Una lettera della Dr. Paola Manduca, NWRG onlus per la rete Sanitari per Gaza.
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Stanotte hanno distrutto totalmente l’ospedale al Shifa rendendolo irriconoscibile. L’ospedale era già stato occupato e passato al setaccio per due settimane dall’ esercito israeliano.
Le sole prove che fosse un deposito di armi o sede di un commando sono riportate nei giornali israeliani: una decina di armi leggere e pistole, 2 foto e una bandiera della Jihad Islamica.
Ove ce ne fossero state altre di prove, certo la distruzione totale inflitta alla struttura ospedaliera toglie l’onere di provare indipendentemente l’asserzione di Israele.
Si rimuove in tal modo anche l’onere imposto da una delibera della Corte Internazionale di Giustizia secondo cui dovrebbe preservare le prove materiali raccolte. Senza dubbio foto o oggetti senza contesto non sono prove credibili.
Ieri, 31 marzo ci ha raggiunto un comunicato del Ministro della Salute di Gaza, sul cui contenuto non dovrebbero esserci dubbi, visto che normalmente quanto comunicato da questa fonte è sempre stato confermato.
Il testo ci arriva attraverso la National Arab Medical Association (NAAMA).
Il comunicato è terribile ma non inaspettato, visto che da 14 giorni l’Ospedale Shifa è stato teatro di assedio, assalto armato e di circa 400 esecuzioni, cioè uccisioni di persone disarmate, oltre all’imprigionamento di circa 800 persone in buona parte deportate in Israele.
Tutto ciò è avvenuto all’interno dell’Ospedale. La evacuazione forzata dei pazienti e rifugiati che si trovavano all’ interno della struttura è avvenuta dirigendoli sulla strada della fuga a forza di spari.
Ciò è stato già documentato in varie testimonianze. Quello che comunica il ministro della salute è che i pazienti rimasti all’interno della struttura – circa 100, tra i casi più gravi che erano in cura e i pochissimi familiari rimasti – insieme a 60 unità del personale sono state spostate nella palazzina delle risorse umane.
Questa palazzina era sede di soli uffici e consiste in due piani senza ascensore, arredata con scrivanie e sedie, con corrispondenti piccoli gabinetti, nessuno strumento medicale e nessun presidio di medicine o strumenti.
Dei colleghi e dei pazienti confinati non ci sono ancora notizie. Il testo riportato di seguito racconta la giornata di Pasqua e ciò che si vedeva avvenire.
Il comunicato arriva in un quadro che diventa sempre più tragico, visto che oggi anche l’Ospedale al Aqsa in Deir al Balah, uno dei 4 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionante a Gaza, ha subito un attacco militare nell’ area esterna che ha ucciso quattro persone, ne ha ferite 12 ed era diretto sulle tende dove la stampa si ferma a lavorare utilizzando la connessione internet e la elettricità dell’ospedale.
Già 137 giornalisti sono stati uccisi a Gaza, e molti feriti. Numeri che superano ogni conflitto avvenuto negli ultimi 20 anni. Chi riporta notizie di guerra continua ad essere bersagliato dall’ esercito israeliano.
Questo attacco ricorda funestamente il progressivo attacco e smantellamento che è stato fatto su tutti gli altri 32 ospedali resi inagibili dalla strategia militare dell’ esercito israeliano. Ma non basta.
Oggi arriva da Gaza anche una descrizione lacerante da parte di alcuni medici che fanno parte di una delle staffette sanitarie arrivate 6 giorni fa a sostegno dell’Ospedale European, una delle strutture ospedaliere ancora funzionanti, seppure con un carico di pazienti quadruplicato e le corrispondenti difficoltà in forniture.
La testimonianza proviene da due chirurghi di emergenza americani, che hanno lavorato complessivamente per 57 anni in molte catastrofi naturali o provocate da mano umana.
