Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

10/11/2011

Geopolitica mediorientale.

Mentre l'attenzione mondiale è comprensibilmente concentrata sulla crisi sistemica che sta colpendo con sempre maggiore profondità l'Occidente, si moltiplicano negli ultimi giorni i segnali di una decisione occidentale sull'attacco all'Iran: uno scenario bellico certo non nuovo che vedrebbe l'azione congiunta di forze missilistiche e aeree anglo-americane colpire partendo dal Golfo Persico e dall'Oceano Indiano, col supporto di azioni chirurgiche delle forze speciali sul terreno. Per tale ragione, gli Usa avrebbero già chiesto di utilizzare la base britannica di Diego Garcia nell'Oceano Indiano e starebbero rafforzando il proprio dispositivo aereo-navale nel Golfo Persico, intensificando la cooperazione militare già in atto da tempo con Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Qatar, con gli Emirati Arabi Uniti e con l'Oman.
Sul piano dei fatti documentati, possiamo registrare l'addestramento per azioni a lungo raggio che Israele sta svolgendo nelle ultime settimane nel poligono militare di Decimomannu, in Italia: una circostanza non nuova, che abbiamo più volte documentato su Clarissa.it (ad esempio qui), anche se la presenza di ben sei squadroni di varie specialità dell'aviazione israeliana è sicuramente un fatto senza precedenti, rivelatore anche della crescente agibilità per Israele nei cieli italiani.
Sempre l'aviazione israeliana ha poi svolto la scorsa settimana, secondo notizie di stampa non smentite, un lancio sperimentale di un nuovo missile a lungo raggio, dalla base di Palmahim, un test che ha lasciato una scia visibile nei cieli di tutta la parte centrale dello Stato ebraico.
Si tratta quindi complessivamente di un evidente potenziamento della componente offensiva israeliana, che si va ad integrare con la disponibilità del sistema di difesa antimissile Iron Dome, di cui, anche in questo caso, ci siamo più volte occupati su questo sito (ad esempio qui ), ultimamente assai discusso anche sul piano tecnico dagli specialisti per i non completi successi contro i lanci di razzi da Gaza.
Il livello di dettaglio di queste notizie potrebbe far ritenere che si tratti semplicemente di una modalità, non nuova ai rapporti internazionali, di esercitare pressioni indirette sull'Iran, allo scopo di evitare di dover ricorrere al confronto militare diretto. Ma vi sono alcuni elementi che fanno pensare che l'affiorare di informazioni così delicate sia solo parte del confronto in atto sulla tattica da adottare nei confronti della questione iraniana, non certo sulla prospettiva strategica di colpire a fondo l'Iran.
Secondo il giornale kuwaitiano Al-Jarida, infatti, sarebbero stati gli ex responsabili del Mossad, Meir Dagan, e dello Shin Bet, Yuval Diskin, a lasciar trapelare queste indiscrezioni. Se ne dovrebbe dedurre che alti esponenti dell'intelligence israeliana sarebbero contrari ad un attacco diretto all'Iran, probabilmente ritenendo che la campagna di guerra informatica e di uccisioni mirate di scienziati iraniani sia la soluzione più efficace oltreché meno azzardata.
In tal modo, gli ambienti dell'intelligence si inserirebbero nel dibattito in corso nel governo israeliano, dove il primo ministro Netanyahu ed il ministro della difesa Barak, da tempo decisi ad un'azione di forza, avrebbero portato sulle loro posizioni anche il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, fino ad ora sostanzialmente contrario. I ministri sfavorevoli all'attacco disporrebbero a questo punto di un vantaggio numerico assai esiguo e di un peso politico sempre più ridotto. Vi è poi da considerare il fatto che molti esponenti israeliani, seppur contrari ad un diretto impegno militare israeliano, sono invece favorevoli a che l'attacco venga sferrato dalle forze anglo-americane, possibilmente in un contesto internazionale opportunamente costruito per sostenere l'opzione militare.
Il ministro dell'intelligence e dell'energia atomica israeliano, Dan Meridor, ad esempio, ha dichiarato qualche settimana fa sul sito web Walla!: "È chiaro a tutti che un Iran nucleare è un serio pericolo ed il mondo intero, guidato dagli Stati Uniti, deve sviluppare uno sforzo continuo per impedire all'Iran di ottenere armi atomiche. Gli iraniani hanno già oltre 4 tonnellate di uranio arricchito al 3-4 per cento e 70 chilogrammi di uranio arricchito al 20 per cento. È chiaro che stanno continuando a predisporre missili. La nuclearizzazione dell'Iran non è solo una minaccia per Israele ma anche contro diversi altri stati occidentali e l'interesse internazionale deve coincidere su questo".
