Oggi si apre una finestra che si affaccia su un baratro. Per capire se ci salteremo tutti dentro, bisogna aspettare. L'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), tra oggi e mercoledì, renderà pubblico il suo ultimo rapporto sul dossier nucleare in Iran. Solo allora si potrà sapere quanto il cappio attorno a Teheran si stia stringendo.
Le indiscrezioni non sono affatto buone, almeno per i nemici delle guerra. Secondo importanti quotidiani internazionali, come il Washington Post e Haaretz, l'Aiea denuncerà che l'Iran ha acquisito già le conoscenze, la tecnologia e le risorse per dotarsi di una testata atomica d'attacco nel giro di qualche mese. Gli iraniani sarebbero stati aiutati da scienziati russi, pachistani e nordcoreani.
La notizia, però, sarebbe un'altra. Porterà l'Aiea prove inoppugnabili che questo avviene? Riuscirà l'agenzia Onu che monitora la proliferazione nucleare a dimostrare che Teheran non sviluppa solo un programma nucleare a fini scientifici?
Questo è un passaggio determinante. Tutti, almeno si spera, ricordano ancora l'allora Segretario di Stato Usa Colin Powell rendersi ridicolo agli occhi del mondo con la fialetta mostrata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite prima dell'attacco all'Iraq nel 2003. Una bufala, un esempio grottesco di disinformazione. Oggi la prova è molto più dura: bisogna capire quanto tutta questa manovra di accellerazione nei confronti dell'Iran voglia solo essere uno strumento di pressione e quanto, invece, punti a creare un clima favorevole a un attacco nell'opinione pubblica internazionale.
La storia insegna che le gravi crisi economiche mondiali, spesso, hanno portato le classi dirigenti politico-economico-militari a 'investire' in un conflitto. E' questo il caso? Il parere dell'Aiea dirà qualcosa in proposito. Di sicuro le parole del presidente israeliano Shimon Peres non sono rassicuranti. Lungi dall'essere un uomo di pace, bisogna ammettere che però raramente Peres ha usato - come ha fatto il 4 novembre scorso - toni così foschi. ''L'opzione militare si avvicina'', ha ventilato Peres. Le dichiarazioni del premier israeliano Netanyahu, del ministro della Difesa Barak e di quello degli Esteri Lieberman non stupiscono. Quelle di Peres si.
''Gli Stati Uniti e Israele vogliono colpire l'Iran perché ne temono la forza militare che è in crescita''. Come al solito, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sembra pagato da uno sceneggiatore in crisi creativa per dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato. In un'intervista rilasciata al quotidiano egiziano al-Akhbar ha commentato così l'ipotesi di un attacco contro i siti nucleari della Repubblica Islamica. ''L'Iran ha capacità militari differenti da quelle degli altri Paesi nella regione. Stiamo aumentando le nostre capacità e per questo siamo in grado di competere con Israele e l'Occidente, in particolare gli Stati Uniti'', ha dichiarato Ahmadinejad, cedendo a una retorica del braccio di ferro.
Solo dopo, il presidente iraniano ha ribadito che l'Iran non possiede una bomba nucleare. ''È Israele che possiede trecento testate nucleari - ha dichiarato - l'Iran desidera solo avere capacità nucleari per scopi pacifici''. Già il nucleare e Israele. Argomento spinoso, almeno per quelli che sono ancora convinti che il diritto internazionale significhi qualcosa di più di una disciplina accademica. Nessuno si è mai sognato di chiedere a Israele un'ispezione all'impianto di Dimona e dintorni. Chi ne ha denunciato l'esistenza, come il tecnico nucleare israeliano Mordechai Vanunu, continua a essere perseguitato dalla giustizia di Tel Aviv.
Israele, da sempre, ha pronti piani d'attacco all'Iran. L'idea, però, di colpire e andare via, come è accaduto in Iraq nel 1981 (Operazione Opera) e in Siria nel 2007 (Operazione Orchard), non è così facile. Molti militari israeliani lo sanno e frenano. L'Iran ha una capacità di reazione che, in un'operazione che non può essere circoscritta a un obiettivo definito ma sarebbe estesa su un'ampia porzione di territorio e su molti siti, potrebbe fare molto male agli incursori israeliani. Scatenando una reazione a catena di attentati nel mondo. Le monarchie sunnite del Golfo Persico non si strapperebbero i capelli, ma rispetto alle opinioni pubbliche interne in fermento, dovrebbero prendere una posizione 'islamicamente' corretta. Anche solo a parole, sul modello turco. Insomma un vaso di Pandora. Si resta in attesa, di fronte alla finestra. Con una gran paura di cadere di sotto.