Ci raccontano le condizioni ospedaliere che hanno trovato in quello che è al momento il presidio più funzionante di tutta Gaza. Descrivono come stanno lavorando in un mare di feriti e degenti sdraiati a terra lungo muri e i corridoi, con rifugiarti accampati tutt’intorno. Ci parlano dell’ assoluta inadeguatezza di presidi e strumenti medici, e dei numeri del personale, per altro esausto da 6 mesi di lavoro in condizioni di emergenza e sopraffatto dal numeri dei ricoverati; di ferite infette con i vermi e del fatto che “tanti di questi feriti sono la testimonianza di violenza orribile deliberatamente diretta a civili e bambini: un bimbo di 3 anni colpito alla testa, una ragazzina di 12 anni al petto e all’addome dai migliori tiratori scelti del mondo”.
Riportano gli esiti dell’uso di bombe ad alto potenziale su civili il cui “impatto ha fatto penetrare i detriti dell’edificio profondamente nel tessuti cosi che è praticamente impossibile ripulire, ed in assenza di antibiotici, diventano infette e anche letali”.
Paragonando questo con la loro esperienza durante l’11 settembre, o durante l ‘attacco alla maratona di Boston o in Ucraina, dicono che non hanno mai visto questo livello di danno. Ci ricordano che gli USA hanno armato e continuano ad armare questo massacro.
Noi ricordiamo che, salvo il Canada, nessuno dei paesi complici del massacro in quanto sostenitori a livello diplomatico e militare nei confronti del governo Israeliano e delle sue industrie militari, ha fermato la vendita di armi o i rapporti commerciali o il sostegno alla aggressione su Gaza.
Ricordiamo che solo in Inghilterra si è alzata una denuncia per la mancata richiesta di consiglio legale da parte del governo, che sarebbe dovuta avvenire in seguito alle delibere della Corte penale internazionale per accertare la legittimità di fornire armi o parti delle stesse e sostenere economicamente Israele in luce del fatto che sta plausibilmente compiendo un genocidio.
Questo parere è dovuto perchè le delibere della Corte Penale Internazionale sono vincolanti ma non è stato richiesto nemmeno in Italia.
Gli Usa che dichiarano grande irritazione perché Israele impedisce gli aiuti umanitari, hanno appena liberato miliardi da inviare in forniture di armi pesanti, e sembra che tutto ciò che vogliano è che le persone muoiano sazie e impotenti o non volendo fermare l’attacco anche su Rafah, costruiscono una pedana per stazionare aiuti in mare, un ennesimo tappabuchi poco efficiente e molto dibattuto in Usa, come ci dice il Washington Post.
Intanto Al Si si, presidente egiziano riceve la promessa di 10 miliardi dal Fondo monetario internazionale per risarcimento per le spese che dovrà sostenere per Gaza, mentre costruisce una prigione a cielo aperto con muri tutt’intorno giustapposta alla frontiera con Gaza. Sembra che sarà questa la possibile “soluzione di espulsione finale ” per permettere ad Israele di esiliare senza ritorno i civili, e prendersi la terra, mentre racconta di voler combattere solo la resistenza fino all’ultimo uomo.
Nonostante l’uso dell’equivalente di quasi 2 bombe atomiche riversate sulla striscia di Gaza non è riuscito ad eliminarla nemmeno dalla parte nord della stessa dopo 6 mesi di invasione che sempre più diviene una marcia di orrori inefficaci militarmente e di estrema perversione per quanto ci arriva dai canali telegram dei combattenti dell’esercito più morale del mondo che si vanta di gioielli e reggiseni presi nelle case vuote che fanno saltare in aria.
Questo atteggiamento, queste regole di ingaggio, riflettono molto più che la banalità del male, e sembrano risultato e al tempo stesso prova di incitamento a disumanizzare le persone palestinesi.
Cosa facciamo noi, semplici cittadini di un paese coinvolto e complice per cambiare tutto questo? La forza è in ognuno di noi e nella pressione che riusciremo a fare sul nostro governo perchè smetta di essere complice di un genocidio che viola la legge internazionale.
In alcuni paesi poi si inizia a pensare di portar a processo i rappresentanti dei governi per omissione dell’azione di prevenzione del genocidio Israeliano.
