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03/06/2025

Guerra in Ucraina - Le cancellerie europee scelgono la prosecuzione della guerra

Sono durati meno di un’ora i colloqui russo-ucraini a Istanbul il 2 giugno, svoltisi in un clima non proprio favorevole, come era facile prevedere, dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni, con gli attacchi terroristici ucraini a strutture civili e militari russe.

Tra i punti principali che figurano nel memorandum russo, reso noto da RIA Novosti, ci sono la richiesta da parte di Mosca del

– riconoscimento giuridico internazionale dell’ingresso nella compagine russa di Crimea, LNR, DNR, regioni di Zaporože e Kherson;

– neutralità dell’Ucraina, sua rinuncia di adesione ad alleanze militari e status non nucleare;

– divieto di attività militari di altri Stati in Ucraina;

– numero massimo definito di forze armate;

– revoca delle sanzioni alla Russia;

– garanzia di diritti e libertà per la popolazione russofona e revoca delle restrizioni alla chiesa ortodossa;

– divieto di glorificazione del nazismo.

Riguardo agli attacchi ucraini compiuti tra fine maggio e 1 giugno, vorremmo dire che, con eccessiva, a nostro parere, “delicatezza”, ColonelCassad parla di «negligenza pagata troppo cara», a proposito della relativa facilità con cui sono stati portati a termine gli attacchi ucraini (solo ucraini?!?) agli aeroporti di diverse regioni russe in cui è dislocata l’aviazione strategica di Mosca.

Un tempo, con termine a nostro parere più appropriato, si sarebbe parlato di “negligenza criminale”, con teste che sarebbero saltate, non solo in senso figurato.

Non dubitiamo che, anche in questo caso, vari responsabili saranno chiamati a rispondere, quantomeno con la posizione ricoperta. Ma, in ogni caso, rimangono aperte alcune questioni che, a nostro modesto parere di semplici osservatori (né militari, né politici) di quanto accade a “est del Dnepr”, rendono la faccenda della “Ragnatela” nazi-golpista imbastita, a quanto sostengono a Kiev, da diciotto mesi a questa parte, quantomeno ambigua, dal punto di vista dei possibili coinvolgimenti, interni e esteri, a dar man forte a SBU, GUR, MOU, ecc.

Per quanto concerne i secondi, tralasciando per un momento il molto probabile contributo all’operazione da parte dei soliti “volenterosi” (volenterosi di arrivare alla guerra a ogni costo e con ogni prezzo da far pagare alle masse), basti citare la possibile implicazione di una repubblica ex sovietica quale il Kazakhstan: non solo quanto a vicinanza logistica all’area di Celjabinsk e al capannone affittato per nascondere il TIR carico di droni, quanto proprio alla sua insorta “inimicizia” nei confronti della Russia, di cui pure Mosca da tempo si lamenta e che quindi dovrebbe quantomeno tenere sul chi va là i Servizi russi.

Ci asteniamo qui dal prender parte alla gara per indovinare quali e quanti velivoli russi siano stati colpiti, danneggiati o distrutti e in quale percentuale rispetto al totale dell’aviazione strategica del paese e, dunque, di quanto possa risultare “indebolita” la capacità di deterrenza russa.

Di passaggio: le immagini satellitare messe in rete ieri, mostrerebbero una quindicina di velivoli russi danneggiati, tra mezzi dell’aviazione strategica e da trasporto. Ovvie e scontate le vanterie naziste, riprese dai soliti fogliacci guerrafondai nostrani – è ormai inutile citare la o le testate: non cambiano mai – che sbandierano bellicosamente alcuni improvvidi titoli di blogger russi su una “Pearl Harbour” subita dal Cremlino, in seguito alle esternazioni di Zelenskij sulla «distruzione del 34% dei velivoli strategici, vettori di missili alati».

Ma quale Pearl Harbour, sbotta il deputato della Duma Evgenij Popov, «perché questo panico?... Sì, è spiacevole. Sì, i colpevoli devono essere puniti. Ma non è una Pearl Harbor. La risposta al nemico: quella dovrà essere una Pearl Harbor», per Kiev.

Lo stesso rappresentante USA per l’Ucraina nella passata amministrazione Trump, Kurt Volker, ha dichiarato a TWP World che, pur dando per buone le percentuali ucraine sui risultati degli attacchi, non se ne dovrebbero sopravvalutare gli effetti.

In ogni caso: sì «i colpevoli devono essere puniti»; e, se ci è permesso, tra i responsabili da dover punire dovrebbero esserci anche e soprattutto quei signori che, in patria, come minimo non hanno adempiuto al proprio dovere.

In che direzione puntavano le loro “attenzioni di lavoro” funzionari e agenti dei Servizi di un paese che, per quanto, sul teatro ucraino, stia conducendo una limitata “Operazione militare speciale”, per ammissione della stragrande maggioranza dei suoi stessi esponenti politici, osservatori militari, politologi e via dicendo, si trova a fare i conti con una guerra ormai apertamente dichiarata dall’Occidente collettivo, in generale e dalla “coalizione dei volenterosi”, in particolare?

Una guerra che quei “volenterosi” criminali non si preoccupano ormai più nemmeno di mascherare, come proclamano dalle parti di Londra, Berlino, Parigi, sostenendo platealmente che, comunque vada a finire con l’Ucraina, già altri fronti sono in preparazione, dal Baltico all’Asia centrale, per “ridurre alla ragione” il Cremlino?