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Le indiscrezioni non sono affatto buone, almeno per i nemici delle guerra. Secondo importanti quotidiani internazionali, come il Washington Post e Haaretz, l'Aiea denuncerà che l'Iran ha acquisito già le conoscenze, la tecnologia e le risorse per dotarsi di una testata atomica d'attacco nel giro di qualche mese. Gli iraniani sarebbero stati aiutati da scienziati russi, pachistani e nordcoreani.
La notizia, però, sarebbe un'altra. Porterà l'Aiea prove inoppugnabili che questo avviene? Riuscirà l'agenzia Onu che monitora la proliferazione nucleare a dimostrare che Teheran non sviluppa solo un programma nucleare a fini scientifici?
Questo è un passaggio determinante. Tutti, almeno si spera, ricordano ancora l'allora Segretario di Stato Usa Colin Powell rendersi ridicolo agli occhi del mondo con la fialetta mostrata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite prima dell'attacco all'Iraq nel 2003. Una bufala, un esempio grottesco di disinformazione. Oggi la prova è molto più dura: bisogna capire quanto tutta questa manovra di accellerazione nei confronti dell'Iran voglia solo essere uno strumento di pressione e quanto, invece, punti a creare un clima favorevole a un attacco nell'opinione pubblica internazionale.
La storia insegna che le gravi crisi economiche mondiali, spesso, hanno portato le classi dirigenti politico-economico-militari a 'investire' in un conflitto. E' questo il caso? Il parere dell'Aiea dirà qualcosa in proposito. Di sicuro le parole del presidente israeliano Shimon Peres non sono rassicuranti. Lungi dall'essere un uomo di pace, bisogna ammettere che però raramente Peres ha usato - come ha fatto il 4 novembre scorso - toni così foschi. ''L'opzione militare si avvicina'', ha ventilato Peres. Le dichiarazioni del premier israeliano Netanyahu, del ministro della Difesa Barak e di quello degli Esteri Lieberman non stupiscono. Quelle di Peres si.
''Gli Stati Uniti e Israele vogliono colpire l'Iran perché ne temono la forza militare che è in crescita''. Come al solito, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sembra pagato da uno sceneggiatore in crisi creativa per dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato. In un'intervista rilasciata al quotidiano egiziano al-Akhbar ha commentato così l'ipotesi di un attacco contro i siti nucleari della Repubblica Islamica. ''L'Iran ha capacità militari differenti da quelle degli altri Paesi nella regione. Stiamo aumentando le nostre capacità e per questo siamo in grado di competere con Israele e l'Occidente, in particolare gli Stati Uniti'', ha dichiarato Ahmadinejad, cedendo a una retorica del braccio di ferro.
Solo dopo, il presidente iraniano ha ribadito che l'Iran non possiede una bomba nucleare. ''È Israele che possiede trecento testate nucleari - ha dichiarato - l'Iran desidera solo avere capacità nucleari per scopi pacifici''. Già il nucleare e Israele. Argomento spinoso, almeno per quelli che sono ancora convinti che il diritto internazionale significhi qualcosa di più di una disciplina accademica. Nessuno si è mai sognato di chiedere a Israele un'ispezione all'impianto di Dimona e dintorni. Chi ne ha denunciato l'esistenza, come il tecnico nucleare israeliano Mordechai Vanunu, continua a essere perseguitato dalla giustizia di Tel Aviv.
Israele, da sempre, ha pronti piani d'attacco all'Iran. L'idea, però, di colpire e andare via, come è accaduto in Iraq nel 1981 (Operazione Opera) e in Siria nel 2007 (Operazione Orchard), non è così facile. Molti militari israeliani lo sanno e frenano. L'Iran ha una capacità di reazione che, in un'operazione che non può essere circoscritta a un obiettivo definito ma sarebbe estesa su un'ampia porzione di territorio e su molti siti, potrebbe fare molto male agli incursori israeliani. Scatenando una reazione a catena di attentati nel mondo. Le monarchie sunnite del Golfo Persico non si strapperebbero i capelli, ma rispetto alle opinioni pubbliche interne in fermento, dovrebbero prendere una posizione 'islamicamente' corretta. Anche solo a parole, sul modello turco. Insomma un vaso di Pandora. Si resta in attesa, di fronte alla finestra. Con una gran paura di cadere di sotto.
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