Il paradosso è che la legge internazionale e gli accordi nel quadro delle Nazioni Unite si collocano da una parte e tanti dei paesi occidentali e loro alleati che le hanno fondate dall’altra, in chiaro conflitto. Il problema di salvare la Palestina non è solo un problema dei Palestinesi. E non c’è tempo per farlo.
Mentre deve essere il tempo che accordi militari ed economici con Israele, che si giova nell’approfondire questa spaccatura, vengano rivalutati alla luce del comportamento obbiettivo di questo paese e recisi da parte di tutti gli Stati e questi decidano dove stare.
Gran parte delle loro popolazioni stanno con l’Onu e le leggi internazionali e sempre più boicottano Israele. Il compito degli Stati, quello che è richiesto a loro è di sanzionare Israele, recidendo accordi economici e militari e di ricerca. Non farlo li rende complici di un genocidio in corso. E sarebbe assai ben che chi investe in Israele, sospendesse questi investimenti.
In un momento in cui diplomazia e persuasione sono diventati uno schermo, la pressione diventa l’unico strumento pacifico e legale per ottenere la fine di questo genocidio in corso che a Gaza potrebbe prestissimo ampliarsi ed approfondirsi con l’aumento della frequenza di morti per fame, disidratazione e malattie curabili che crescono già in modo esponenziale, e certo non c’è tempo da perdere ancora perchè ogni ora ormai si conta in vite umane.
Ma non solo a Gaza questo solco tra comportamenti degli stati e le loro stesse Istituzioni e leggi internazionali e nazionali, se non colmato, crea lo spazio per ogni possibile devastazione. L’ospedale Al-Shifa di Gaza ha raggiunto una situazione disperata il 14° giorno di assedio!
Di seguito il testo originale del comunicato stampa del Ministro della Salute di Gaza
Un messaggio del dottor Yousif Abu Al-Reech, viceministro della Sanità, Gaza, 31 marzo 2024.
“È il 14° giorno dell’assedio imposto al complesso medico di Al-Shifa. Sulla base delle testimonianze del personale medico all’interno, la situazione è la seguente: 107 pazienti, la maggior parte dei quali sono casi gravi, sono stati ricoverati in terapia intensiva, e 60 membri dello staff medico sono stati rinchiusi in un vecchio edificio dell’ospedale che non ha la capacità di ospitare un tale numero di pazienti né di pazienti né le attrezzature.
La situazione, secondo quanto riferito da molti personale è orribile e disumana; non sono state fornite ventilazione, condizioni di pulizia, acqua, né sono state fornite le medicine minime, il che ha portato a ferite settiche. I medici hanno detto di aver finito i guanti, così hanno iniziato a usare sacchetti di plastica per il cambio delle ferite, anch’essi esauriti. Hanno inoltre segnalato la mancanza di pannoloni per anziani, in particolare che 30 pazienti sono costretti a letto e usano i pannoloni e hanno bisogno di cure mediche e infermieristiche che il numero limitato di personale non è in grado di fornire.
Inoltre, gli accompagnatori dei pazienti vengono giustiziati, arrestati o sfollati a sud dall’esercito che aggiunge un ulteriore onere al personale. Inoltre, i militari stanno assediati, senza fornire cibo o acqua potabile per giorni.
Il rappresentante del personale ha cercato più volte di comunicare le proprie esigenze ai vertici militari, ma è stato accolto da violazioni e maltrattamento. Prima di ogni tentativo di negoziazione, i soldati lo hanno spogliato e lasciato mezzo nudo per almeno 3 ore prima di incontrare l’ufficiale interessato con “esamineremo la questione e torneremo da voi”, ma non l’hanno mai fatto.
Alla luce di queste orribili condizioni, il nostro personale medico, già esausto, ha iniziato a mostrare sintomi di stanchezza e di allergia e, se non si troverà una soluzione al più presto, il luogo si trasformerà in un cimitero di pazienti e personale, se non è già così.
(1) l’articolo del Washington Post che riporta della costruzione di un deposito galleggiante per Gaza
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