Per quest'ultima ragione, sarà molto importante leggere il nuovo rapporto dell'Agenzia Atomica Internazionale, atteso per il prossimo 8 novembre, in quanto secondo molte indiscrezioni conterrebbe informazioni rivolte a dimostrare la crescita del potenziale nucleare militare iraniano: gli stessi ambienti diplomatici e militari che ipotizzano un imminente attacco all'Iran, sostengono infatti che il paese disporrà entro i prossimi sei mesi di un numero variabile da 2 a 4 armi nucleari operative. È chiaro che se il rapporto AIEA confermasse queste ipotesi, i fautori dell'attacco militare disporrebbero della motivazione necessaria per agire con un sufficiente consenso internazionale.
Gli analisti citati da un recentissimo, dettagliato reportage del Guardian britannico escludono un attacco nel corso del prossimo inverno, ma ritengono che la primavera del 2012 sia a key decision-making period ("un momento chiave per decidere"): da qui ad allora, la pressione israeliana potrebbe quindi superare le possibili residue resistenze dell'amministrazione Usa, legate ai rischi di un'impresa militare nell'imminenza delle presidenziali del novembre 2012. Tanto più se questa azione, rapida e chirurgica, non comportasse impegni di lungo periodo e potesse essere proposta negli stessi termini trionfalistici del tipo "giustizia è fatta" che hanno accompagnato l'eliminazione di Osama bin Laden in Pakistan.
Dal punto vista israeliano, il momento è sicuramente decisivo. La questione palestinese marcia verso una possibile internazionalizzazione, come ha dimostrato il voto all'Unesco; mentre all'interno è ben nota la debolezza politica dell'Autorità Nazionale Palestinese. La Siria è ormai completamente priva di capacità di intervenire, per cui le forze di Hezbollah in Libano non potrebbero contare sul suo supporto in caso di un eventuale allargamento del conflitto: a quel punto, Hezbollah potrebbe addirittura essere oggetto di un massiccio intervento preventivo israeliano, giustificato dall'attacco contro l'Iran e dal rischio di possibili reazioni da parte di quest'ultimo.
La cosiddetta "primavera araba" ha poi eliminato gli ultimi residui dei regimi nazionalisti e populisti di impronta nasseriana (Mubarak, Gheddafi, Ben Ali) o li ha messi in condizioni di gravissima crisi, come nel caso di Assad in Siria. Allo stesso tempo, ha definitivamente consolidato il ruolo ispiratore religioso dell'Arabia Saudita, con il suo orientamento ideologico wahabita - da sempre mortalmente ostile al regime shiita iraniano, dimostrandone il ruolo singolarmente complementare a quello della presunta democracy building occidentale, proprio come già avvenuto, con i risultati che ben conosciamo, in Afghanistan.
L'incognita che potrebbe pesare sul calcolo di opportunità israeliano è rappresentata dalla Turchia, spesso trovatasi ai ferri corti con Israele nell'ultimo triennio. Anche su questo piano, tuttavia, la "primavera araba" ha avuto effetti, ancora non tutti decifrabili, ma sicuramente rassicuranti. L'esigenza di contenere la diffusione dell'influenza saudita nel mondo islamico, da un lato, e, dall'altro, il rischio di trovarsi isolata nell'arco di crisi medio-orientale, spiega la rapida conversione delle posizioni turche davanti alle crisi che hanno colpito i regimi di Assad e Gheddafi: dopo un primo timido tentativo di difendere lo status quo, la Turchia si è allineata alle posizioni occidentali, rompendo di fatto la possibilità di un asse Turchia, Siria, Iran apparso possibile solo qualche semestre fa. Ha fattivamente supportato, logisticamente e militarmente la Nato nella Libia occidentale; sta sostenendo le opposizioni "moderate" contro Assad, ospitandole sul suo territorio. Decisioni che collocano di fatto la Turchia dell'AKP in una linea di continuità con i governi turchi sotto tutela militare, al punto che autorevoli studiosi filo-atlantici la propongono oggi entusiasticamente come il possibile modello di un islamismo filo-occidentale da diffondere in tutta l'area.
L'ultima, decisiva incognita è chiaramente rappresentata dall'Iran stesso, nel quale è con tutta evidenza in corso un conflitto interno che deciderà del futuro di Ahmadinejad e della sua linea politico-ideologica, in vista delle presidenziali del 2013. È possibile che gli ambienti occidentali ed israeliani che intendono evitare l'opzione militare contino piuttosto sulla possibilità, sulla quale stanno anche spregiudicatamente operando, che in Iran possa prodursi un mutamento interno tale da riaprire la possibilità di una sua integrazione in un Medio Oriente dominato dagli Stati Uniti e da Israele, eliminando l'ultima, fastidiosa eccezione. Si tratterà a questo punto di vedere se la loro, meno muscolosa e più raffinata scommessa, sia quella vincente: quello che è certo è che in tempi di crisi economiche sistemiche, oggi proprio come sul finire degli anni Trenta del Novecento, la guerra è molto utile per determinare quella "distruzione creatrice" di cui periodicamente il capitalismo, secondo Schumpeter, ha un'assoluta necessità.


Fonte.

Trovo che le ultime 4 righe siano particolarmente profetiche in merito a quello che potrà essere il futuro.

Nessun commento:

Posta un commento