena degli appalti e subappalti.
Ovvero?
Il primo punto per affrontare la catena degli appalti è ristabilire un principio che c’era nel passato e che tutti i governi un po’ alla volta hanno smantellato pezzo dopo pezzo fino ad arrivare a Salvini. Prima c’era una legge del 1960 che stabiliva un principio preciso. Poi, a partire dal pacchetto Treu, è iniziato lo smantellamento.
Ci spieghi meglio...
Una volta avevamo una legislazione che stabiliva che chi appalta un lavoro è responsabile di tutto. Punto. Adesso l’Enel è completamente deresponsabilizzata.
Pensiamo anche a questa cosa indigesta del marchio Armani, che vende le borsette a 1800 euro e le paga 93 euro: questo è il capitalismo italiano. Bene, anche in questo caso noi siamo di fronte al fatto che la società Armani può legalmente fare una catena di Sant’Antonio di subappalti, per cui alla fine la società non è indagata, formalmente il giudice di Milano non può indagarla perché non c’è la responsabilità.
Se Armani non è responsabile delle borsette, se non è responsabile l’ad di Enel Bernabei, se non è responsabile Caprotti di Esselunga del crollo del tetto del magazzino, se non è responsabile l’ad delle Ferrovie di quanto accaduto a Brandizzo, non c’è e non ci sarà mai una vera prevenzione nel sistema degli appalti.
Solo la ricostruzione della responsabilità può trasformarsi in prevenzione. Invece si è fatto l’opposto: si è attuata la cancellazione della responsabilità, è stato realizzato un sistema legislativo che agevola lo scarico della responsabilità.
Tutto in nome del profitto?
Tutto in nome del profitto dell’impresa, perché lo ripeto, 1.500 persone muoiono ogni anno e così il sistema si è abituato. Perché? Perché vale il principio capitalistico per cui “a uno può toccare la disgrazia ma tutti gli altri la fanno franca”. Sono ‘fortunati’ i lavoratori che se la cavano: se pensiamo a come si lavora oggi i morti potrebbero essere molti di più. Da un lato c’è la fortuna dei lavoratori, dall’altro c’è il miglioramento enorme della medicina.
In che senso?
Non abbiamo oggi solo migliaia di morti sul lavoro. Noi oggi abbiamo una montagna di feriti, abbiamo 7/800 mila lavoratori feriti all’anno, una cifra da guerra.
Oggi il livello raggiunto dalla medicina permette di salvare tutti questi feriti, ma se facciamo una proporzione tra i lavoratori che sono feriti e la forza lavoro siamo quasi ai livelli della decimazione: uno su dieci viene colpito da un sistema di lavoro che non prevede più, lo ripeto, la sicurezza dei lavoratori.
Secondo le statistiche dei morti sul lavoro in Europa, l’Italia è il Paese con l’incidenza più alta...
In Italia giustamente ci si concentra sugli appalti e i subappalti ma le posso dire – e spero su questo di ricevere una querela da Renzi – che anche il Jobs Act uccide, perché è chiaro che nel momento in cui il lavoratore è più ricattato sul posto di lavoro, per la precarietà, per la mancanza di diritti, perché lo possono licenziare in qualsiasi momento, è chiaro che accetta qualsiasi condizione di lavoro.
Bisogna capire che il sistema del mondo del lavoro è come la mafia. O trattiamo gli infortuni e i morti sul lavoro come la mafia, trovando soluzioni che consentano di sradicare un sistema di complicità e sottomissione diffusa o non cambierà niente.
Ci sono tanti lavoratori ricattati sul posto di lavoro che nemmeno denunciano gli infortuni sul lavoro. È un po’ come la moglie bastonata dal marito che dice di essere caduta dalle scale: sa quanti lavoratori dicono di essere caduti dalle scale quando in realtà si sono fatti male sul posto di lavoro?
E il ruolo del sindacato in tutto questo?
I grandi sindacati – Cgil, Cisl e Uil – oggi forse si stanno svegliando. Mi pare un fatto positivo ma questo non cambia il fatto che i sindacati ancora affrontano questo tema dalla coda. Sì, è giusto denunciare i guasti della catena degli appalti e dei subappalti, ma come è successo per Brandizzo, qui c’è un sistema da affrontare.
Le questioni vanno poste alle Ferrovie, all’Enel, bisogna chiamare a rispondere le grandi aziende. Ci sono sicuramente i caporali, ma sopra i caporali ci sono le grandi aziende, e su questo punto, per dirla gentilmente, i sindacati hanno avuto grande timidezza. Il pesce puzza dalla testa.
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