Vediamo un esempio di come, in queste ore, viene costruito un clima di “attesa per l’attacco nemico”. Protagonista “amico” è ovviamente Israele e il “nemico”, altrettanto ovviamente, è l’Iran.
Prendiamo un lancio di agenzia stampa – qualsiasi, tanto riferiscono tutte la stessa notizia con quasi le stesse parole:
“Israele si sta preparando a un attacco diretto dall’Iran nelle prossime 24-48 ore. Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali l’attacco colpirà il territorio di Israele.Qualcuno – l’Agi, per esempio – aggiunge che la fonte è “anonima”, ma “a conoscenza della questione”.
Secondo le fonti del Wall Street Journal i piani di attacco sarebbero in fase di discussione, ma non è stata presa alcuna decisione definitiva.
L’Iran ha minacciato pubblicamente di vendicarsi per un attacco avvenuto la settimana scorsa a Damasco, in Siria, che ha ucciso alti ufficiali militari iraniani, tra cui un membro di alto livello della Forza Quds, l’elite del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche.”
Si sente odore di brillantina, agenti segreti impomatati, traffici di bigliettini, intercettazioni e registrazioni scambiate nei modi più strani.
Eppure stiamo parlando di fatti che sono pubblici da giorni. Ma accuratamente “lavorati” dai professionisti della disinformazione in modo tale che non si capisca più molto.
I fatti sono semplici e noti a tutto il mondo. Nel bel mezzo di un genocidio in diretta, praticato con gelida determinazione dall’esercito di Israele in quel di Gaza, il governo di Tel Aviv ha ordinato alla sua aviazione di bombardare l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria. Obiettivo: uccidere il generale Mohammad Reza Zahedi e il suo vice, comandanti delle “Guardie della rivoluzione”, altrimenti noti come Pasdaran.
Tecnicamente e giuridicamente, secondo il diritto internazionale, attaccare militarmente un’ambasciata, coperta da immunità diplomatica (altrimenti nessun paese avrebbe una propria rappresentanza all’estero, specie in paesi “non amici”), è stata una dichiarazione di guerra di Israele a Teheran.
È dunque scontato che l’Iran abbia “diritto” a rispondere, secondo il diritto internazionale, anche se a nessuno sfugge – specie ai protagonisti del conflitto in Medio Oriente – che modi e tempi di questa “risposta” avranno conseguenze potenzialmente devastanti. Lo hanno spiegato direttamente i massimi dirigenti di Teheran, non c’è nulla di segreto (se non – ovviamente – tempi, luoghi e forme della “risposta”).
Visto che la “strategia” israeliana, sul piano militare, è da sempre una sorta di “a brigante, brigante e mezzo”. Ossia una controrisposta di portata e violenza molto superiore all’attacco subito e a maggior ragione se questa controrisposta arriva a sanzionare una reazione ad una propria sanguinosa provocazione.
Detta in parole povere, è la strategia dell’escalation continua, nella folle convinzione che il possedere “clandestinamente ma non troppo” alcune decine di testate nucleari – anche qui: in violazione di tutti i trattati internazionali – possa garantire un controllo affinché la situazioni resti pur sempre nei limiti della “guerra convenzionale”, per quanto aspra.
Su nessun giornale, tanto meno italiano, avete però potuto leggere quella scontata definizione: l’attacco all’ambasciata di Damasco è stata una dichiarazione di guerra.
Nascosto così il casus belli, la scontata risposta dell’attaccato (l’Iran, in questo caso) può essere “narrata” come un’”aggressione immotivata”.
Si può naturalmente obiettare che, a pochi giorni dall’attacco a Damasco, sono pochi i fessi disposti a credere a una storiella così smaccatamente fasulla.
Vero. Anche per questo l’opinione pubblica va nutrita – meglio: intossicata – con uno stillicidio di “allarmi” inverificabili ma “a ore”, capaci di seminare ansia (anche di breve durata) e far passare sullo sfondo la responsabilità evidente che era in primo piano (l’attacco israeliano).
Volete un altro esempio? Eccovelo.
A Mosca, come sapete, un sanguinoso attentato ad un concerto è stato attribuito (dall’“Occidente collettivo”) all’Isis-K, misteriosa “variante” della sigla un tempo più nota che sembra specializzata in attacchi a musulmani e/o nemici dello stesso “Occidente collettivo”. I russi hanno individuato invece la mano di Kiev e Washington, grazie anche alle dichiarazioni rese dagli attentatori, ma – si sa – “i russi mentono per definizione e dunque quel che dicono non conta; anzi, neanche ve lo facciamo sapere”.
Questa natura “fiancheggiatrice dell’Occidente” dell’Isis-K è così evidente che, per renderla un po’ meno “di parte”, diventa necessario moltiplicare “allarmi” su possibili attentati della stessa matrice anche in Europa e negli Stati Uniti. A condimento “concreto” dell’allarme non manca qualche arresto qua e là, di cui non si avrà più notizia il giorno dopo.
Effetto raggiunto, o almeno ci provano.
Non sappiamo ovviamente nulla di quanto gira nella testa dei vertici iraniani, anche loro alle prese con uno “zugswang” – devono rispondere all’attacco a Damasco, ma non devono dare facile adito ad un’escalation incontrollabile.
Possiamo però, anzi dobbiamo, smascherare il più chiaramente possibile la “panna montata” di menzogne, disinformazione, allarmismi, fake news di regime, che ottunde le coscienze e rende impossibile qualsiasi altra soluzione che non sia la guerra e l’arruolamento passivo della popolazione verso un disastro per interessi altrui.
Vorrebbero portarci a combattere sotto il loro comando mentre stiamo immersi in una nebbia fittissima, senza possibilità di capire da dove arrivano i colpi e chi ci guadagna. Si sono abituati bene, con tanti omini disposti a “obbedir tacendo”...
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