Ripetiamo: dal semplice punto di osservazione del cittadino comune, è pensabile che un settore così vitale del potenziale deterrente di un paese nucleare, quale l’aviazione strategica, veda velivoli di calibro decisivo che, pur dovendo essere “parcheggiati” sulle piste in modo visibile, in base alle norme del SALT, risultano facilmente esposti alle “attenzioni” di soggetti contro il cui “addestramento” ideologico risulta così poco preparato il personale di sorveglianza? Domande puerili, certo; ma ce le poniamo.

E tutto ciò – compresi gli attentati terroristici alle linee ferroviarie, con morti e feriti – alla vigilia del secondo round di colloqui a Istanbul, che si sarebbe tenuto il giorno successivo, con prospettive che, anche senza gli ultimi avvenimenti, già nei giorni scorsi non lasciavano presagire alcunché di positivo.

È così che il politologo Pavel Danilin affermava domenica pomeriggio: «Se domani l’Ucraina non accetterà le condizioni del Memorandum russo e, evidentemente, non le accetterà, le condizioni successive saranno molto più dure. E per il mondo intero, alla vista del bombardiere strategico russo in fiamme, sarà chiaro perché queste condizioni saranno ancora più dure».

In effetti, prima ancora di Kiev, sono le cancellerie europee che non hanno alcuna intenzione di permettere alla junta golpista di accettare alcunché.

Dunque, già in anticipo era abbastanza chiaro che tra le varie condizioni che la delegazione russa avrebbe presumibilmente ribadito a Istanbul, come una zona cuscinetto di almeno una trentina di km (distanza per artiglierie e droni) in prossimità dei confini e la fine dell’invio di armi occidentali a Kiev, non verranno accolte dai golpisti.

Vasilij Stojakin, su Ukraina.ru, scrive senza mezzi termini che Istanbul-2 somiglia a un teatro dell’assurdo: è ormai un luogo comune affermare che l’obiettivo dei colloqui di Istanbul sia convincere Trump che la controparte non vuole negoziare; «non c’è altra motivazione per i colloqui: entrambe le parti credono di poter ottenere di più. Ma anche in questo contesto, il nuovo round di colloqui sembra un vero e proprio teatro dell’assurdo».

Già da giorni erano noti i punti chiave delle richieste russe, pur se non erano ancora stati direttamente proclamati in un memorandum che Kiev avrebbe preteso pubblico ancor prima delle trattative: status di paese non allineato e non nucleare per l’Ucraina; Kiev deve riconoscere i nuovi confini, ridurre gli effettivi militari e rinunciare alla armi offensive.

Già in partenza, si sa che Kiev intende respingere tutti questi punti: in ogni caso, la “coalizione volenterosa” che sta alle spalle della junta non le permetterebbe di accoglierli. E, comunque, quanto accaduto il 1 giugno, è lì a dimostrare che, sul Dnepr e a ovest di esso, non c’è alcuna intenzione di rendere effettivo il tanto sbandierato “cessate il fuoco” che, si urla, sarebbe Mosca a non volere.

Come che sia, nota Viktorija Nikiforova su RIA Novosti, l’Europa non abbandona i tentativi di insinuarsi al tavolo dei negoziati, brandendo i “Taurus” tedeschi. I turchi, prudenti, chiedono agli europei di non intervenire nei negoziati: hanno già sabotato la prima Istanbul, ora non si può loro permettere di farlo di nuovo.

Per parte loro, gli americani vogliono solo allontanarsi il più rapidamente e il più lontano possibile dal conflitto scatenato dalla precedente amministrazione.

Ma l’aspetto forse più interessante è che il Comitato investigativo russo abbia rapidamente riclassificato l’attacco alle linee ferroviarie, da atto terroristico a “crollo spontaneo”. Certo, dice Nikiforova, è possibile che sia davvero così; anche l’ipotesi di un intervento dell’alta politica ha la proprio ragion d’essere: «un attacco terroristico contro civili avrebbe potuto benissimo mandare all’aria i negoziati a Istanbul. In questo modo, non ci sono motivi per annullarli, quantunque, appunto perciò, Kiev abbia significativamente rafforzato le proprie posizioni negoziali».

Più chiaro ed esplicito di tutti sembra essere il ministro britannico per la sicurezza Tom Tugendhat che a Odessa, al Forum per la sicurezza nel mar Nero, ha affermato chiaro e tondo che «abbiamo una scelta molto semplice in questi negoziati. Ci schiereremo per i paesi che difendono la libertà? O ci inchineremo a un dittatore il cui appetito cresce quanto più mangia? Sappiamo cosa succederà in questi negoziati. Niente di inaspettato,,, Sarà una farsa e una perdita di tempo. Ma dobbiamo farlo affinché tutti possano vedere che l’Ucraina ha fatto tutto il possibile. Per questo sostengo pienamente il Presidente Zelenskij nella sua partecipazione».

In che modo? Semplice: sabotando le richieste chiave russe e appoggiando «tutti coloro che, come Merz e noi, stanno facendo il possibile per garantire che questi negoziati non portino al disarmo dell’Ucraina».

In questo clima, difficile attendersi qualche risultato che non sia la guerra.

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